2022-05-06
Draghi strappi agli Usa la Libia, sennò avrà fatto un viaggio a vuoto
Joe Biden e Mario Draghi (Ansa)
L’imminente visita a Joe Biden avrà al centro il caos ucraino. Ma è un’occasione rara per chiedere, finalmente, un ruolo chiave nella stabilizzazione del Nord Africa. Dove preoccupano le influenze sino-russe in Algeria.La visita a Washington di Mario Draghi il prossimo 10 maggio potrebbe rivelarsi un’occasione importante. Un’occasione che non dovrebbe quindi essere assolutamente sprecata. È evidente che il nostro premier e Joe Biden discuteranno principalmente della crisi ucraina. Ed è proprio a questo proposito che Draghi dovrebbe trasmettere al suo interlocutore una richiesta fondamentale: quella, cioè, di rafforzare il fianco meridionale della Nato, con l’obiettivo di stabilizzare il Mediterraneo e, in particolare, la Libia. Certo: a prima vista, ciò potrebbe sembrare ben poco attinente all’invasione russa dell’Ucraina. Ma le cose non stanno così. Una stabilizzazione della Libia è infatti nell’interesse sia di Roma che di Washington, anche guardando alla crisi ucraina. In primis, stabilizzare il Paese, attualmente ripiombata nel caos politico, significherebbe incrementare il rifornimento di gas diretto all’Italia: un fattore, questo, che consentirebbe al blocco europeo di sopportare assai meglio il peso economico delle sanzioni energetiche alla Russia. Non solo: lo scenario di uno scacchiere libico normalizzato ridurrebbe anche il rischio di pericolosi cortocircuiti. Ricordiamo infatti che l’Algeria, a cui il nostro Paese si sta rivolgendo nel tentativo di sostituire l’approvvigionamento di gas russo, è una stretta alleata del Cremlino: il mese scorso ha, non a caso, votato contro la risoluzione che chiedeva di sospendere Mosca dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Non solo: la stessa Pechino si è progressivamente legata ad Algeri attraverso una scaltra diplomazia vaccinale. Insomma, un incremento del gas libico consentirebbe al blocco europeo di alleviare il peso economico delle sanzioni, favorendo la solidarietà transatlantica e riducendo la pressione di Mosca. In secondo luogo, la stabilizzazione della Libia permetterebbe di infliggere un duro colpo a Vladimir Putin in Africa. Ricordiamo infatti che la Russia mantiene una notevole influenza sulla parte orientale del Nordafrica: un’area che Mosca usa sia per estendere la sua longa manus sul Mediterraneo sia per trasferire i mercenari del Wagner Group nel Sahel. Quello stesso Sahel che è un crocevia fondamentale per i flussi migratori diretti verso l’Europa: flussi che, come già dimostrato dalla crisi bielorussa dello scorso novembre, Putin potrebbe usare per mettere sotto pressione l’Ue da Sud. Ridurre l’influenza russa in Nord Africa è quindi un obiettivo che accomunerebbe Roma e Washington. Tra l’altro, potrebbe trattarsi di un momento favorevole. Lo scorso 28 aprile, il Financial Times ha riferito che il Cremlino avrebbe ritirato dalla Libia oltre 1.000 combattenti, tra mercenari Wagner e miliziani siriani, per dislocarli in Ucraina a causa delle crescenti difficoltà militari incontrate in loco. Nonostante rimangano al momento circa 5.000 mercenari russi in Libia, è quindi chiaro che si registra un problema di debolezza per Mosca nell’area. Ma c’è anche un terzo fattore che consiglierebbe un rafforzamento del fianco meridionale della Nato: la minaccia iraniana. Già nel 2016, il Carnegie Endowment for International Peace sosteneva che il programma balistico di Teheran rappresentava un notevole rischio per varie aree del Mediterraneo e dell’Europa. «L’Iran», riferiva, «potrebbe teoricamente prendere di mira l’intero territorio albanese, bulgaro, croato, greco, ungherese, rumeno, slovacco, sloveno e turco, nonché alcune parti della Repubblica Ceca, dell’Italia e della Polonia: tutti Paesi della Nato». È bene ricordare che l’Iran è uno stretto alleato della Russia e che il suo programma balistico continua a rivelarsi un pericolo: non è un caso che, nonostante la controversa distensione con Teheran attualmente in corso, l’amministrazione Biden ha comminato al programma nuove sanzioni appena lo scorso marzo. Washington ha quindi interesse non solo nello stabilizzare la Libia, ma anche nel conferire al nostro Paese un ruolo di leadership su questo fronte: gli americani non si fidano infatti della Francia di Emmanuel Macron, che in passato spalleggiò in loco una figura significativamente vicina a Mosca come Khalifa Haftar. Tutto questo mostra che il rafforzamento del fianco meridionale della Nato deve intendersi come complementare al rafforzamento del suo fianco orientale: il collegamento tra crisi ucraina e stabilità del Mediterraneo è infatti fuori discussione. Insomma, le opportunità insite nel dossier libico esemplificano un atlantismo concreto, che consentirebbe all’Italia di coniugare armonicamente valori saldamente occidentali e interesse nazionale. Una strada, questa, lontana da un certo atlantismo astratto e salottiero, pregno di slogan a buon mercato. Ma lontana anche dal velleitarismo terzomondista di chi vorrebbe veder scivolare l’Italia nell’orbita della Repubblica popolare cinese: una potenza che, oltre alle manovre imperialiste in Africa e nel Mar cinese meridionale, ha mostrato condotte ostili verso l’Occidente sia nel Wto che nell’Oms.