2022-10-15
Draghi fa l’opossum e snobba il Parlamento
Mario Draghi (Imagoeconomica)
In vista del Consiglio Ue sull’energia, il premier uscente non riferirà alle nuove Camere: Palazzo Chigi si nasconde dietro il cambio di maggioranza. Uno sgarbo in contrasto pure con la legge Moavero che rischia di impegnare il nuovo governo ad accordi vincolanti.Un prezioso e giornalisticamente assai significativo lancio dell’agenzia Adnkronos, l’altra sera, è rimasto privo di seguito sui giornali di ieri, e – ancora più curiosamente – nel dibattito politico. Forse la realtà racchiusa in quelle poche righe risulta imbarazzante per troppi.Ecco il testo: «A quanto si apprende, non riferirà alle Camere il presidente del Consiglio Mario Draghi in vista del Consiglio europeo in programma la settimana prossima, il 20 e 21 ottobre a Bruxelles. Confermato il pranzo al Quirinale, non ci sarà alcuna informativa alla Camera e al Senato per il premier. Lo riferiscono fonti di Montecitorio citando la strategia dell’opossum, dal nome del grazioso mammifero marsupiale americano che è solito fingersi morto pur di sfuggire al nemico». E ancora, il lancio di agenzia si conclude così: «Per Draghi, infatti, si presenterebbe una situazione anomala alle Camere: chiedere il sostegno in vista del Consiglio Europeo - un summit per giunta decisivo per la questione energetica - ma con una maggioranza cambiata in corso, e ormai di differente colore politico. Ecco perché - complice la nomina dei capigruppo che non sarà ancora perfezionata - nessuno in Parlamento solleverà la questione “informativa del premier”, attenendosi a precedenti già registrati nella storia parlamentare».Ora, al di là dei precedenti che in Italia non mancano mai (il lavoro dei segretari generali alla Camera, al Senato, e pure al Quirinale, è quello di pescare, nel mare magnum della storia istituzionale italiana, un caso analogo che torni buono per suffragare la «soluzione» che si ha in mente per l’oggi), in quelle poche righe ci sono almeno quattro elementi che appaiono politicamente e istituzionalmente ingiustificabili.Primo: quello del 20-21 ottobre non è un vertice qualsiasi, ma un appuntamento delicatissimo a partire dall’emergenza energetica. Tutti sanno che, dopo i precedenti rinvii, c’è il forte rischio che sia quel vertice, lungi dall’elaborare soluzioni in positivo, a mettere nero su bianco la decisione di impostare razionamenti (per tutti, famiglie e imprese) e imporre ulteriori tasse (per le aziende energetiche). Si tratta dunque di un vertice che lascerà effetti e vincoli sull’Italia dei prossimi mesi. È semplicemente impensabile che tutto ciò avvenga senza alcuna preventiva informazione alle Camere.Secondo: si evoca come «situazione anomala» il fatto che nel frattempo sia «cambiata» la maggioranza, e sia «ormai di differente colore politico». Ah sì? Siamo al punto in cui il fatto che ci siano elezioni democratiche, con conseguente rinnovo delle Camere, venga vissuto da Palazzo Chigi come un’«anomalia»? Le parole, a volte, svelano le attitudini più profonde, e in questo caso registrano un quasi inconsapevole fastidio per il fatto che, ogni quattro o cinque anni, ci sia quella «cosa strana» consistente nel consultare il demos per riassegnare il kratos. Terzo: si dà per acquisito il fatto (e fino a ieri, a meno di nostri errori e omissioni, le cose sono effettivamente andate così) che, «complice la nomina dei capigruppo che non sarà ancora perfezionata, nessuno in Parlamento solleverà la questione». E questa è una circostanza imbarazzante per tutti, nuova maggioranza e nuova opposizione. Non vogliamo credere che possa esserci un atteggiamento generalmente condiviso volto a lasciare che sia il vecchio governo – alla chetichella – a sbrigare la pratica, salvo poi dare tutti per acquisito che certe conseguenze siano piovute dal cielo. Dunque, ci aspettiamo, poiché il tempo c’è, che tutti i gruppi chiedano la presenza di Draghi in Aula nei prossimi giorni. Da un lato, per ascoltare le linee programmatiche e negoziali con cui il premier intende muoversi al prossimo Consiglio; e dall’altro, per fornirgli indicazioni attraverso un documento parlamentare di indirizzo.E qui si arriva al quarto e decisivo punto. Il fatto che serva un passaggio parlamentare non è solo frutto di buon senso, ma anche una necessità esplicitamente sancita dalla cosiddetta legge Moavero (dal nome di Enzo Moavero: non un «pericoloso» eurocritico, ma l’eurolirico transitato nei governi di Mario Monti, Enrico Letta e nel primo gabinetto di Giuseppe Conte). Per i feticisti dei numeri, si tratta della legge 24 dicembre 2012 num. 234, intitolata «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Ue». Ecco l’articolo 4, rubricato «Consultazione e informazione del Parlamento». Al primo comma recita così: «Prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere, la quale tiene conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati». La norma è chiarissima: il governo deve andare, e le Camere possono, dopo aver ascoltato il rappresentante dell’esecutivo e dopo aver dibattuto, concludere la discussione con il voto di un documento di indirizzo.Ci attendiamo dunque, in giorni di enorme preoccupazione degli italiani per un’emergenza energetica che rappresenta un’autentica bomba a orologeria, che i neoeletti presidenti della Camera e del Senato, nonché i rappresentanti delle forze politiche di maggioranza e di opposizione, sollecitino il governo in carica a presentarsi a Montecitorio e a Palazzo Madama. E che invitino il simpatico opossum a terminare la sua astuta simulazione: ad attenderlo non ci saranno temibili predatori, ma i rappresentanti del popolo. Si chiama democrazia.