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2021-03-11
Il governo si divide sui nuovi divieti. Salvini e Sileri alleati contro il lockdown
Pierpaolo Sileri (Ansa)
Regna l'incertezza, sia sul fronte dei ristori che su quello delle nuove misure anti Covid. Se quella di ieri sera doveva essere, a Palazzo Chigi, la riunione decisiva per mettere a punto la nuova stretta, alla fine tutto si è risolto, dopo un incontro di un'ora e mezza, in un ulteriore rinvio, in attesa di dati più aggiornati, che a questo punto non potranno che essere quelli del monitoraggio settimanale dell'Iss. E se il ritardo nell'emanazione del dl Sostegno comincia a far emergere un malumore sempre più palese da parte di alcuni settori della maggioranza, le nuove chiusure rischiano di esaltarne le divisioni, riproponendo anche gli attriti tra potere centrale e amministratori locali che hanno contraddistinto la prima fase della pandemia. Di certo, infatti, per ora c'è che sotto la spinta dell'ala più intransigente dell'esecutivo, capeggiata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il dpcm entrato in vigore solo qualche giorno fa (il 6 marzo) all'insegna di un nuovo approccio alla questione che avrebbe tenuto conto delle istanze dei soggetti maggiormente colpiti dalle misure, fornendo loro un cospicuo periodo di anticipo nella comunicazione delle stesse, è di fatto lettera morta. Non solo: la nuova stretta, secondo quanto filtra, potrebbe partire già da questo weekend, con il preavviso di un giorno solo che è stato ferocemente criticato dai diretti interessati per tutto l'operato del Conte bis.
Venendo al merito di quello che potrebbe toccare in sorte agli italiani già nelle prossime ore, l'ipotesi prevalente è che si torni esattamente al complesso delle misure messe a punto dal precedente esecutivo nel periodo natalizio. Il che vuol dire, sostanzialmente, uniformare le restrizioni in tutto il Paese nei weekend, comprese le Regioni che sono in fascia gialla, con negozi, bar e ristoranti chiusi. Ma su come declinare nel dettaglio queste nuove limitazioni agli spostamenti, i punti di vista sono più di uno, e non hanno mancato di emergere sia sottotraccia, nella riunione a Palazzo Chigi di ieri tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, i ministri più importanti, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, sia attraverso pubbliche dichiarazioni degli esponenti politici.
Ad esempio, non è ancora chiaro se si vorrà dichiarare, nei weekend, tutta Italia zona rossa o zona arancione. E la differenza non è di poco conto, perché nei fine settimana «arancioni» del trascorso periodo festivo era consentito circolare liberamente all'interno del proprio Comune tra le 5 del mattino e le 22, mentre se dovessero prevalere i «rigoristi», stavolta il colore sarebbe il rosso e ci sarebbe il lockdown duro, quello in cui, come un anno fa, ogni spostamento non strettamente necessario era vietato. Perché c'è da ricordare che una delle poche novità introdotte dal governo Draghi è stata quella di non consentire, nelle zone rosse, le visite ad amici e parenti, anche per una sola volta al giorno, che prima invece erano consentite. E sarà proibita l'attività sportiva, se non nelle vicinanze della propria abitazione. A rimetterci saranno negozianti, baristi e ristoratori delle zone in cui la curva del contagio è ritenuta sotto controllo, poiché sia nel caso dei week-end arancioni che di quelli rossi, anche loro dovrebbero abbassare le serrande assieme a tutti gli altri, potendo fare solo asporto e consegna a domicilio. Zona gialla che tra l'altro potrebbe mutare in senso più restrittivo nei giorni feriali, con la chiusura dei ristoranti a pranzo e l'anticipo del coprifuoco di due o tre ore, diventando sempre più simile a una zona arancione.
Ma l'impressione è che, al di là di cosa si deciderà per i weekend, con i dati degli ultimi giorni ben presto tutta l'Italia possa ritrovarsi in rosso: è stato infatti il Cts a mettere nero su bianco la richiesta, già avanzata in passato al governo, di prevedere un passaggio automatico in zona rossa per le aree che superino la cifra di 250 contagi settimanali ogni 100.000 abitanti. Proprio sulla base di questo, alcuni sindaci e governatori (che si confronteranno oggi con l'esecutivo) hanno anticipato i tempi e annunciato le chiusure, come sta succedendo in Puglia con il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ha intenzione di andare anche oltre le ipotesi in campo, chiudendo di fatto il capoluogo pugliese alle 19, mentre il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha già fatto sapere di aver disposto la chiusura di tutte le scuole.
