2019-01-05
D’oro, salato, tropical: il panettone vive una nuova giovinezza
Le infinite declinazioni del dolce milanese: al vin brulè, al cocco e ananas, con il parmigiano o ricoperto da una foglia a 24 carati. Ma non solo, dopo i panettoni firmati dagli chef stellati, ecco comparire quelli brandizzati da marchi famosi come nel caso di Fiasconaro le cui latte sono firmate Dolce & Gabbana. Quando Guido Piovene scrisse Viaggio in Italia, nel 1957, mai avrebbe immaginato di poter trovare il panettone a tutte le latitudini del Bel Paese. Panettone che ha conosciuto una seconda giovinezza a partire dagli anni Novanta. Il perché lo spiega bene il padovano Luigi Biasetto: «La spinta commerciale dei panettoni industriali ha forzato l'equilibrio tra costo e qualità, a danno di quest'ultima, cosa che ha aperto delle praterie per noi piccoli artigiani», permettendo al panettone di superare confini geografici, stagionali e pure gastronomici. Non bisogna dimenticare i fondamentali. In primis l'uso del lievito madre che, come ricorda Biasetto, «va accudito e fatto mangiare» con una presenza costante, oltre al fatto che gli ingredienti devono essere tutti di primissima qualità e al rispetto dei tempi di lievitazione e cottura. Come ricorda Iginio Massari, «il panettone è il dolce più difficile in assoluto, perché molte sono le variabili in gioco». Ancora Massari: «Il panettone è l'emblema stesso del regalo, tutti i suoi ingredienti hanno un significato pregnante», dall'uvetta, simbolo del denaro, all'amore ricordato dall'arancia, l'eternità del cedro e via dicendo. Di fronte a questa esplosione di creatività, nel 2005 un decreto ministeriale ha stabilito i criteri alla base della produzione del vero panettone milanese. Tutto il resto è lasciato all'abilità dei vari pasticceri. Il via, per certi versi, lo ha dato il milanese Achille Zoia che è riuscito a dare il turbo all'impasto, passando dal tradizionale 40% di burro a un più intrigante 70%. Così ha stimolato altri colleghi, come ha sottolineato il napoletano Sabatino Sirica: «L'esempio degli artigiani del Nord ha comunicato a tutti noi, nel resto d'Italia, la grandezza e l'importanza del panettone». Un connubio di virtuose (e golose) eccellenze posto che molti ingredienti, dai classici (arance) agli «eretici» (fichi), trovano la loro massima espressione proprio al Sud. L'elenco delle bandierine del panettone goloso farebbe zigzagare il Piovene del terzo millennio senza tregua, per cui la sintesi porta a una necessaria citazione limitativa. Si parte dal panettone allo strudel della milanese Pasticceria Martesana a quello al vin brulè del varesino Luca Riganti, cui fa seguito, per «bar condicio», il pan de bira di Fabio Longhin, dove gli ingredienti (malto e luppolo) subiscono una trasfigurazione solida al posto di quella tradizionale spinata al boccale. Nel Veneto molte le firme conosciute. Tuttavia una menzione particolare la merita la pasticceria Giotto, del carcere Due Palazzi di Padova. Una scuola di mestiere, ma anche di vita, sorta nel 2005. Varie le declinazioni che escono dal forno, dalla versione classica alle creative, quali fichi e cioccolato. Benedetto XVI è stato il primo a ordinarne 250 pezzi, seguito poi anche da Papa Francesco. Come ha scritto Andrea Tornielli, «sono gli stessi detenuti a riacquistare giorno dopo giorno fiducia in sé stessi, perché qualcuno ha scommesso su di loro». Si può parlare di «redenzione del panettone», in quanto i carcerati che intraprendono questi percorsi sono quelli meno esposti, una volta scontata la pena, a ricadere nella tentazione di uscire dalla retta via. E ancora, nel Veneto, troviamo i piccoli artigiani della porta accanto come il trevigiano Alberico Titton che, dopo essere stato pioniere gemellando il radicchio di Treviso all'uvetta, si è inventato il panettone tropicale, cocco e ananas, il che rinvia a fantasie