2022-11-14
Dopo i pensionati la Fornero fa danni con i giovani
Di fronte all’esodo di giovani che cercano fortuna all’estero, la professoressa simbolo del disastro Monti sfodera una ricetta horror: invece di provare a farli rimanere, meglio rimpiazzarli con stranieri meno cari e qualificati.L’Italia, si sa, fa pochi figli e quei pochi, una volta completati gli studi, emigrano in cerca di un futuro migliore. Lo chiamano il «suicidio demografico», un fenomeno che va avanti da almeno dieci o 15 anni, con una riduzione costante del tasso di natalità, accompagnata da un aumento del tasso di emigrazione da parte della popolazione più giovane e istruita. Dal 2011 al 2020, periodo preso in considerazione dalle statistiche, gli italiani emigrati sono raddoppiati, passando da 80.000 a circa 160.000, in gran parte provenienti dal Mezzogiorno e dalle isole. Che fare per fermare un’emorragia che rischia di creare seri problemi alla sostenibilità al welfare del nostro Paese? Elsa Fornero, indimenticato ministro del Lavoro che, tra una lacrima e l’altra, ai tempi di Mario Monti introdusse una famigerata riforma delle pensioni con cui, oltre a mandare a riposo i lavoratori dopo 67 anni, creò centinaia di migliaia di esodati, cioè persone lasciate senza stipendio e senza pensione, ha avuto un’ideona. La proposta si sintetizza in poche parole, perché la professoressa dal ciglio umido non è donna che perda tempo in lunghi discorsi. Riporto il testo da lei stessa vergato per il giornale sabaudo con cui collabora: «A Sud, in Africa, centinaia di milioni di nuovi giovani si affacceranno all’Europa nei prossimi decenni; a Nord, la stessa Europa perderà qualche decina di milioni di nuovi nati. Uno squilibrio di tale portata non si risolve con i blocchi navali o bracci di ferro». Quindi? Il ragionamento è conseguente. Per la logica dei vasi comunicanti, se l’Africa abbonda di nuove risorse, intese come popolazione in eccesso, e l’Europa difetta della medesima materia prima, intesa come nuove nascite, non resta che aprire i rubinetti da Sud e Nord per compensare. La professoressa dalla lacrima facile non ha dubbi: «Mentre rifiutiamo o rendiamo difficile e umiliante l’accesso in Italia ai giovani dei paesi poveri, creiamo le condizioni perché i nostri emigrino. Non soltanto la natalità scende e la speranza di vita aumenta, ma l’emigrazione si aggiunge a trasformare l’Italia in un Paese sempre più povero in un Paese sempre più vecchio e rancoroso». Chiaro il concetto? Se i giovani italiani se ne vanno, urge sostituirli con giovani africani. Alla signora, che centinaia di migliaia di lavoratori ancora benedicono quotidianamente ogni volta che fanno i calcoli di quanti anni ancora manchino alla pensione, non passa neppure per la testa che i cittadini non siano pedine facilmente rimpiazzabili e cioè che basti sostituire chi parte con chi arriva, a prescindere dalla cultura, dalle abitudini e pure dal tasso di conoscenza dei diritti delle persone. E dire che, nel suo intervento sulla Stampa, a Elsa Fornero non sfugge il concetto che i giovani emigrati sono spesso i più promettenti. Infatti scrive: «Tristemente, i giovani che emigrano sono spesso dotati di un livello di istruzione medio alti; su di essi l’Italia ha “investito” molto, aumentandone il “capitale umano”, per poi lasciare che si svilisca per mancanza di opportunità e di prospettive». Ma pur consapevole che i ragazzi con la valigia in mano sono il nostro futuro, a Elsa Fornero, che pure ha avuto un’esperienza di governo con i migliori, non viene in meno che questi giovani vadano fermati, creando le condizioni affinché possano cogliere le «opportunità e le prospettive». No. Alla professoressa, l’unica via d’uscita per evitare un declino del Paese appare la sostituzione della cittadinanza. Se ne vanno gli italiani perché una classe politica inetta (alla quale appartiene anche lei) non ha saputo creare le condizioni? Pazienza, invece di risolvere il problema, rimpiazziamo chi se ne va con una manovalanza pronta a fare lavori poco remunerati e ancor meno qualificati. Se ne vanno ingegneri, medici, informatici e studiosi? Va bene, vorrà dire che li sostituiremo con i manovali. Ecco, sotto il titolo «Respinge i barconi e dimentica i giovani, l’Italia rischia il suicidio democratico», Elsa Fornero ha spiegato meglio di chiunque altro gli interessi in campo. Da un lato c’è un Paese che vuole risorgere, dall’altro c’è una classe politica e intellettuale che, di fronte alle difficoltà, pensa di risolvere la questione non migliorando le condizioni del mercato del lavoro al fine di trattenere i giovani, ma rimpiazzando con una manodopera a basso prezzo chi è partito. Insomma, dopo aver rovinato centinaia di migliaia di pensionanti, la professoressa si sta impegnando a rovinare anche i laureandi, creando tutte le condizioni per un’emigrazione dei migliori. A leggere l’articolo di Elsa Fornero, non si può che dar ragione a Silvio Berlusconi il quale nel 2011, dopo aver lasciato la poltrona di presidente a Mario Monti, osservò che nessun Paese si era mai affidato a un professore per risolvere i suoi guai economici. Infatti, a 11 anni di distanza, non solo l’Italia non ha risolto i suoi, ma addirittura si porta dietro lo strascico delle lezioni di cattivi maestri che hanno sostituito la teoria economica con la teoria politica.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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