Sul fronte politico, chi si sta spendendo di più, nel perimetro della maggioranza, per scongiurare un'ulteriore ondata di chiusure, è il leader leghista, Matteo Salvini, per il quale non c'è bisogno di «chiudere tutto in tutta Italia». Salvini ha aggiunto che «nei weekend non servono più chiusure ma più controlli», e sulla stessa lunghezza d'onda c'è il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, del M5s, sul cui parere, non a caso, ha fatto leva il Capitano («Come ormai sostengono molti medici, il Cts e il sottosegretario Sileri, servono interventi mirati ed efficaci). Il pentastellato ha affermato che non ha senso «penalizzare la parte dell'Italia dove il contagio è sotto controllo» con un lockdown generalizzato di diverse settimane. E con la sua sponda a Salvini («Da lui parole di buon senso», ha commentato), ha consacrato un asse anti serrata.
Dall'opposizione, la presidente di Fdi, Giorgia Meloni, chiede di tutelare i più fragili dal contagio «con posti riservati sui mezzi pubblici, orari dedicati nei supermercati, alla posta e negli uffici pubblici, e con una assistenza domiciliare dedicata a chi la richiedesse». «Se il governo le leggesse», ha aggiunto, «avremmo probabilmente meno morti e meno chiusure».
In Svezia meno morti senza serrate. E la Svizzera conferma l’ok allo sci
Primi a chiudere e ultimi ad aprire ma al top dei decessi. Eppure, nonostante la chiusura delle scuole, di cinema, teatri, centri sportivi, nonostante il coprifuoco con bar e ristoranti sbarrati, l'Italia con oltre 100.000 morti è maglia nera Covid nel mondo. In Europa siamo superati solo dal Regno Unito con 124.000 morti ma che ora, con la campagna vaccinale di massa, sta invertendo la curva. Oltre al dato assoluto, anche il tasso di letalità è tra i più alti. È al 3,25%, il dato peggiore in Europa a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Gran Bretagna è del 2,95% anche se i morti sono superiori. Sono in posizione migliore, Germania con il 2,86%, Spagna con 2,26% e Francia con 2,24%.
Questi numeri però ci dicono che i Paesi che hanno attuato misure più restrittive non hanno risolto affatto il problema del Covid. L'Ispi, l'Istituto di politica internazionale, ha misurato l'incidenza delle restrizioni sulla diffusione del contagio usando una scala da 0 a 100 che indica il massimo del contenimento. Nella prima ondata, l'Italia ha il livello più alto (80) e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia ha 74 con 469 decessi, la Spagna 68 con 645 morti, Regno Unito 60 con 609 vittime. Idem la Germania che però ha solo 112 decessi. La Svezia ha il livello più basso (49) e 571 vittime. Nella seconda ondata, da ottobre 2020 al 10 febbraio 2021 l'Italia è sempre al primo posto (74) seguita da Uk (72), Spagna e Germania (70), Francia (66) e Svezia (63). L'Italia è stata la prima a chiudere le scuole, la Dad è scattata dal 27 ottobre mentre altrove non è arrivata fino a dicembre. Da ottobre 2020 a febbraio 2021, nel nostro Paese si contano 941 vittime per milione di abitanti mentre in Germania 650, in Francia 762, in Svezia 672, in Spagna 718. Solo il Regno Unito a causa della variante inglese arriva a 1.077 vittime per milione di abitanti.
Uno studio dell'Oxford coranavirus government response tracker ha stilato una classifica dei Paesi in base ai giorni di blocco delle attività. Al primo posto c'è l'Irlanda (163) seguita dall'Italia (131). In fondo i Paesi Bassi (110), Regno Unito (104), Belgio (97), Francia (84), Lituania (76). Confrontando questi numeri con le curve epidemiologiche emerge che chi ha attuato misure più restrittive non ha bloccato la pandemia.
