
Il Veneto, avamposto del centrodestra, apre all’eutanasia. Bizzarro? No, annunciato. Su alcuni temi, da tempo, si batte bandiera progressista: dal suicidio assistito ai diritti Lgbt. Il Consiglio regionale approva adesso a maggioranza la mozione della pentastellata Erika Baldin, che chiede di garantire massima libertà sul fine vita. I capigruppo di tutti i partiti hanno accordato libertà di coscienza per il voto. L’esito è stato quasi bulgaro: due contrari, sei astenuti, trentadue favorevoli. Adesso toccherebbe alla giunta, guidata dal leghista Luca Zaia, definire tempi e modi della «dolce morte».
Non solo: dovrà garantire libertà di scelta e astenersi da ipotetici condizionamenti. Non sarebbero più necessari i viaggi nelle cliniche svizzere, quindi. «Il Veneto va incontro a chi vuole porre fine alle proprie sofferenze», esulta Baldin. «Garantirà un percorso eguale in tutte le Ulss e la vicinanza dei propri cari al momento del commiato».
Eutanasia di Stato, insomma. Anzi regionale. La supposta urgenza nasce dal caso di Stefano Gheller, cinquantenne di Cassola, malato di distrofia muscolare. Lo scorso ottobre, l’Ulss 7 Pedemontana acconsente al suo suicidio medicalmente assistito, con strumenti e medicinali. È la prima volta in Veneto. Qualche giorno dopo, Gheller riceve la visita di Zaia. Il presidente chiarisce: «Ogni cittadino deciderà quale sarà il suo progetto di vita. Noi dobbiamo preoccuparci che tutte le persone possano farlo in totale libertà». Del resto, già nel 2017 il governatore, ricordando il caso di Eluana Englaro, si diceva favorevole all’eutanasia, in aperta contrarietà con il suo partito.
In questi anni le posizioni sono rimaste uguali: antitetiche. Ma il leghista eretico tira dritto. Si guadagna gli osanna dell’associazione Luca Coscioni, che ha raccolto 7.000 firme in Veneto con una petizione sul fine vita. Il consigliere Elena Ostanel è la vessillifera: «Bisogna far proseguire il cammino della proposta di legge di iniziativa popolare. L’assemblea deve convalidare le firme raccolte e discutere di questo progetto in commissione». Fuori dal Consiglio, però, c’è chi promette battaglia: «La mozione approvata parla di “cura dei malati”, quando in realtà ne propone la mattanza», assalta per esempio Massimiliano Zannini, coordinatore regionale del Popolo della famiglia. «Zaia rinsavisca. Quel che lui considera modernità è in realtà un profondo tradimento delle radici culturali e religiose del popolo veneto».
A onor del vero, il governatore ha lasciato ai leghisti libertà di coscienza. Poco prima del voto, però, ha ribadito: «Sul fine vita la mia posizione è nota: la politica deve garantire e non limitare le libertà. Dopodiché, il Consiglio è sovrano e so che sta affrontando questa proposta». Ma la conclamata apertura del Doge potrebbe risultare decisiva: «Il Paese e i cittadini sono pronti per affrontare questo tema», rimarca. «Lo dobbiamo fare con rispetto e delicatezza, sapendo che non tutti la pensano nella stessa maniera, ma pure tutelando le libertà fino in fondo».
Modesto suggerimento: occhio a non cadere nuovamente nelle trappole dei progressisti, prodighi di lusinghe verso impavidi e non ortodossi, sperando di spaccare il fronte contrario a colpi di fendenti ideologici. Già, nuovamente. Perché, ancora in pendant con le urgenze schleneiane, lo scorso marzo viene annunciata anche la nascita del Centro regionale per i disturbi dell’identità di genere. La delibera, approvata due mesi fa dalla giunta veneta, affida al Policlinico universitario di Padova il compito di progettare un percorso per chi vuole cambiare sesso. Niente di rivoluzionario, per Zaia: «Il cambio di sesso è un Lea, un livello essenziale di assistenza prescritto dalla legge». Insomma, non può esimersi. «Io sono amministratore di tutti: al di là del censo, dell’orientamento sessuale, della fede religiosa o del colore della pelle. Chi non la pensa così non è degno di fare l’amministratore e si trova al posto sbagliato. Il compito della politica non è limitare le libertà, ma garantirle». E di fronte alle inevitabili critiche, il governatore chiarisce che è solamente un fatto di civiltà: «Non stiamo parlando di una gentile concessione, di una folgorazione sulla via di Damasco o di uno slancio progressista…», ruggisce in un’intervista al Corriere della sera.
I suoi colleghi governatori, però, non sono stati tanto solerti. Nemmeno quelli di centrosinistra. Così il leader Lega, Matteo Salvini, è costretto a un vigoroso distinguo: «È sicuramente una cosa di cui non avrò mai bisogno. Comunque, credo che le priorità della sanità siano altre». Dunque? «Luca è un grande governatore, ma siamo in democrazia». Anche l’associazione Family day la prende malamente: «Il provvedimento non può essere considerato una scelta di civiltà dal momento che non risponde alle reali necessità dei veneti». La giunta resta convinta del contrario. Il centro transgender aprirà ufficialmente il prossimo settembre.