estive … sotto l'ombrellone. Chi l'ha detto che il panettone deve necessariamente essere dolce? Ecco allora le reinvenzioni coerenti alla filiera territoriale, come quello al parmigiano reggiano dell'emiliano Davide Fantuzzi o con lo speck di Sauris del friulano Simone Bortolus. Ma è al Sud che il panettone ha trovato il suo nuovo Klondike, complici le materie prime del territorio, ma anche la professionalità e l'ecletticità di mastri pasticceri che hanno saputo coniugare tradizione e modernità. «Arricchendolo con i prodotti locali siamo riusciti a far entrare nel cuore dei campani anche il panettone artigianale», parola di Salvatore «Sal» De Riso, un geniaccio della costiera amalfitana dal cui forno escono varie invenzioni anche se il colpo da maestro lo ha fatto con una provocazione che sarebbe piaciuta a Gualtiero Marchesi: Oro Puro, una foglia a 24 carati messa a rivestire la cupola ghiottona, come fece il maestro, 40 anni fa, con il risotto oro e zafferano. Il quaderno degli appunti di Guido Piovene strariperebbe, ma il viaggio continua ad esempio passando dal lucano Vincenzo Tiri che ha spinto l'acceleratore sulle tre lievitazioni amalgamando il tutto con amarene e fiori di sambuco. Non poteva mancare la Sicilia ed ecco i palermitani Fiasconaro che, assieme al vicentino Loison, stanno conquistando i mercati esteri. Fiasconaro, nel suo ricco repertorio, offre un intrigante panettone alla manna, estratta dai frassini dagli «intaccaluori», cacciatori vegetali dedicati. Un panorama che rivela come, a livello nazionale, molti possano essere i compositori di meraviglie partendo dal panetun meneghino. I più motivati di loro si sono riuniti nel dream team I Maestri del Panettone che, oltre a tenere corsi e seminari, si sono dotati di un codice etico senza se e senza ma. La storia non finisce qui. Il prodottopuò essere anche bello, attirando ancora di più l'occhio dei palati curiosi. Ecco allora che le latte hanno sostituito le cappelliere d'antan. Quelle di Fiasconaro sono firmate Dolce & Gabbana. Sonia Pilla invece è la designer di casa Loison. Le sue latte divenute oggetti da collezione. Panettone dal blasone tristellato con l'abruzzese Niko Romito e il suo Casa Donna che, forse anche per le quattro lievitazioni in progress, «raggiunge una morbidezza quasi sensuale» o il padovano Massimiliano Alajmo che sforna piccole collezioni numerate declinandole di colori e ingredienti diversi lungo i 12 mesi dell'anno. Il suo Pan(et)tone si presenta in giallo con lo zafferano, in rosa con il pomodoro e via cromaticamente gustando.Un panettone dalle mille vite, lungo l'arco dell'anno, ma anche lungo lo spartito del menù. Il panettone «riciclato» abbinato in salame con il cioccolato, come a sostituire i savoiardi nel tiramisù. La nuova sfida golosa la si trova declinata con abbinamenti diversi sul piatto perché, come ha sottolineato Barbara Carbone, «il suo sapore di burro e uova, il profumo di spezie lontane, ma soprattutto il suo essere soffice e avvolgente, si abbinano alla delicatezza di alcune carni, all'intenso sapore di diversi pesci». Nel sito insolitopanettone.com si può trovare di tutto e di più, con firme importanti. Si va da Davide Oldani, con il risotto al panettone e zafferano, a Franco Favaretto, che lo abbina al merluzzo, o lo stellato Alessandro Dal Degan, in gnam session con sella di capriolo e resina al ginepro. Un occhio al passato è doveroso. Dario Loison ha creato un curioso Museo del panettone con centinaia di manifesti, cartoline, libri, ricettari, ma anche fumetti, dove Pippo e Topolino discettano di panettone, per soffermarsi poi curiosi su quelle antiche macchine con le quali, nel tempo che fu, silenziosi artigiani lavoravano per regalare momenti di gioia terrena alla loro clientela.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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