In Germania, il lockdown, iniziato poco prima di Natale e fino al 7 marzo, non prevedeva l'obbligo di restare in casa. Da lunedì scorso sono stati riaperti negozi, musei e gallerie nelle aree con bassi contagi. Le scuole sono ripartite da metà febbraio.
In Spagna il coprifuoco ha orari variabili su base regionale e in generale inizia alle 23. A Madrid i ristoranti sono aperti.
La Svezia, che ha un tasso di mortalità tra i più bassi in Europa (122 ogni 100.000 abitanti) non ha mai attuato il lockdown. Dal governo sono arrivati solo inviti alle responsabilità individuali. Uniche limitazioni il divieto degli alcolici dopo le 20 e numero massimo di ingressi nei centri sportivi e commerciali. La mascherina non è obbligatoria.
La Svizzera ha adottato alcune misure di restrizione ma mai il blocco totale. Le stazioni sciistiche sono rimaste aperte. Il tasso di positività è attualmente al 4,58% e nella giornata di ieri sono stati segnalati 14 decessi e 41 ricoveri. I Paesi Bassi hanno adottato, durante la prima ondata, quello che il governo ha chiamato il «contenimento intelligente». I negozi sono rimasti aperti e la popolazione è stata libera di uscire. Solo ultimamente c'è stato un parziale giro di vite con ingressi contingentati nei ristoranti.
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Decisioni rinviate in attesa del monitoraggio Iss. Oggi tavolo con le Regioni. Strappo di Antonio Decaro: «Chiudiamo Bari alle 19».Uno studio di Oxford rivela: chi ha bloccato di più le attività non ha contenuto l'epidemia.Lo speciale contiene due articoli.Regna l'incertezza, sia sul fronte dei ristori che su quello delle nuove misure anti Covid. Se quella di ieri sera doveva essere, a Palazzo Chigi, la riunione decisiva per mettere a punto la nuova stretta, alla fine tutto si è risolto, dopo un incontro di un'ora e mezza, in un ulteriore rinvio, in attesa di dati più aggiornati, che a questo punto non potranno che essere quelli del monitoraggio settimanale dell'Iss. E se il ritardo nell'emanazione del dl Sostegno comincia a far emergere un malumore sempre più palese da parte di alcuni settori della maggioranza, le nuove chiusure rischiano di esaltarne le divisioni, riproponendo anche gli attriti tra potere centrale e amministratori locali che hanno contraddistinto la prima fase della pandemia. Di certo, infatti, per ora c'è che sotto la spinta dell'ala più intransigente dell'esecutivo, capeggiata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il dpcm entrato in vigore solo qualche giorno fa (il 6 marzo) all'insegna di un nuovo approccio alla questione che avrebbe tenuto conto delle istanze dei soggetti maggiormente colpiti dalle misure, fornendo loro un cospicuo periodo di anticipo nella comunicazione delle stesse, è di fatto lettera morta. Non solo: la nuova stretta, secondo quanto filtra, potrebbe partire già da questo weekend, con il preavviso di un giorno solo che è stato ferocemente criticato dai diretti interessati per tutto l'operato del Conte bis. Venendo al merito di quello che potrebbe toccare in sorte agli italiani già nelle prossime ore, l'ipotesi prevalente è che si torni esattamente al complesso delle misure messe a punto dal precedente esecutivo nel periodo natalizio. Il che vuol dire, sostanzialmente, uniformare le restrizioni in tutto il Paese nei weekend, comprese le Regioni che sono in fascia gialla, con negozi, bar e ristoranti chiusi. Ma su come declinare nel dettaglio queste nuove limitazioni agli spostamenti, i punti di vista sono più di uno, e non hanno mancato di emergere sia sottotraccia, nella riunione a Palazzo Chigi di ieri tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, i ministri più importanti, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, sia attraverso pubbliche dichiarazioni degli esponenti politici. Ad esempio, non è ancora chiaro se si vorrà dichiarare, nei weekend, tutta Italia zona rossa o zona arancione. E la differenza non è di poco conto, perché nei fine settimana «arancioni» del trascorso periodo festivo era consentito circolare liberamente all'interno del proprio Comune tra le 5 del mattino e le 22, mentre se dovessero prevalere i «rigoristi», stavolta il colore sarebbe il rosso