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2021-03-11
Il governo si divide sui nuovi divieti. Salvini e Sileri alleati contro il lockdown
Pierpaolo Sileri (Ansa)
Regna l'incertezza, sia sul fronte dei ristori che su quello delle nuove misure anti Covid. Se quella di ieri sera doveva essere, a Palazzo Chigi, la riunione decisiva per mettere a punto la nuova stretta, alla fine tutto si è risolto, dopo un incontro di un'ora e mezza, in un ulteriore rinvio, in attesa di dati più aggiornati, che a questo punto non potranno che essere quelli del monitoraggio settimanale dell'Iss. E se il ritardo nell'emanazione del dl Sostegno comincia a far emergere un malumore sempre più palese da parte di alcuni settori della maggioranza, le nuove chiusure rischiano di esaltarne le divisioni, riproponendo anche gli attriti tra potere centrale e amministratori locali che hanno contraddistinto la prima fase della pandemia. Di certo, infatti, per ora c'è che sotto la spinta dell'ala più intransigente dell'esecutivo, capeggiata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il dpcm entrato in vigore solo qualche giorno fa (il 6 marzo) all'insegna di un nuovo approccio alla questione che avrebbe tenuto conto delle istanze dei soggetti maggiormente colpiti dalle misure, fornendo loro un cospicuo periodo di anticipo nella comunicazione delle stesse, è di fatto lettera morta. Non solo: la nuova stretta, secondo quanto filtra, potrebbe partire già da questo weekend, con il preavviso di un giorno solo che è stato ferocemente criticato dai diretti interessati per tutto l'operato del Conte bis.
Venendo al merito di quello che potrebbe toccare in sorte agli italiani già nelle prossime ore, l'ipotesi prevalente è che si torni esattamente al complesso delle misure messe a punto dal precedente esecutivo nel periodo natalizio. Il che vuol dire, sostanzialmente, uniformare le restrizioni in tutto il Paese nei weekend, comprese le Regioni che sono in fascia gialla, con negozi, bar e ristoranti chiusi. Ma su come declinare nel dettaglio queste nuove limitazioni agli spostamenti, i punti di vista sono più di uno, e non hanno mancato di emergere sia sottotraccia, nella riunione a Palazzo Chigi di ieri tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, i ministri più importanti, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, sia attraverso pubbliche dichiarazioni degli esponenti politici.
Ad esempio, non è ancora chiaro se si vorrà dichiarare, nei weekend, tutta Italia zona rossa o zona arancione. E la differenza non è di poco conto, perché nei fine settimana «arancioni» del trascorso periodo festivo era consentito circolare liberamente all'interno del proprio Comune tra le 5 del mattino e le 22, mentre se dovessero prevalere i «rigoristi», stavolta il colore sarebbe il rosso e ci sarebbe il lockdown duro, quello in cui, come un anno fa, ogni spostamento non strettamente necessario era vietato. Perché c'è da ricordare che una delle poche novità introdotte dal governo Draghi è stata quella di non consentire, nelle zone rosse, le visite ad amici e parenti, anche per una sola volta al giorno, che prima invece erano consentite. E sarà proibita l'attività sportiva, se non nelle vicinanze della propria abitazione. A rimetterci saranno negozianti, baristi e ristoratori delle zone in cui la curva del contagio è ritenuta sotto controllo, poiché sia nel caso dei week-end arancioni che di quelli rossi, anche loro dovrebbero abbassare le serrande assieme a tutti gli altri, potendo fare solo asporto e consegna a domicilio. Zona gialla che tra l'altro potrebbe mutare in senso più restrittivo nei giorni feriali, con la chiusura dei ristoranti a pranzo e l'anticipo del coprifuoco di due o tre ore, diventando sempre più simile a una zona arancione.
Ma l'impressione è che, al di là di cosa si deciderà per i weekend, con i dati degli ultimi giorni ben presto tutta l'Italia possa ritrovarsi in rosso: è stato infatti il Cts a mettere nero su bianco la richiesta, già avanzata in passato al governo, di prevedere un passaggio automatico in zona rossa per le aree che superino la cifra di 250 contagi settimanali ogni 100.000 abitanti. Proprio sulla base di questo, alcuni sindaci e governatori (che si confronteranno oggi con l'esecutivo) hanno anticipato i tempi e annunciato le chiusure, come sta succedendo in Puglia con il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ha intenzione di andare anche oltre le ipotesi in campo, chiudendo di fatto il capoluogo pugliese alle 19, mentre il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha già fatto sapere di aver disposto la chiusura di tutte le scuole.
