2024-11-13
Donald guarda alle risorse di Kiev
A settembre Volodymyr Zelensky presentò al tycoon le sue idee per la pace, puntando sulla condivisione delle materie prime. E la moglie viene a Roma a raccogliere fondi.Volodymyr Zelensky avrebbe ideato il suo ultimo piano di pace per renderlo gradito a Donald Trump. È quanto riferisce il Financial Times, secondo cui al neoeletto presidente degli Stati Uniti, durante l’incontro avuto con il presidente ucraino lo scorso settembre, sarebbero risultati interessanti due punti in particolare: l’idea - dopo la fine della guerra - di sostituire alcune truppe statunitensi stanziate in Europa con forze ucraine, e la proposta di condividere le risorse naturali dell’Ucraina - come gas, uranio, titanio e litio - con i partner occidentali. Quest’ultimo punto, secondo il quotidiano, sarebbe stato congegnato dal senatore repubblicano Lindsey Graham, alleato di Trump (benché inizialmente critico nei suoi confronti) e convinto che possa avere su di lui un effetto persuasivo. Intanto Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino, parteciperà il 20 novembre a una cena esclusiva a Roma, organizzata dal Teha Club (The European House - Ambrosetti, lo stesso ente che organizza il Forum di Cernobbio) e accessibile solo su invito, per promuovere i progetti di solidarietà per il popolo ucraino condotti dalla sua fondazione.La preoccupazione che il tycoon possa chiudere il conflitto in maniera sfavorevole a Kiev è alta. Motivo per cui ora cercano di mettere sul tavolo qualcosa che possa allettarlo. Sempre secondo il Financial Times, esponenti del mondo imprenditoriale ucraino starebbero valutando con il governo di offrire al futuro presidente Usa un potere di «screening sugli investimenti», ossia permettergli di scegliere chi può fare affari nel Paese. Quello che potrebbe piacere a Trump è la posizione anticinese con cui viene presentata la proposta, descritta con la sigla «Abc», che sta per «Anybody but China» («chiunque tranne la Cina»). Settori dipendenti dalla tecnologia e dai materiali cinesi, come per esempio quello delle telecomunicazioni, potrebbero passare a fornitori statunitensi e attirare maggiori investimenti occidentali. L’esito della guerra, più che all’autodeterminazione dell’Ucraina, potrebbe dunque portare quest’ultima a diventare terreno di conquista del capitale occidentale.Intanto, mentre sul campo la situazione per Kiev si aggrava sempre di più - solo nella notte tra lunedì e martedì i russi hanno lanciato sull’Ucraina 110 droni di vario tipo, tre missili e varie bombe guidate, mentre secondo le forze di Mosca gli ucraini avrebbero perso in tutto 31.700 soldati solo nel Kursk - la diplomazia continua con le stesse litanie che ascoltiamo da oltre due anni. «La vittoria dell'Ucraina è una priorità per tutti noi», ha dichiarato Kaja Kallas, designata ad assumere la carica di Alto Rappresentante Ue, durante la sua audizione alla commissione Esteri del Parlamento europeo. «La situazione sul campo di battaglia è molto difficile ed è per questo che dobbiamo continuare a lavorare ogni giorno, oggi, domani e per tutto il tempo necessario, con tutti i finanziamenti militari e gli aiuti umanitari necessari». «Tutto ciò», ha continuato, «deve essere sostenuto da un percorso chiaro per l’adesione dell'Ucraina all'Ue: si tratta di sicurezza europea e di principi europei». «Abbiamo visto che gli accordi che portano una pace a breve termine non sono duraturi, ma anzi portano altre guerre», ha anche aggiunto in quello che pare un riferimento al piano di Trump. «Guardate che cosa è successo con gli accordi di Minsk». Accordi che l’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, in un’intervista al Die Zeit nel dicembre del 2022, ha spiegato essere stati siglati dall’Occidente non per stabilire la pace ma solo per dare tempo all’Ucraina di armarsi. L’esempio, forse, non è proprio dei migliori. Ad oggi, secondo Ukrainska Pravda, la percentuali di ucraini disposta a fare concessioni territoriali a Mosca è salita al 32% (dal 19% di fine 2023 e il 26% dello scorso febbraio).Non sono mancate anche parole dure contro la Cina, che secondo la Kallas «deve patire il costo del suo sostegno alla Russia, senza il quale Mosca non potrebbe condurre la guerra in Ucraina con la stessa forza». «La Russia e la Cina dovrebbero lavorare insieme per contrastare la politica di contenimento adottata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati» contro Mosca e Pechino, ha dichiarato invece il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo, Serghei Shoigu, il quale ieri ha incontrato a Pechino il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. Se l’obiettivo di Trump fosse quello di ricucire i rapporti con la Russia per cercare di staccare il Cremlino dall’orbita cinese, non troverà grande aiuto nell’alleato europeo. L’Iran, invece, ha annunciato di aver completamente rimosso il dollaro statunitense dalle sue transazioni commerciali con Mosca.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
Continua a leggereRiduci
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)