e ci sarebbe il lockdown duro, quello in cui, come un anno fa, ogni spostamento non strettamente necessario era vietato. Perché c'è da ricordare che una delle poche novità introdotte dal governo Draghi è stata quella di non consentire, nelle zone rosse, le visite ad amici e parenti, anche per una sola volta al giorno, che prima invece erano consentite. E sarà proibita l'attività sportiva, se non nelle vicinanze della propria abitazione. A rimetterci saranno negozianti, baristi e ristoratori delle zone in cui la curva del contagio è ritenuta sotto controllo, poiché sia nel caso dei week-end arancioni che di quelli rossi, anche loro dovrebbero abbassare le serrande assieme a tutti gli altri, potendo fare solo asporto e consegna a domicilio. Zona gialla che tra l'altro potrebbe mutare in senso più restrittivo nei giorni feriali, con la chiusura dei ristoranti a pranzo e l'anticipo del coprifuoco di due o tre ore, diventando sempre più simile a una zona arancione. Ma l'impressione è che, al di là di cosa si deciderà per i weekend, con i dati degli ultimi giorni ben presto tutta l'Italia possa ritrovarsi in rosso: è stato infatti il Cts a mettere nero su bianco la richiesta, già avanzata in passato al governo, di prevedere un passaggio automatico in zona rossa per le aree che superino la cifra di 250 contagi settimanali ogni 100.000 abitanti. Proprio sulla base di questo, alcuni sindaci e governatori (che si confronteranno oggi con l'esecutivo) hanno anticipato i tempi e annunciato le chiusure, come sta succedendo in Puglia con il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ha intenzione di andare anche oltre le ipotesi in campo, chiudendo di fatto il capoluogo pugliese alle 19, mentre il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha già fatto sapere di aver disposto la chiusura di tutte le scuole. Sul fronte politico, chi si sta spendendo di più, nel perimetro della maggioranza, per scongiurare un'ulteriore ondata di chiusure, è il leader leghista, Matteo Salvini, per il quale non c'è bisogno di «chiudere tutto in tutta Italia». Salvini ha aggiunto che «nei weekend non servono più chiusure ma più controlli», e sulla stessa lunghezza d'onda c'è il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, del M5s, sul cui parere, non a caso, ha fatto leva il Capitano («Come ormai sostengono molti medici, il Cts e il sottosegretario Sileri, servono interventi mirati ed efficaci). Il pentastellato ha affermato che non ha senso «penalizzare la parte dell'Italia dove il contagio è sotto controllo» con un lockdown generalizzato di diverse settimane. E con la sua sponda a Salvini («Da lui parole di buon senso», ha commentato), ha consacrato un asse anti serrata. Dall'opposizione, la presidente di Fdi, Giorgia Meloni, chiede di tutelare i più fragili dal contagio «con posti riservati sui mezzi pubblici, orari dedicati nei supermercati, alla posta e negli uffici pubblici, e con una assistenza domiciliare dedicata a chi la richiedesse». «Se il governo le leggesse», ha aggiunto, «avremmo probabilmente meno morti e meno chiusure». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/divieti-salvini-sileri-contro-lockdown-2651012173.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-svezia-meno-morti-senza-serrate-e-la-svizzera-conferma-lok-allo-sci" data-post-id="2651012173" data-published-at="1615417344" data-use-pagination="False"> In Svezia meno morti senza serrate. E la Svizzera conferma l’ok allo sci Primi a chiudere e ultimi ad aprire ma al top dei decessi. Eppure, nonostante la chiusura delle scuole, di cinema, teatri, centri sportivi, nonostante il coprifuoco con bar e ristoranti sbarrati, l'Italia con oltre 100.000 morti è maglia nera Covid nel mondo. In Europa siamo superati solo dal Regno Unito con 124.000 morti ma che ora, con la campagna vaccinale di massa, sta invertendo la curva. Oltre al dato assoluto, anche il tasso di letalità è tra i più alti. È al 3,25%, il dato peggiore in Europa a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Gran Bretagna è del 2,95% anche se i morti sono superiori. Sono in posizione migliore, Germania con il 2,86%, Spagna con 2,26% e Francia con 2,24%. Questi numeri però ci dicono che i