2023-09-12
No vax serbo batte russo «filo Putin» nella finale-rivincita tra gli epurati
Da sinistra: Daniil Medvedev e il vincitore degli US Open Novak Djokovic (Ansa)
Novak Djokovic ha conquistato gli Us Open superando Daniil Medvedev nel match più temuto dal conformismo mondiale. Sono due tennisti «impresentabili»: il primo per le scelte sul vaccino anti Covid, il secondo per la nazionalità.«Meglio non vaccinato che russo». I 24.000 spettatori dell’Arthur Ashe Stadium di New York hanno impiegato un nanosecondo a decidere e hanno tifato «Novax» Djokovic, com’era stato soprannominato con sprezzante livore il fuoriclasse serbo negli anni della pandemia (anche culturale). Lui non aveva bisogno della claque. Nella finale degli Us Open di tennis gli è bastato il suo miglior tennis con una spruzzata di serve and volley per liquidare Daniil Medvedev in tre set (6-3,7-6,6-3) e senza stropicciarsi la maglietta. Neppure le consuete macumbe dei virologi italiani - soprattutto Roberto Burioni e Matteo Bassetti - hanno avuto effetto: Nole è volato via leggero e imprendibile ancora una volta. Un airone oltre il pregiudizio, oltre l’infantilismo «gnè-gnè» degli sciamani sanitari in astinenza da televisione.Asciugatosi il sudore, anche Medvedev ha festeggiato. Ha ripercorso mentalmente il suo torneo, ha ripensato al modo imperioso con il quale ha eliminato Alex de Minaur, il connazionale Andrej Rublev, soprattutto il piccolo principe Carlos Alcaraz, aggrappandosi alla finale più temuta dagli americani e più indigesta per il conformismo del mainstream mediatico occidentale. Perché Djokovic-Medvedev è stata la rivincita degli epurati. Il serbo fu cacciato dai campi due anni fa perché voleva decidere in autonomia se farsi (o non farsi) iniettare il vaccino, il russo fu espulso dal consesso civile semplicemente perché russo, quindi per proprietà transitiva amico di Vladimir Putin. Un po’ come il direttore d’orchestra Valery Gergiev e Fedor Dostoevskij.Due volti e un destino, quello degli esiliati presi a sassate, dei presunti indegni inseguiti dagli anatemi del perbenismo militante che li avrebbe voluti a piedi nudi, dentro un saio di juta, penitenti nella neve perché colpevoli di avere riassunto su di sé i peccati originali più infamanti. Quando Djokovic voltò le spalle al vaccino fu lapidato in piazza, destinatario di una charachter assassination globale, sputazzato sulla pubblica via. Ogni sua sconfitta, per Burioni era un trionfo: «Carriera definitivamente rovinata». Anche quando dominava, nessuna pietà: «Un cretino novax che vince le Olimpiadi non diventa una persona intelligente, ma un cretino olimpionico», infieriva il virologo specializzato nel doppio fallo. E ancora, mai placato, come se fosse un braccio di ferro personale e Nole sapesse chi è: «Resta un campione con la c minuscola perché sul Covid doveva dare l’esempio». Un’acredine che diventava tifo per i suoi avversari. Quando Alcaraz ha battuto Nole sull’erba più famosa del mondo, lo scienziato cotonato ha twittato: «Effetti collaterali della vaccinazione: vincere Wimbledon». Più volte nel sabba censorio è intervenuto Matteo Bassetti (in una specie di fantozziano doppio all’alba), che dedicava agli avversari del serbo parole di miele: «Si può essere bravi, talentuosi, simpatici….e vaccinati. Che godere». Domenica notte, a 36 anni, «Novax» Djokovic ha vinto il ventiquattresimo titolo del grande slam, ha festeggiato indossando la maglia numero 24 di Kobe Bryant per ricordare l’amico scomparso, è numero uno indiscusso del mondo e se conquista il titolo in Australia in gennaio diventa il tennista più vincente della storia. Burioni e Bassetti questa volta hanno girato al largo, già sbilanciati sulla variante Eris.Allo scoppio della guerra in ucraina, al russo Medvedev fu chiesta immediata abiura dal mondo libero (come se già la definizione non fosse paradossale). Poi gli fu impedito di giocare, neanche fosse un ufficiale della Wagner, e solo quest’anno è tornato a palleggiare regolarmente salvo buon fine. «Cerco di andare torneo per torneo, ogni Paese ha le sue regole», ha detto a Roma durante gli Open d’Italia. «Ora sono qui, felice di giocare a tennis, di dedicarmi a ciò che amo di più e di promuovere questo sport in tutto il mondo. Questo è tutto quello che commenterò, non ho niente da dire su Wimbledon. Tutti sanno cosa sta succedendo, è impossibile ignorarlo e la gente ha diversi punti di vista. Ho sempre detto che sono per la pace».Più lui tentava di galleggiare ai margini di una realtà delirante, più il sistema lo stritolava e i giornalisti infierivano provocando risposte come questa: «È molto difficile nella vita parlare di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ho le mie opinioni e ne parlo con la mia famiglia, con mia moglie, con cui posso discutere anche se non siamo d’accordo». Una sola volta si è lasciato andare, sfinito d’essere tacciato di sovranismo russo: «Riguardo alla situazione della guerra, nessuno in questo mondo, atleti russi o bielorussi compresi, sostiene la guerra. Nessuno. Come possiamo sostenere la guerra? Se le nostre parole potessero fermare la guerra, noi lo faremmo. Ma sfortunatamente non è nelle nostre mani. Il mio messaggio è portare gioia alle persone mostrando il mio miglior tennis».Ieri sulla homepage di molti siti mainstream italiani la sfida fra il Novax e il russo è scivolata presto nelle retrovie, vicino all’oroscopo e alla pubblicità dei callifughi. Retropensiero di redazione: gente strana, in fondo due reazionari, meglio non enfatizzare signora mia. Allora vale la pena ricordare una scena: dopo il successo nei quarti di finale contro Taylor Fritz, Djokovic ha afferrato il microfono della speaker e ha invitato il pubblico a cantare con lui Fight for your right dei Beastie Boys. Combatti per i tuoi diritti. Vale per tutto, non solo per ciò che fa comodo al potere. Nello stadio si è alzato un coro convinto. Anche Medvedev avrebbe cantato.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)