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Con scarpe e sandali fatti a mano Almini conquista gli sceicchi

Con scarpe e sandali fatti a mano Almini conquista gli sceicchi
Almini
  • L'erede di Almini, storico calzaturificio di Vigevano: «Usiamo una tecnica unica di cucitura al rovescio e pennelli per decorare le nostre creazioni. Per ogni Paese arabo abbiamo disegnato modelli ad hoc»
  • L'azienda di intimo Yamamay apre una nuova boutique a Milano con Panino Giusto, gruppo specializzato nella ristorazione.
  • Orequo riscopre il fascino del foulard, accessorio capace di dare luce al volto, di rinnovare una borsetta, di trasformarsi in cintura.

Lo speciale contiene tre articoli


Storia e moda. Due parole che nel nostro Paese vanno a braccetto da Nord a Sud. Tradizioni che si tramandano di padre in figlio. Origini mai tradite, sviluppate nel tempo. È lo straordinario valore aggiunto del made in Italy, forza propulsiva inimitabile L'ennesimo esempio viene da Vigevano, terra di calzaturieri eccelsi che hanno fatto della produzione industriale una raffinata arte, preziosa e unica. Almini è arrivato alla quarta generazione di un marchio nato nel 1921 grazie a Pietro Almini. «Era il mio bisnonno», racconta Alessandro Ruggero, patron del brand, «che venne nel vigevanese per imparare il mestiere. Aveva la passione per i lavori artistici, manuali e per le scarpe».

L'attività iniziò da zero e «passò a mia nonna Fernanda, ultima Almini, che continuò sulla stessa strada iniziata dal padre». Una storia di famiglia, una storia di coppie (nonno Paolo con la nonna, il padre Carlo Ruggero con la moglie) che hanno mandato avanti l'attività. Oggi c'è Alessandro con la moglie Claudia e la sorella Valentina. «Abbiamo sempre cercato di fare cose uniche, offrendo qualcosa che non c'è e anticipando proposte particolari».

Come il metodo Almini reverse, un modo di fare le scarpe che viene da lontano. «Sono serviti tre anni di messe a punto prima di trovare il modo giusto di cucire una scarpa al rovescio. Soprattutto è stato fondamentale intervistare mia nonna che aveva imparato la tecnica dal bisnonno ed è riuscita a trasmetterla. Questo processo consente di dare subito alla calzatura la forma giusta, come se questa si modellasse direttamente sul piede».

Scendendo nei particolari, come viene realizzata?

«La tomaia viene cucita sul retro della suola e rigirata, operazioni fatte tutte a mano. Questo permette di non avere né un sottopiede tra la suola e la tomaia né un doppio incollaggio, ottenendo una morbidezza e una flessibilità impareggiabili. La tecnica reverse viene applicata dalle slim effetto sottile, dove la suola va a fondersi in un pezzo unico con la tomaia, fino al classico good year. Produrre un modello Almini è un processo complesso, assimilabile alla realizzazione dei meccanismi degli orologi di alta gamma, interamente manuale, dove ogni parte che compone la calzatura viene trattata come materia viva in continua trasformazione e che richiede abilità ed esperienza che permettono di lavorare pellami esclusivi e preziosi come il baby calf 8 millimetri».

Anche le colorazioni sono di quelle che non si vedono facilmente.

«La scarpe sono sfumate in modo naturale con un procedimento antico chiamata patina, o glassage, in modo da evidenziare i decori e le cuciture dando una sensazione di tridimensionalità. Originariamente si faceva intingendo uno straccio nel colore e sfregando la pelle che però così si macchiava. Noi ci siamo ispirati al make up e usiamo pennelli proprio come se dipingessimo un volto su una tela: è molto più laborioso, ma il risultato è davvero speciale».

Lei descrive lavori di grande manualità, sinonimo di artigianalità. Artigiani che formate voi?

«Sì, perché di artigiani ce ne sono sempre meno e non ci sono scuole che insegnano questi lavori antichi. Alleviamo giovani che hanno voglia di imparare e apprezzano l'artigianalità e la tradizione visti così come un mestiere artistico. All'inizio hanno dovuto “rubare" i segreti agli anziani, gelosi di tramandare il loro sapere. Il passaggio generazionale non è stato semplice ma oggi siamo l'azienda più giovane, 30 anni di media, della Lomellina. Sessanta persone di cui il 60% donne».