Paesi che hanno attuato misure più restrittive non hanno risolto affatto il problema del Covid. L'Ispi, l'Istituto di politica internazionale, ha misurato l'incidenza delle restrizioni sulla diffusione del contagio usando una scala da 0 a 100 che indica il massimo del contenimento. Nella prima ondata, l'Italia ha il livello più alto (80) e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia ha 74 con 469 decessi, la Spagna 68 con 645 morti, Regno Unito 60 con 609 vittime. Idem la Germania che però ha solo 112 decessi. La Svezia ha il livello più basso (49) e 571 vittime. Nella seconda ondata, da ottobre 2020 al 10 febbraio 2021 l'Italia è sempre al primo posto (74) seguita da Uk (72), Spagna e Germania (70), Francia (66) e Svezia (63). L'Italia è stata la prima a chiudere le scuole, la Dad è scattata dal 27 ottobre mentre altrove non è arrivata fino a dicembre. Da ottobre 2020 a febbraio 2021, nel nostro Paese si contano 941 vittime per milione di abitanti mentre in Germania 650, in Francia 762, in Svezia 672, in Spagna 718. Solo il Regno Unito a causa della variante inglese arriva a 1.077 vittime per milione di abitanti. Uno studio dell'Oxford coranavirus government response tracker ha stilato una classifica dei Paesi in base ai giorni di blocco delle attività. Al primo posto c'è l'Irlanda (163) seguita dall'Italia (131). In fondo i Paesi Bassi (110), Regno Unito (104), Belgio (97), Francia (84), Lituania (76). Confrontando questi numeri con le curve epidemiologiche emerge che chi ha attuato misure più restrittive non ha bloccato la pandemia. In Germania, il lockdown, iniziato poco prima di Natale e fino al 7 marzo, non prevedeva l'obbligo di restare in casa. Da lunedì scorso sono stati riaperti negozi, musei e gallerie nelle aree con bassi contagi. Le scuole sono ripartite da metà febbraio. In Spagna il coprifuoco ha orari variabili su base regionale e in generale inizia alle 23. A Madrid i ristoranti sono aperti. La Svezia, che ha un tasso di mortalità tra i più bassi in Europa (122 ogni 100.000 abitanti) non ha mai attuato il lockdown. Dal governo sono arrivati solo inviti alle responsabilità individuali. Uniche limitazioni il divieto degli alcolici dopo le 20 e numero massimo di ingressi nei centri sportivi e commerciali. La mascherina non è obbligatoria. La Svizzera ha adottato alcune misure di restrizione ma mai il blocco totale. Le stazioni sciistiche sono rimaste aperte. Il tasso di positività è attualmente al 4,58% e nella giornata di ieri sono stati segnalati 14 decessi e 41 ricoveri. I Paesi Bassi hanno adottato, durante la prima ondata, quello che il governo ha chiamato il «contenimento intelligente». I negozi sono rimasti aperti e la popolazione è stata libera di uscire. Solo ultimamente c'è stato un parziale giro di vite con ingressi contingentati nei ristoranti.
I carabinierii e la Scientifica sul luogo della rapina alla gioielleria Mario Roggero a Grinzane Cavour (Cuneo), il 28 aprile 2021 (Ansa)
A due giorni dalla condanna in secondo grado che gli infligge una pena di 14 anni e 9 mesi (17 nel primo appello), ci si chiede se non ci sia stato un errore, un abbaglio, perché ciò che stupisce di più oltre alla severità della pena sono le sue proporzioni. Sì perché mentre a Roggero spetta il carcere, ai delinquenti e alle loro famiglie andranno migliaia di euro di risarcimenti. Avevano chiesto quasi tre milioni, per la precisione: 2 milioni e 885.000 euro. Gliene sono stati riconosciuti 480.000. L’uomo però aveva già dato 300.000 euro - non dovuti - ai congiunti dei suoi assalitori. Per reperire i soldi ha dovuto svendere due appartamenti di proprietà sua e dei suoi fratelli. Una delle due era la casa in cui era cresciuto. Come già scritto su queste colonne si tratta di una tragica beffa per chi ha subito una rapina e che, per essersi difeso, ne subisce un’altra ancora. A questi soldi vanno aggiunti altri 300.000 euro «di spese legali, peritali, mediche», che non sono bastate a mitigare la «sentenza monito» di 17 anni in primo grado, come l’ha definita il procuratore capo di Asti. Non un monito, ma il presagio della condanna in secondo grado che gli ha visto attribuire una diminuzione di pena di due anni e poco più.
