2024-06-04
I colossi del web hanno il sonnifero per addormentare i cani da guardia
Nel saggio di Cory Doctorow una visione controintuitiva della sorveglianza digitale: le nostre libertà non sono messe a rischio dalla tecnologia, ma da società troppo grandi e intrecciate agli Stati per essere limitate da essi.Cory Doctorow è tutt’altro che un «apocalittico» tecnologico. Scrittore, giornalista, attivista e blogger, è un teorico della libertà di copyright digitale. Pubblichiamo per gentile concessione dell’editore stralci da un capitolo di «Come distruggere il capitalismo di sorveglianza» (Mimesis, 156 pagine, 16 euro), appena uscito. Il testo raccoglie le riflessioni di Doctorow che reagisce in modo critico al celebre saggio di Shoshana Zuboff («Il capitalismo della sorveglianza», tradotto in italiano dalla Luiss University Press). L’autore contesta che la tecnologia digitale in quanto tale presenti caratteristiche in grado di coartare la libertà degli utenti: a suo avviso, il problema risiede nella correlazione troppo stretta tra autorità statuali (americana, ovviamente, in primis) e colossi digitali, che impedisce ai governi di agire a tutela della cittadinanza smontando monopoli troppo potenti. Il brano proposto spiega come queste società (Amazon, Google, Apple) siano troppo legate all’amministrazione Usa perché quest’ultima agisca «contro» di loro.Solo i più estremisti ideologi del mercato capitalista pensano che possa autoregolarsi senza la supervisione dello Stato. I mercati hanno bisogno di cani da guardia - arbitri, legislatori e altri elementi di gestione democratica - che ne mantengano le regole in modo onesto. Quando questi cani da guardia si assopiscono, i mercati cessano di favorire l’aggregazione delle scelte dei consumatori, perché tali scelte sono limitate da attività illecite e fuorvianti e le aziende possono farla franca perché nessuno le chiama a rispondere del loro operato. Ma questo tipo di regolamentazione normativa non è a buon mercato. In settori competitivi, dove i rivali erodono costantemente i margini gli uni degli altri, le singole aziende non hanno il capitale in eccesso per fare efficacemente pressione e ottenere leggi e regolamenti che servano ai loro scopi. Molti dei danni del capitalismo della sorveglianza sono il risultato di una disciplina debole o inesistente. Questi vuoti normativi derivano dalla capacità dei monopolisti di osteggiare una definizione più incisiva degli ordinamenti e di adattarsi a quella esistente per favorire le loro attività correnti. Ecco un esempio, quando le aziende raccolgono e conservano in modo massivo i nostri dati, aumenta il rischio che subiscano una violazione. Non è possibile rivelare dati che non siano mai stati raccolti e, una volta cancellate tutte le copie di quei dati, non è più possibile renderli pubblici. Per oltre un decennio abbiamo assistito a una parata infinita di violazioni sempre più gravi dei sistemi, tutte sono state molto pesanti sia per la portata dei dati violati che per la loro sensibilità.Tuttavia, le aziende continuano a raccogliere e conservare le nostre informazioni personali e questo accade principalmente per tre motivi:1. Sono impegnate nella già citata corsa agli armamenti limbici, attuata contro la nostra capacità di rafforzare i sistemi di difesa dell’attenzione che ci servono per resistere alle loro nuove tecniche di persuasione. Sono anche impegnate in una corsa agli armamenti contro i loro concorrenti con l’obiettivo di trovare nuovi metodi per indirizzare ai propri potenziali clienti le proposte di vendita. Non appena scoprono un punto debole nelle nostre difese attentive (un modo controintuitivo e non ovvio per colpire i potenziali acquirenti di frigoriferi) il pubblico inizia ad accorgersi della tattica e i loro concorrenti vi si buttano a capofitto, affrettando il momento in cui tutti gli ipotetici acquirenti di frigoriferi si saranno assuefatti a questa tecnica.2. Credono fortemente alla storia del capitalismo della sorveglianza. I dati sono poco costosi da