Fate scarpe di altissima qualità e, in particolare, siete leader mondiali nel campo del sandalo arabo.

«Tutto iniziò casualmente circa 30 anni fa. Un arabo arrivò a Milano e chiese dove farsi fare delle calzature. Lo indirizzarono a Vigevano in un'azienda dove, ai tempi, noi eravamo terzisti. Loro non ne avevano il tempo e passarono a noi la palla. Mio padre colse l'occasione: fu la svolta».

Una vera e propria specializzazione.

«Abbiamo una quantità incredibile di modelli perché ogni Paese ha il proprio sandalo. È la loro calzatura, la indossano tutti. I sandali più preziosi sono in alligatore della Louisiana, poi ci sono quelli realizzati con la tecnica a pizzicotto. A volte, a prodotto finito andiamo a disegnare dei decori che si identificano con il modello. C'è una forma di sandalo che va bene sia negli Emirati arabi sia in Arabia Saudita, alcuni non sono caratteristici di una zona e possono piacere anche agli occidentali. Ci sono sandali con un leggero tacco e infradito, altri hanno una striscia di pelle che abbraccia il tallone, altri hanno una piccola zeppa. Si possono trovare da Harrod's ma solo in certi periodi. Viaggio molto spesso nel Golfo Persico e negli Emirati e raccolgo le ordinazioni. Altrimenti i clienti possono venire nel nostro negozio in via Bagutta a Milano, dove si trova l'intera collezione. Facciamo anche sandali da donna su ordinazione e, in particolare, per i matrimoni. Serviamo diversi sceicchi e le famiglie reali».

Che siano sandali o scarpe, Almini conferma la capacità tutta italiana di essere un'eccellenza, di saper trattare una calzatura come un guanto e di accontentare la più svariata clientela. «L'obiettivo è ora arrivare anche in nuovi Paesi e varcare altri confini. La nostra forza sta nella qualità, requisito indispensabile, regola ferrea che risale all'inizio del Ventesimo secolo».

Almini

Almini

La parola preferita dalla famiglia Cimmino è sfida. È stata una sfida quando, nel 2001, da un'idea dell'imprenditore napoletano Gianluigi Cimmino è nato Yamamay, un marchio che oggi vanta una rete di vendita capillare, presente in Italia con 487 negozi monomarca e all'estero con 178. Ed è una sfida l'apertura del nuovo flagship store di Milano con il quale il gruppo fa il suo ingresso nel settore del cibo con un partner d'eccezione come Panino giusto e una location d'impatto nella centralissima piazza Cordusio.

Il nuovo concept store si trova in un elegante palazzo dei primi del Novecento, uno spazio di 1.000 metri quadrati con ingresso comune, suddiviso su due piani che ospitano a piano terra il negozio di Yamamay e a quello superiore Panino giusto, che inaugura in questa occasione la formula Panino giusto first floor.

Il senso più profondo della partnership viene raccontato dalle due importanti figure femminili delle rispettive aziende, Barbara Cimmino, responsabile ricerca e sviluppo di Yamamay, ed Elena Riva, presidente di Panino giusto, entrambe impegnate nella responsabilità sociale e nell'empowerment femminile. I valori comuni , come l'italianità, l'impegno per l'innovazione e l'attenzione al consumatore, hanno favorito la volontà di fare sistema. Vantaggi competitivi comuni alle due aziende e segreto del loro successo internazionale. Il desiderio di Yamamay e di Panino giusto è infatti quello di creare uno spazio trasversale, pensato per tutti i momenti della giornata, offrendo nello stesso palazzo occasioni complementari di un'esperienza unica.

« Quest'apertura», spiega Barbara Cimmino, «è per noi una grande sfida perché presenta due grandi novità: questo è il primo negozio Yamamay che ci vede in partnership con un player della ristorazione casual dining, ed è anche il nostro primo store pensato in ottica omnichannel. Monitor touch screen interattivi, pagamenti in mobilità, un ologramma in 3D che permette la visione di immagini tridimensionali in movimento, insomma una sfilata virtuale: queste sono solo alcune delle importanti novità».