Eppure nel mondo dell’assurdo in cui viviamo ai familiari di chi muore sul lavoro vanno appena 12.000 euro. Proprio così. Ad esser precisi si parla di un versamento una tantum di 12.342,84 euro. Una cifra versata dall’Inail che cambia ogni anno perché rivalutata dal ministero del Lavoro in base all’inflazione, quindi alla variazione dei prezzi al consumo. Di questo si devono accontentare le famiglie di chi perde la vita lavorando onestamente, mentre chi ruba e muore per questo può far arrivare ai propri cari anche mezzo milione di euro. Bel messaggio che si manda ai familiari delle 784 persone morte sul lavoro solo nel 2025. Ai coniugi superstiti spetta poi il 50% dello stipendio del proprio caro, ai figli appena il 20%. Considerato che statisticamente a morire sul lavoro non ci sono grossi dirigenti, ma più che altro operai, si può dire che a queste persone già travolte dal dolore non arrivano che pochi spicci. Spicci che arrivano oltretutto solo ad alcune condizioni. Intanto per quanto riguarda i coniugi la quota di stipendio arriverà a vita, certo, ma bisogna stare attenti a fare richiesta entro 40 giorni, altrimenti si rischia di non ricevere nulla. Per quanto riguarda i figli, il 20% dello stipendio del lavoratore deceduto verrà contribuito fino ai 18 anni di età, fino ai 26 se studenti. Non oltre. Nulla verrà versato ai genitori della vittima se conviventi a meno che non si dimostri che la stessa contribuisse a mantenerli. Insomma, dolore che si aggiunge a dolore.
Anche i rapinatori uccisi da Roggero avevano dei familiari, certo, anche loro hanno diritto a soffrire per le loro perdite, ma se il valore di una morte si dovesse o potesse contare con il denaro, verrebbe da pensare che per la giustizia italiana ha più valore la vita di un delinquente che quella di un lavoratore onesto.
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Galeazzo Bignami (Ansa)
Se per il giudice che l’ha condannato a 14 anni e 9 mesi di carcere (in primo grado la Corte d’Assise di Asti gliene aveva dati 17, senza riconoscere la legittima difesa), nonché a un risarcimento milionario ai familiari dei due rapinatori uccisi (con una provvisionale immediata di circa mezzo milione di euro e le richieste totali che potrebbero raggiungere milioni) c’è stata sproporzione tra difesa e offesa, la stessa sproporzione è stata applicata nella sentenza, tra l’atto compiuto e la pena smisurata che dovrà scontare Roggero. Confermare tale condanna equivarrebbe all’ergastolo per l’anziano, solo per aver difeso la sua famiglia e sé stesso.
Una severità che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica nonché esasperato gli animi del Parlamento. Ma la colpa è dei giudici o della legge? Giovedì sera a Diritto e Rovescio su Rete 4 è intervenuto il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, il quale alla Verità non ha timore nel ribadire che «qualsiasi legge si può sempre migliorare, per carità. Questa legge mette in campo tutti gli elementi che, se valutati correttamente, portano ad escludere pressoché sempre la responsabilità dell’aggredito, salvo casi esorbitanti. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e in questo caso il mare è la magistratura», spiega Bignami, «ci sono giudici che, comprendendo il disposto di legge e lo spirito della stessa, la applicano in maniera conforme alla ratio legis e giudici che, invece, pur comprendendola, preferiscono ignorarla. Siccome questa è una legge che si ispira sicuramente a valori di destra come la difesa della vita, della famiglia, della proprietà privata e che, come extrema ratio, consente anche una risposta immediata in presenza di un pericolo imminente, certi giudici la applicano con una prospettiva non coerente con la sua finalità».