aggregare e immagazzinare e sia i sostenitori che gli oppositori del capitalismo della sorveglianza hanno assicurato ai manager e ai progettisti che, se raccolgono abbastanza dati, saranno in grado di compiere prodigiosi gesti di manipolazione mentale, aumentando straordinariamente le vendite. E anche se non riuscirai mai a capire come trarre profitto dai dati, qualcun altro si offrirà di acquistarli da te per fare una prova. Ecco il segno distintivo di tutte le bolle economiche: acquistare un bene partendo dal presupposto che qualcun altro lo comprerà per un prezzo superiore a quello a cui tu l’hai pagato, spesso per rivenderlo a qualcun altro a un prezzo ancora più alto. 3. Le sanzioni per la divulgazione dei dati sono trascurabili. La maggior parte dei paesi limita le sanzioni ai danni effettivi, il che significa che i consumatori che hanno subito una violazione per ottenere una compensazione devono dimostrare di aver affrontato un danno monetario effettivo. Nel 2014, Home Depot ha rivelato di aver perso i dati delle carte di credito di 53 milioni di clienti, ma ha risolto la questione pagando a questi clienti circa 0,34 dollari a testa - e un terzo di questi 0,34 dollari non è stato nemmeno pagato in contanti. Si è trattato di un credito per l’acquisto di un servizio di monitoraggio del credito (per altro largamente inefficace). Ma i danni derivanti dalle violazioni sono molto più estesi di quanto queste regole sui «danni effettivi» riescano a cogliere. I ladri di identità e i truffatori sono astuti e dotati di un’infinita inventiva.[…] E poi c’è il controllo dello Stato, che la storia del capitalismo della sorveglianza respinge come una reliquia di un’altra epoca, quando il grande pericolo pubblico era quello di essere arrestati per dissidenza politica, e non di essere privati del proprio libero arbitrio grazie all’apprendimento automatico. Ma la sorveglianza statale e la sorveglianza privata sono intimamente legate, come abbiamo visto quando Apple è stata arruolata dal governo cinese come collaboratore fondamentale nelle attività di controllo. Oggi l’unico modo veramente conveniente e concreto per condurre una sorveglianza di massa sulla scala praticata finora dagli Stati moderni - sia quelli «liberi» che quelli autocratici - è quello di subordinarli ai servizi commerciali. Che si tratti dell’uso di Google come strumento di localizzazione da parte delle forze dell’ordine sul territorio degli Stati Uniti o il monitoraggio dei social media da parte del Dipartimento di Sicurezza Nazionale (per esempio per costruire dossier sui partecipanti alle proteste contro le pratiche di separazione familiare dell’Immigration and Customs Enforcement), qualsiasi limite effettivo al capitalismo della sorveglianza ostacolerebbe la capacità di controllo dello Stato stesso.[…] La sorveglianza combinata con l’apprendimento automatico dovrebbe rappresentare una svolta epocale, un momento di trasformazione della specie in cui il nostro libero arbitrio non è altro che un ulteriore passo avanti nel settore. Sono un po’ scettico su questa affermazione, ma credo che la tecnologia rappresenti una minaccia concreta per la nostra società e forse per la nostra specie. Ma questa minaccia nasce dal monopolio. Una delle conseguenze di questo controllo normativo è che la tecnologia può scaricare la responsabilità delle decisioni sbagliate in materia di sicurezza sui suoi clienti e sulla società in generale. Nel settore tecnologico è prassi che le aziende nascondano il funzionamento dei loro prodotti, li rendano deliberatamente difficili da capire e minaccino i responsabili della sicurezza che cercano di verificare i loro prodotti in modo indipendente. L’informatica è l’unico ambito in cui esiste questa pratica. Nessuno costruisce un ponte o un ospedale e tiene segreta la composizione del materiale d’acciaio o le equazioni utilizzate per calcolare le sollecitazioni di carico. Si tratta di un approccio francamente discutibile che porta, di volta in volta, a difetti di sicurezza grotteschi