
Il due di picche ai Brics segue l’uscita dell’Italia dalla Via della seta. E la strategia cinese ora arranca.C’è chi paventava catastrofi nel caso Javier Milei fosse arrivato al potere in Argentina. E c’è anche chi, dalle nostre parti, parla di svolta autoritaria, visto che il presidente ha minacciato di indire una consultazione popolare, qualora il Congresso gli bloccasse il decreto sulle liberalizzazioni. In realtà, come stabilito dall’articolo 40 della Costituzione, la via referendaria è perfettamente legale e, a proposito di autoritarismo, non si tratterebbe neppure di una consultazione vincolante. Inoltre, da quando è entrato in carica, il nuovo inquilino della Casa Rosada ha dato una sterzata in senso filooccidentale alla politica estera del suo Paese. L’ultimo esempio di questo cambio di passo sta nel fatto che il presidente anarco-capitalista ha interrotto il processo di adesione di Buenos Aires ai Brics, che era stato avviato su iniziativa del predecessore, il peronista Alberto Fernandez. La mossa anticinese di Milei è tanto più significativa in quanto è avvenuta poco dopo l’addio dell’Italia alla Nuova via della seta. Si è trattato di un duplice smacco per Pechino. Nonostante la presenza dell’India, il blocco dei Brics è in gran parte guidato dalla Repubblica popolare. La mossa di Milei rappresenta quindi una battuta d’arresto per il rafforzamento della longa manus cinese sull’America Latina. Inoltre, al di là dell’Atlantico, l’addio alla Nuova via della seta, deciso dal governo di Giorgia Meloni, ha indebolito la presa di Pechino sul Vecchio continente. Ora, è proprio la linea anticinese di Milei e della Meloni a evidenziare il cortocircuito del centrosinistra italiano sul piano internazionale. E questo vale innanzitutto per il Pd. Eh sì, perché nonostante si autoconferisca sovente delle patenti di superiore credibilità a livello internazionale, questa formazione non fa che spingere per una politica estera nei fatti antioccidentale. A fine novembre, Elly Schlein si schierò contro il rivale di Milei, il peronista Sergio Massa. «Non abbiamo dubbi da che parte stare e chi come noi ha a cuore i valori progressisti e democratici e ama l’Argentina sa cosa fare: andare a sostenere Sergio Massa presidente», dichiarò. Peccato che Massa, da ministro dell’Economia, avesse contribuito a rafforzare i legami di Buenos Aires con Pechino. D’altronde, la Schlein ha scelto come responsabile esteri del Pd Peppe Provenzano: uno storico sostenitore di Lula. Quello stesso Lula che, durante un viaggio in Cina ad aprile, ha rafforzato i rapporti tra Brasilia e Pechino in chiave antiamericana. Sarà del resto un caso, ma una stretta alleata del presidente brasiliano, come Dilma Rousseff, è ascesa ai vertici della New Development Bank: la banca dei Brics con sede a Shanghai. Provenzano è anche un estimatore del presidente cileno Gabriel Boric: uno che a ottobre ha partecipato al Belt and road Forum di Pechino, incontrando Xi Jinping e impegnandosi a consolidare i rapporti sino-cileni, soprattutto nel settore del litio. A onor del vero, la simpatia del Pd verso il Dragone non è una novità della segreteria targata Schlein. Era maggio 2017, quando l’allora premier Paolo Gentiloni si recò - unico leader del G7- al Forum One belt one road di Pechino. «L’Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto», disse in quell’occasione, aprendo così la strada al processo che, due anni dopo, avrebbe portato il governo Conte I a siglare, con la benedizione del Quirinale, il memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta. E proprio Giuseppe Conte, con il suo secondo governo giallorosso, ha guidato l’esecutivo probabilmente più filocinese della storia italiana, tanto da provocare l’irritazione del Dipartimento di Stato americano nel 2020. Tutto questo, mentre, sempre secondo Repubblica, l’avvocato del popolo starebbe facendo pressing per candidare alle europee Andrea Riccardi: il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che è un fautore del controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi (in realtà è anche un ex ministro del governo Monti: come questo possa eventualmente sposarsi con le bizze antisistema dei grillini lo sa forse solo Conte). Senza infine trascurare che, nel 2019, Riccardi presenziò alla presentazione del volume L’accordo fra la Santa Sede e la Cina, insieme a Romano Prodi: altro fautore del dialogo con Pechino. Insomma, se fosse per il centrosinistra italico, Roma finirebbe presto tra le braccia della Cina. Invece, Meloni e Milei, che secondo molti commentatori erano dei paria, si stanno rivelando dei leader apprezzati da Washington. La Meloni è stata ricevuta da Joe Biden a luglio e il suo addio alla Nuova via della seta è stato ben accolto sia dall’attuale Casa Bianca sia da un think tank conservatore come Heritage Foundation. Milei, nonostante la sua simpatia per Donald Trump, è stato ricevuto a novembre dall’attuale consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan. A essere isolati in Occidente non sono né Milei né la Meloni.
- Ridotta l’Irpef per i redditi fino a 50.000 euro, sgravi per i rinnovi contrattuali, aumentano bonus mamme e pensioni minime. La Commissione europea sta invece valutando la possibilità di aggiornare le aliquote fiscali sugli alcolici: nel mirino il vino.
- Mattarella: troppi squilibri nelle retribuzioni. Meloni replica: «Con noi salari reali tornati a salire».
Lo speciale contiene due articoli.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
La condanna in Appello per De Pasquale e Spadaro nel caso Eni-Nigeria deve spingere Nordio a rimuoverli. E la loro pretesa di una irresponsabile autonomia delle toghe è un manifesto per la riforma della giustizia.
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Il balzello certo è di 900 milioni. Il resto dipende se gli istituti accederanno all’incentivo.