In questo caso la giustificazione di una reazione istintiva per proteggere la propria famiglia dai rapinatori non ha retto in aula. Ma oltre al rispetto della legge non è forse fondamentale anche l’etica nell’applicarla? «Su tante cose i giudici applicano le leggi sulla base delle proprie sensibilità, come in materia di immigrazione, per esempio», continua Bignami, «però ricordiamo che la legge deve essere ispirata da principi di astrattezza e generalità. Poi va applicata al caso concreto e lì vanno presi in esame tutti i fattori che connotano la condotta. L’articolo 52 parla di danno ingiusto, di pericolo attuale e proporzione tra difesa e offesa. Per pericolo attuale non si può intendere che sto lì con il cronometro a verificare se il rapinatore abbia finito di rapinarmi o se magari intenda tornare indietro con un fucile. Lo sai dopo se il pericolo è cessato e l’attualità non può essere valutata con il senno di poi. Ed anche il turbamento d’animo di chi viene aggredito non finisce con i rapinatori che escono dal negozio e chiudono la porta. Questo sentimento di turbamento è individuale e, secondo me, si riflette sulla proporzione. Vanno sempre valutate le condizioni soggettive e il vissuto della persona».
Merita ricordare, infatti, che Roggero aveva subito in passato altre 5 rapine oltre a quella in esame e che in una di quelle fu anche gonfiato di botte. La sua vita e quella della sua famiglia è compromessa, sia dal punto di vista psicologico che professionale. È imputato di omicidio volontario plurimo per aver ucciso i due rapinatori e tentato omicidio per aver ferito il terzo che faceva da palo. E sapete quanto si è preso quest’ultimo? Appena 4 anni e 10 mesi di reclusione.
La reazione emotiva del commerciante, la paura per l’incolumità dei familiari, sono attenuanti che non possono non essere considerate. Sono attimi di terrore tremendi. Se vedi tua figlia minacciata con una pistola, tua moglie trascinata e sequestrata, come minimo entri nel panico. «Intanto va detto quel che forse è così ovvio che qualcuno se n’è dimenticato: se i banditi fossero stati a casa loro, non sarebbe successo niente», prosegue Bignami, «poi penso che, se Roggero avesse avuto la certezza che quei banditi stavano fuggendo senza più tornare, non avrebbe reagito così. Lo ha fatto, come ha detto lui, perché non sapeva e non poteva immaginare se avessero davvero finito o se invece volessero tornare indietro. Facile fare previsioni a fatti già compiuti».
Ma anche i rapinatori hanno i loro diritti? «Per carità. Tutti i cittadini hanno i loro diritti ma se fai irruzione con un’arma in un negozio e minacci qualcuno, sei tu che decidi di mettere in discussione i tuoi diritti».
Sulla severità della pena e sul risarcimento faraonico, poi, Bignami è lapidario. «C’è una proposta di legge di Raffaele Speranzon, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, che propone di ridurre fino ad azzerare il risarcimento dovuto da chi è punito per eccesso colposo di legittima difesa».
Chi lavora e protegge la propria vita non può essere trattato come un criminale. La giustizia deve tornare a distinguere tra chi aggredisce e chi si difende.