di dimensioni inverosimili, con intere classi di dispositivi che si rivelano vulnerabili molto tempo dopo la loro introduzione nella vita reale e la loro collocazione in luoghi sensibili. Il monopolio, che impedisce qualsiasi conseguenza significativa per le sue stesse falle, implica che le aziende tecnologiche continuino a costruire prodotti pessimi, insicuri per design, e che finiscono per essere completamente integrati nelle nostre vite, entrando in possesso dei nostri dati e connettendosi al nostro mondo fisico. Per anni, Boeing ha dovuto affrontare le conseguenze di una serie di decisioni tecnologicamente sbagliate che hanno reso la sua flotta di aerei 737 l’ultima ruota del carro del traffico globale, si è trattato di un raro caso in cui decisioni tecnologiche sbagliate sono state seriamente punite dal mercato. Decisioni scellerate in materia di sicurezza sono spesso aggravate dall’uso di vincoli di copyright che hanno l’unico obiettivo di imporre ai consumatori le decisioni relative al modello di business che è stato impostato a monte. Ricordiamo che questi vincoli sono diventati il mezzo principale per modellare il comportamento dei consumatori, rendendo tecnicamente impossibile l’uso di oggetti come l’inchiostro, l’insulina, le applicazioni o i depositi di servizi di terze parti in relazione alla proprietà legittimamente acquisita.Ricordiamo anche che questi vincoli di copyright sono sostenuti da leggi (come la Sezione 1201 del Dmca o l’Articolo 6 della Direttiva sul copyright dell’Unione europea del 2001) che ne vietano la modifica (in quanto «aggiramento») e questi articoli sono stati utilizzati per minacciare chi si occupa di sicurezza informatica in modo che non divulgassero le vulnerabilità senza l’autorizzazione dei produttori. Ciò equivale a un diritto di veto del produttore sulle segnalazioni di sicurezza e sulle critiche. Sebbene ciò sia lontano dall’intento legislativo del Dmca e dei suoi statuti gemelli in tutto il mondo, il Congresso non è intervenuto per chiarirne l’ordinamento e non lo farà, perché ciò andrebbe contro gli interessi dei grandi potentati aziendali, la cui forza lobbistica è inarrestabile. I vincoli sul copyright sono un doppio danno, generano decisioni sbagliate in materia di sicurezza che in più non possono essere studiate o discusse liberamente.Se i mercati devono essere strumenti di aggregazione delle informazioni (e se i raggi di controllo mentale del capitalismo di sorveglianza sono ciò che lo rendono un «capitalismo canaglia», perché negano ai consumatori il potere di prendere decisioni), allora un programma di omissione dei rischi, imposto per legge, rende il monopolio ancora più «canaglia» delle campagne di influenza del capitalismo della sorveglianza. A differenza dei «raggi per il controllo mentale», il silenzio imposto sulla sicurezza è un problema immediato e documentato, che costituisce una minaccia esistenziale per la nostra civiltà e forse per la nostra specie.La proliferazione di dispositivi insicuri - soprattutto quelli che ci spiano e possono anche manipolare il mondo fisico, ad esempio guidando le auto o azionando un interruttore di una centrale elettrica - ci pone difronte a una sorta di debito tecnologico. […]Il debito tecnologico creato dai vincoli sul copyright non è un debito individuale, bensì sistemico. Tutti nel mondo sono esposti a questo eccesso di potere, come nel caso della crisi finanziaria del 2008. Quando il debito arriverà alla scadenza - quando cioè ci troveremo di fronte a una cascata di violazioni nei sistemi di sicurezza che metteranno a repentaglio, a livello globale, le spedizioni e la logistica, l’approvvigionamento alimentare, le catene di produzione farmaceutica, le comunicazioni di emergenza e altri sistemi critici che stanno accumulando debito tecnologico - si tratterà davvero di un rischio vitale, che è in buona parte dovuto alla presenza di vincoli sul copyright deliberatamente insicuri e volutamente non arginabili.
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo