2024-01-10
Dodici anni di singhiozzo all’Ilva lasciano per strada due punti di Pil
Catena di errori partita da lontano, aggravata dalle mosse grilline, mette in crisi l’acciaio italiano. Velina di Mittal per confermare l’intenzione di acquisire impianti e investire. Lucia Morselli vuole tenere la presa sul cda.Dodici anni di disastri Ilva con una scodata finale. Così siamo arrivati alla situazione odierna. Se siamo arrivati al pericoloso pantano attuale è perché in tutti questi anni si sono sommati gli errori senza mai cercare di prendere in pugno la situazione e inserire il polo produttivo nel contesto internazionale che andava a formarsi. Nei fatti tutto nasce nel 2011 quando il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, mise mano a un ampio documento, oltre un migliaio di pagine, destinato a mettere ordine allo stabilimento e ridurre le emissioni inquinanti diventate nel frattempo insostenibili. Va detto che nei decenni precedenti, attorno all’impianto fu costruito un quartiere che a oggi ospita circa 18.000 abitanti. Una scelta folle di cui nessuno degli amministratori locali ha mai risposto in alcuna sede. Eppure all’indomani dell’emanazione dell’Autorizzazione integrata ambientale la risposta è arrivata dalla magistratura pugliese che, per tramite del gip di Taranto, ha disposto il sequestro dello stabilimento «senza facoltà d’uso». In pratica si è presa l’Ilva e la si è infilata su un binario con la premessa più sbagliata possibile. Si è messo a confronto la salute con il lavoro, presupponendo che si potesse scegliere solo uno dei due. Premessa sbagliata perché ha di fatto azzoppato un colosso che aveva sicuramente molte colpe ma che garantiva all’Italia un posto d’onore nel consesso del G7 e perché non ha rispettato le linee della Costituzione nella quale lavoro e salute sono messe allo stesso piano. Due concetti di semplice buon senso. Nel 2014 viene promulgato un nuovo piano ambientale, con un handicap di fondo. A gestire la baracca è il commissario Piero Gnudi e l’input del governo è vendere il tutto così come è. Non una grande idea se si vuole ottimizzare quello che resta e riparare ai danni precedenti. Cambia governo e cambia commissario. Con Matteo Renzi, Ilva spa viene finalmente posta in procedura di amministrazione straordinaria. Renzi, bisogna dargli atto, capisce che spetta allo Stato sistemare la produzione e l’ambiente soltanto dopo vendere gli asset. Nel frattempo nonostante l’impianto sia tornato a poter produrre 10 milioni di tonnellate deve tenere il freno tirato: non può superare i 6 milioni per via delle norme ambientali successive. E quindi via di cassa integrazione. Se ne va Renzi e arriva Paolo Gentiloni. Sempre con il freno tirato si decide però di mettere in vendita il gruppo. Si fanno avanti due cordate. Una guidata da Cdp, turchi, indiani e Arvedi e l’altra capeggiata da Arcelor Mittal, con la partecipazione del gruppo Marcegaglia. Da subito Renzi si dice contrario ai franco indiani ritenendo che la presenza tricolore sarebbe stata troppo leggera mettendo in pericolo la strategia nazionale. Eppure avviene il contrario. La cordata Cdp perde e vince l’altra. Offerta economica superiore a fronte di un bando per il 50% basato solo sull’entità dell’assegno. Dopo poco Marcegaglia si diluisce e perde il suo 15%. Esattamente il rischio previsto. Arcelor Mittal nel 2018 resta così sola a gestire gli impianti e a portare avanti la propria strategia. Che non è quella di rilanciare la produzione ma di affossare un Paese competitore. In ottemperanza alle richieste dei commissari nel 2015 veniva creato uno scudo penale che difende gli amministratori da illeciti ambientali compiuti nell’ambito di un percorso di bonifica. I 5 stelle alla fine del 2019 fanno saltare in Parlamento lo scudo penale (confermato da Conte e previsto a livello contrattuale) così Arcelor Mittal, dopo aver stappato una bottiglia di Champagne, prende la scusa per chiedere una revisione del contratto. Cosa che avviene e ci porta alla situazione attuale. Stato e Arcelor Mittal a dicembre 2020 pattuiscono una joint venture, fissando alla data di maggio 2022 la scadenza per il cambio di controllo. Cioè, il passaggio delle quote di Invitalia dal 38% di minoranza al 60 di maggioranza. Arrivati a ridosso della data, gli indiani fanno di nuovo pesare i cambi normativi e ottengono una proroga di due anni. Il governo Draghi si beve la cosa e non fa nulla per cambiare la rotta. Nel frattempo vengono stanziati due miliardi. Per bonifiche e società. Con un problema di fondo che l’attuale governo ha cercato di bypassare per mesi: chi fa l’aumento di capitale? Il no di Arcelor, spiattellato al governo nella riunione di lunedì pomeriggio, ha fatto cadere il castello e riportato l’orologio indietro almeno al 2015, quando ci sono stati i bandi di gara. Carlo Calenda, allora ministro dello sviluppo economico gira le colpe sui suoi successori. «La Paita sbraita. Lei e Renzi hanno sempre difeso Mittal e osteggiato chi voleva prender atto della realtà. È proprio per questo da mesi attaccano il ministro Urso», ha commentato Matteo Gelmetti di Fdi. «Ora finalmente si prende atto che il socio privato non ha alcuna intenzione di investire». In questa enorme confusione, le colpe più gravi sono imputabili a Conte, ma spetta a questo governo trovare una soluzione. Almeno rimediando alle sviste dell’ultimo semestre. Intanto, al di là dei circa 8 miliardi pubblici iniettati, possiamo dire che rielaborando dati Svimez la crisi Ilva ha tolto al Pil quasi due punti percentuali. Che succede ora? «ArcelorMittal è favorevole all’acquisizione degli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria, che era originariamente prevista per maggio 2022 e in seguito posticipata a maggio 2024», riporta Adnkronos citando fonti vicine agli indiani. L’azienda «si sarebbe aspettata di poter continuare a esercitare il ruolo di partner industriale di Invitalia, con il medesimo status di controllo al 50% anche a pesi azionari invertiti. E in quest’ottica, Arcelor Mittal conferma la volontà di collaborare con il governo italiano a livello tecnico e tecnologico per la decarbonizzazione e la transizione ambientale dell’azienda». Che gioco stia giocando Lucia Morselli non è facile da capire. Di certo l’obiettivo è rimanere in sella e continuare a gestire Taranto. Sapendo che allo Stato serve un partner industriale che sia anche un colosso estero.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)