Il progetto rappresenta una nuova esperienza per il brand di intimo che collabora con Accenture per offrire un servizio sempre più personalizzato, con tanto di fashion stylist virtuale. «Vogliamo offrire ai nostri clienti una shopping experience più completa, varia e interattiva, insomma più customizzata. Mi piace pensare al flagship store di Milano come a un luogo di passaggio che coniuga moda, food e innovazione tecnologica, insomma uno spazio di contaminazioni e sperimentazioni, il tutto nel rispetto dell'ambiente: tutti gli arredi di questo negozio sono infatti stati realizzati grazie alla collaborazione dell'architetto Adamo Tortoli e poi prodotti dallo studio Tecna, partner decennale del gruppo, nel pieno rispetto delle normative ambientali e con l'utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili. Questo progetto segna un ulteriore e importante passo per rafforzare la presenza di Yamamay nella capitale italiana della moda, in un'area in trasformazione come quella di piazza Cordusio».

Yamamay

Orequo rispolvera l'eleganza senza tempo del foulard

Quelli di Hermès vanno addirittura all'asta. D'altronde la storia del foulard più famoso al mondo racconta di un mito senza tempo, insuperato, il cui valore è rimasto intatto nel tempo. La nascita del carré di Hermès è datata 1937 e da allora non ha mai perso il suo prestigio, nemmeno quando il quadrato di seta è andato fuori moda. Da quelli di Gucci a quelli di Emilio Pucci erano delle vere e proprie opere d'arte ma, nonostante questo, sono finite, dimenticate, nei cassetti più nascosti. La moda, si sa, non cancella mai nulla. Mette in un angolo per poi ritirare fuori come se fosse la grande novità di stagione. È il caso dei foulard non più classificati come un oggetto antico che invecchia. Anzi. Gli svariati modi in cui si può utilizzare ne fanno un accessorio capace di dare luce al volto, di rinnovare una borsetta, di trasformarsi in cintura.

Questa primavera estate ha riscoperto il foulard, visto su tante passerelle, da Tom Ford a Dior a Max Mara. Quello più nuovo si chiama «durag o do-ragd» ed è il modo in cui lo si porta: annodato in testa in un modo speciale al punto che in rete ci sono tutorial che insegnano a indossarlo correttamente. Tra le novità, quelli di Orequo. La collezione «Muse» è ispirata alle incisioni di Virgil Solis, pittore tedesco del 1500, dedicate all' intrigante ed enigmatico mondo femminile incarnato da figure mitologiche come Calliope, Erato, musa della poesia amorosa, Melpomene, musa del canto e Clio, musa della storia. Le figure sono in bianco e nero, inserite in una cornice di pattern geometrici e dai colori vibranti. La collezione «Maschere» è ispirata alle illustrazioni dei personaggi della commedia dell'arte realizzate da Maurice Sand, disegnatore francese del 1800, con Arlecchina, Colombina, Corallina e Silvia in primo piano, tra disegni di uccelli e fantasie tropicali.

La collezione «Urbana» propone un'immagine affascinante e suggestiva di simboli, paesaggi e tradizioni di quattro grandi metropoli europee: Roma, Parigi, Londra e Barcellona. Le nuove linee di foulard realizzate in twill 100% seta sono presentate in tre misure: 70x70, 90x90 e 140x140. Non mancano le stole realizzate in seta e cashmere ispirate a capolavori di Klimt, Kandinskij, Klee e Delaunay. Straordinarie quelle che riportano disegni in libertà tratte da fiabe: Pinocchio, ad Alice nel Paese delle Meraviglie, al Mago di Oz e al Libro della giungla. Colori magici e atmosfere da sogno.

Saldarini propone esclusive e speciali per una gamma completa di foulard in pura seta 90 per 90. Le disegnature sono astratte o geometriche nei caldi colori estivi, oppure nei più classici motivi floreali e ancora estremamente eleganti nel motivo marina. Soggetti differenti, sempre eleganti nel perfetto stile che da sempre distingue la produzione dell'azienda di Como. Risale al 1882 la fondazione dell'azienda che deve a Carlo Saldarini l'idea di una filanda di seta che cresce rapidamente negli anni, diventando una delle industrie più importanti del distretto serico comasco, con una piccola ma preziosa collezione di cravatte. Alla fine degli anni Sessanta la produzione viene estesa ai foulard da donna. La famiglia Saldarini è ancora unica proprietaria della società diretta e gestita dalla quinta generazione, rappresentata da Francesco Saldarini e sua moglie Laurence Vanderhaegen. È dal 2016 che il progetto Saldarini 1882 segna un nuovo percorso stilistico che parte dalla tradizione e si sviluppa tra ricerca ed evoluzione per realizzare un capo spalla imbottito in puri fiocchi di cashmere. Un prodotto brevettato, il piumino senza piume, sostenibile ed ecologico.

