2020-06-05
Due buone notizie per l’Italia, ma Conte fa lo gnorri
Non so chi abbia avuto l'infelice idea di chiamarlo piano «Rinascita». Se è stato Giuseppe Conte, viene da dire che l'uomo con la pochette avrà anche fatto progressi, cercando di piacere a tutti. Ma non sa niente della storia italiana, perché il piano «Rinascita» fu messo a punto da Licio Gelli contro i comunisti: un programma che per anni è stato agitato sui giornali come l'anticamera del golpe piduista.Dunque, se non ci fossero giornali adoranti che descrivono il capo del governo come «una forza tranquilla e riformista» (sì, mi è capitato di vedere anche questo lecca lecca ieri), dopo la conferenza stampa di mercoledì il presidente del Consiglio sarebbe stato sbranato a mezzo stampa, per l'inconcludenza delle sue chiacchiere. Conte ha infatti parlato per una buona mezz'ora senza dire nulla, se non promesse sprovviste della data di scadenza. Vedrò, rafforzerò, valuterò. L'uomo del farò domani dice di avere fretta, ma si dà il caso che non si capisca per fare che cosa. Al momento l'unica decisione presa dal suo esecutivo è una sanatoria per 600.000 immigrati, talmente urgente che da quando è stata varata solo poche centinaia di persone ne avrebbero usufruito. Per il resto, il governo procede tranquillo su un binario morto. La revoca della concessione alla società Autostrade? Il premier che annunciò, a cadaveri ancora caldi, la caducazione dei Benetton dalla gestione delle rete viaria, a due anni di distanza assicura che «ci sono gli estremi per la revoca» e poi, per strizzare l'occhio ai 5 stelle che ormai lo sopportano a malapena - ma solo in quanto, via lui, andrebbero a casa pure loro - parla di «fiscalità di vantaggio per il Sud»: un'idea nuova, che infatti patrocinò vent'anni fa Paolo Cirino Pomicino. Poi, come tutti quelli che si rendono conto di aver fallito, Conte ha annunciato un «nuovo inizio», ma vedendo i sondaggi in tanti avrebbero voluto sentire l'annuncio della fine. Del suo governo, ovvio.Ciò detto, il presidente del Consiglio l'altro ieri ha continuato a rimanere appeso al Recovery fund, la coperta di Linus di Giuseppi, senza rendersi conto che la promessa di decine di miliardi in arrivo da Bruxelles nei prossimi anni è scavalcata dai fatti. Già, perché mentre Conte si affanna a cercare una via d'uscita per trovare soldi che non ci sono, ieri sono giunte due notizie, entrambe positive per il Paese e a loro modo negative per l'uomo che continua ad atteggiarsi a salvatore della patria pur di non sloggiare. La prima riguarda gli investitori che si sono messi in fila per comprare titoli di Stato. A differenza di quanto si vuole far credere, c'è la ressa per comprare i Btp italiani, al punto che, a fronte di un'emissione di 14 miliardi, le richieste per sottoscrivere le obbligazioni di Stato sono arrivate a quota 110 miliardi. Già poche settimane fa le prenotazioni erano arrivate a 32 miliardi a fronte di una disponibilità di otto. Certo, a spingere i fondi e le banche a comprare i titoli del debito italiano sono i buoni rendimenti, superiori a quelli di altri Paesi. Ma se fossimo ritenuti sull'orlo del crac nessuno metterebbe mano al portafogli: se invece sono pronti a mettere sul piatto miliardi è perché ritengono che l'Italia possa farcela, e non sia alla canna del gas come molti la descrivono. Tra chi crede nelle nostra ripresa, sicuramente ci sono i grandi investitori internazionali, ma anche molti italiani, che comprano le obbligazioni del nostro Paese per impiegare la forte liquidità accumulata in questi anni, convinti anch'essi che il momento difficile verrà superato. E qui veniamo alla seconda buona notizia. Nonostante l'altolà della Corte costituzionale tedesca, la Banca centrale europea ha deciso di aumentare di 600 miliardi l'acquisto dei titoli di Stato dei Paesi Ue, dunque di sostenere anche quelli italiani. L'effetto si è visto subito, perché è bastato l'annuncio a sgonfiare lo spread: segno evidente che per contrastare le tendenze speculative serve un'autorità monetaria che, come accade in tutto il mondo, sostenga l'economia nazionale. Qualcuno osserverà: ma se non ci sono problemi a emettere titoli di Stato, anche perché i maledetti parametri europei che ci hanno perseguitato per anni sono saltati, e la Bce fa finalmente il suo mestiere di Banca centrale, perché Giuseppi insiste a parlare di Mes e di Recovery fund come se da essi dipendessero le sorti della nostra economia? Già, perché? Forse non ha capito? No, credete a me. Ha capito benissimo, ma sa che più mantiene alta la guardia e l'allarme sulla situazione del Paese giustificando la propria presenza a Palazzo Chigi e più sarà difficile buttarlo giù. Gli uomini della provvidenza, come lui ritiene di essere, servono nelle emergenze. Ma se le emergenze non ci sono, anche della provvidenza e dei suoi servitori non c'è più bisogno. Dunque, addio piano di «Rinascita»: si fa la valigia.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)