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Ansa
La dinamica, ricostruita nelle perizie, avrebbe confermato che l’azione della ruspa aveva compromesso la struttura dell’edificio. Ma oltre a trovarsi davanti quel «mezzo di irresistibile forza», così è stata giuridicamente valutata la ruspa, si era messa di traverso pure la Procura, che aveva chiesto ai giudici di condannarlo a 4 anni di carcere. Ma ieri Sandro Mugnai, artigiano aretino accusato di omicidio volontario per essersi difeso, mentre ascoltava le parole del presidente della Corte d’assise si è messo le mani sul volto ed è scoppiato a piangere. Il fatto non sussiste: fu legittima difesa. «Finalmente faremo un Natale sereno», ha detto poco dopo, aggiungendo: «Sono stati anni difficili, ma ho sempre avuto fiducia nella giustizia. La Corte ha agito per il meglio». E anche quando la pm Laura Taddei aveva tentato di riqualificare l’accusa in eccesso colposo di legittima difesa, è prevalsa la tesi della difesa: Mugnai sparò perché stava proteggendo la sua famiglia da una minaccia imminente, reale e concreta. Una minaccia che avanzava a bordo di una ruspa. La riqualificazione avrebbe attenuato la pena, ma comunque presupponeva una responsabilità penale dell’imputato. Il caso, fin dall’inizio, era stato definito dai giuristi «legittima difesa da manuale». Una formula tanto scolastica quanto raramente facile da dimostrare in un’aula di Tribunale. La giurisprudenza richiede il rispetto di criteri stringenti: attualità del pericolo, necessità della reazione e proporzione. La sentenza mette un punto a un procedimento che ha riletto, passo dopo passo, la notte in cui l’albanese entrò nel piazzale di casa Mugnai mentre la famiglia era riunita per la cena dell’Epifania. Prima sfogò la ruspa sulle auto parcheggiate, poi diresse il mezzo contro l’abitazione, sfondando una parte della parete. La Procura ha sostenuto che, pur di fronte a un’aggressione reale e grave, l’esito mortale «poteva essere evitato». Il nodo centrale era se Mugnai avesse alternative non letali. Per la pm Taddei, quella reazione, scaturita da «banali ruggini» con il vicino, aveva superato il limite della proporzione. I difensori, gli avvocati Piero Melani Graverini e Marzia Lelli, invece, hanno martellato sul concetto di piena legittima difesa, richiamando il contesto: buio, zona isolata, panico dentro casa, il tutto precipitato «in soli sei minuti» nei quali, secondo gli avvocati, «non esisteva alcuna alternativa per proteggere i propri cari». Durante le udienze si è battuto molto sul fattore tempo ed è stata dimostrata l’impossibilità di fuga. Nel dibattimento sono stati ascoltati anche i familiari della vittima, costituiti parte civile e rappresentati dall’avvocato Francesca Cotani, che aveva chiesto la condanna dell’imputato. In aula c’era molta gente e anche la politica ha fatto sentire la sua presenza: la deputata della Lega Tiziana Nisini e Cristiano Romani, esponente del movimento Il Mondo al contrario del generale Roberto Vannacci. Entrambi si erano schierati pubblicamente con Mugnai. Nel paese c’erano anche state fiaccolate e manifestazioni di solidarietà per l’artigiano. Il fascicolo era passato attraverso momenti tortuosi: un primo giudice non aveva accolto la richiesta di condanna a 2 anni e 8 mesi e aveva disposto ulteriori accertamenti sull’ipotesi di omicidio volontario. Poi è stata disposta la scarcerazione di Mugnai. La fase iniziale è stata caratterizzata da incertezza e oscillazioni interpretative. E, così, alla lettura della sentenza l’aula è esplosa: lacrime, abbracci e applausi. Mugnai, commosso, ha detto: «Ho sparato per salvare la pelle a me e ai miei cari. Non potrò dimenticare quello che è successo, ora spero che possa cominciare una vita diversa. Tre anni difficili, pesanti». Detenzione preventiva compresa. «Oggi è un giorno di giustizia. Ma la battaglia non è finita», commenta Vannacci: «Mugnai ha fatto ciò che qualunque padre, marito, figlio farebbe davanti a un’aggressione brutale. È una vittoria di buon senso, ma anche un segnale, perché in Italia c’è ancora troppo da fare per difendere le vere vittime, quelle finite sotto processo solo perché hanno scelto di salvarsi la vita. E mentre oggi festeggiamo questo risultato, non possiamo dimenticare chi non ha avuto la stessa sorte: penso a casi come quello di Mario Roggero, il gioielliere piemontese condannato a 15 anni per aver difeso la propria attività da una rapina». «La difesa è sempre legittima e anche in questo caso, grazie a una legge fortemente voluta e approvata dalla Lega, una persona perbene che ha difeso se stesso e la sua famiglia non andrà in carcere, bene così», rivendica il segretario del Carroccio Matteo Salvini. «Questa sentenza dimostra come la norma sulla legittima difesa tuteli i cittadini che si trovano costretti a reagire di fronte a minacce reali e gravi», ha precisato il senatore leghista (componente della commissione Giustizia) Manfredi Potenti. La vita di Sandro Mugnai ricomincia adesso, fuori dall’aula. Ma con la consapevolezza che, per salvare se stesso e la sua famiglia, ha dovuto sparare e poi aspettare quasi tre anni perché qualcuno glielo riconoscesse.
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