I foulard di Orequo

Telecamere ovunque per spiare i cittadini
iStock
Dopo il fallimento su migranti e sicurezza, i laburisti aumentano la vigilanza nel Regno Unito chiedendo di scannerizzare i volti dei britannici. Ma così si imita solamente il modello cinese, che sorveglia tutto e non lascia alcuna libertà (e privacy) alle persone.

La proposta viene dalla sinistra inglese. Da quella parte politica che ha maggiormente aperto le porte del Regno Unito all’immigrazione incontrollata e che, in occasione delle rivolte contro i richiedenti asilo ospitati a Epping (uno dei quali aveva violentato una bambina), si è schierata al fianco di questi ultimi e contro i cittadini britannici che chiedevano più sicurezza. Che ormai non c’è, come dimostrano le numerose aggressioni e gli omicidi, spesso di giovani donne, degli ultimi tempi, dovuti anche a centinaia di migliaia di migranti di cui si sono perse le tracce. Scomparsi nel nulla. Fantasmi.

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Francia e Germania litigano sul loro programma: così Parigi potrebbe rimanere da sola.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto, in audizione davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato, ha toccato l’argomento Gcap (Global combat air programme), ovvero il sistema d’arma aereo di prossima generazione sul quale lavorano e lavoreranno decine aziende italiane coordinate da Leonardo, altrettante realtà inglesi sotto Bae System e un gruppo di aziende giapponesi tra le quali Mitsubishi e Ihi. Crosetto ha spiegato: «Il Gcap non è un aereo, è una piattaforma tecnologica […]. Sono tecnologie che noi non abbiamo e che siamo arrivati ad avere in condivisione quasi totale. Si sta aprendo un rapporto molto forte con il Giappone e ci serve molto dal punto di vista della crescita industriale».

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Crosetto: «Rivoluzione nella difesa nel 2026»
Guido Crosetto (Ansa)
Il ministro annuncia una «riorganizzazione totale» che comprende «uomini e strumenti giuridici». La realtà di oggi, spiega, esige velocità. E spinge per riaffidare Strade sicure alla polizia: «I soldati servono altrove». Ma su questo rischia una frattura con la Lega.

Tutto il resto è naja: il tema della leva volontaria in Italia, lanciato alcuni giorni fa in Francia dal ministro della Difesa Guido Crosetto, è al centro della audizione di ieri dello stesso Crosetto alle commissioni Difesa congiunte di Senato e Camera. «Sulla leva», spiega Crosetto, «almeno abbiamo innescato un dibattito: c’è la necessità di aumentare le forze armate e la loro qualità utilizzando anche competenze che si trovano sul libero mercato e non tra i militari. C’è bisogno di una riserva selezionata, servono meccanismi per attirare persone, incentivi economici. Sono temi che a gennaio-febbraio vorrei porre al parlamento». I primi mesi dell’anno vedranno Crosetto proporre una riforma complessiva delle Forze armate: «Voglio portare in parlamento», precisa il ministro, «il tema della riorganizzazione totale della Difesa: significa costruire una Difesa dal punto di vista degli uomini, degli strumenti normativi e giuridici a 360 gradi per affrontare le sfide del futuro. C’è bisogno di una Difesa in grado di cambiare, se serve, perché in un mondo fluido dobbiamo essere pronti ad avere una Difesa che può adeguarsi con una velocità che non c’era richiesta fino a qualche anno fa». In serata Crosetto interviene anche sulla polemica scatenata dalle frasi dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone sui possibili attacchi preventivi della Nato sul fronte cyber: «È stata rilanciata dalla Russia per alimentare il racconto che l’Occidente volesse attaccarla», afferma in un programma Rai. «È parte della guerra ibrida».

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L’oro di Bankitalia è dello Stato come è scritto nei trattati europei
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La Bce non boccia l’emendamento di Fdi, ma conferma il parere dato nel 2019: ciò che conta è che Palazzo Koch controlli le riserve.

«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato in nome del popolo italiano» è il testo della proposta di emendamento alla legge di bilancio 2026 formulata dal capogruppo senatore di Fdi Lucio Malan. E secondo molti media nostrani la Banca Centrale Europea avrebbe bocciato questa proposta. Falso. E spieghiamo perché.

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