Sul fronte politico, chi si sta spendendo di più, nel perimetro della maggioranza, per scongiurare un'ulteriore ondata di chiusure, è il leader leghista, Matteo Salvini, per il quale non c'è bisogno di «chiudere tutto in tutta Italia». Salvini ha aggiunto che «nei weekend non servono più chiusure ma più controlli», e sulla stessa lunghezza d'onda c'è il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, del M5s, sul cui parere, non a caso, ha fatto leva il Capitano («Come ormai sostengono molti medici, il Cts e il sottosegretario Sileri, servono interventi mirati ed efficaci). Il pentastellato ha affermato che non ha senso «penalizzare la parte dell'Italia dove il contagio è sotto controllo» con un lockdown generalizzato di diverse settimane. E con la sua sponda a Salvini («Da lui parole di buon senso», ha commentato), ha consacrato un asse anti serrata.
Dall'opposizione, la presidente di Fdi, Giorgia Meloni, chiede di tutelare i più fragili dal contagio «con posti riservati sui mezzi pubblici, orari dedicati nei supermercati, alla posta e negli uffici pubblici, e con una assistenza domiciliare dedicata a chi la richiedesse». «Se il governo le leggesse», ha aggiunto, «avremmo probabilmente meno morti e meno chiusure».
In Svezia meno morti senza serrate. E la Svizzera conferma l’ok allo sci
Primi a chiudere e ultimi ad aprire ma al top dei decessi. Eppure, nonostante la chiusura delle scuole, di cinema, teatri, centri sportivi, nonostante il coprifuoco con bar e ristoranti sbarrati, l'Italia con oltre 100.000 morti è maglia nera Covid nel mondo. In Europa siamo superati solo dal Regno Unito con 124.000 morti ma che ora, con la campagna vaccinale di massa, sta invertendo la curva. Oltre al dato assoluto, anche il tasso di letalità è tra i più alti. È al 3,25%, il dato peggiore in Europa a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Gran Bretagna è del 2,95% anche se i morti sono superiori. Sono in posizione migliore, Germania con il 2,86%, Spagna con 2,26% e Francia con 2,24%.
Questi numeri però ci dicono che i Paesi che hanno attuato misure più restrittive non hanno risolto affatto il problema del Covid. L'Ispi, l'Istituto di politica internazionale, ha misurato l'incidenza delle restrizioni sulla diffusione del contagio usando una scala da 0 a 100 che indica il massimo del contenimento. Nella prima ondata, l'Italia ha il livello più alto (80) e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia ha 74 con 469 decessi, la Spagna 68 con 645 morti, Regno Unito 60 con 609 vittime. Idem la Germania che però ha solo 112 decessi. La Svezia ha il livello più basso (49) e 571 vittime. Nella seconda ondata, da ottobre 2020 al 10 febbraio 2021 l'Italia è sempre al primo posto (74) seguita da Uk (72), Spagna e Germania (70), Francia (66) e Svezia (63). L'Italia è stata la prima a chiudere le scuole, la Dad è scattata dal 27 ottobre mentre altrove non è arrivata fino a dicembre. Da ottobre 2020 a febbraio 2021, nel nostro Paese si contano 941 vittime per milione di abitanti mentre in Germania 650, in Francia 762, in Svezia 672, in Spagna 718. Solo il Regno Unito a causa della variante inglese arriva a 1.077 vittime per milione di abitanti.
Uno studio dell'Oxford coranavirus government response tracker ha stilato una classifica dei Paesi in base ai giorni di blocco delle attività. Al primo posto c'è l'Irlanda (163) seguita dall'Italia (131). In fondo i Paesi Bassi (110), Regno Unito (104), Belgio (97), Francia (84), Lituania (76). Confrontando questi numeri con le curve epidemiologiche emerge che chi ha attuato misure più restrittive non ha bloccato la pandemia.
In Germania, il lockdown, iniziato poco prima di Natale e fino al 7 marzo, non prevedeva l'obbligo di restare in casa. Da lunedì scorso sono stati riaperti negozi, musei e gallerie nelle aree con bassi contagi. Le scuole sono ripartite da metà febbraio.
In Spagna il coprifuoco ha orari variabili su base regionale e in generale inizia alle 23. A Madrid i ristoranti sono aperti.
La Svezia, che ha un tasso di mortalità tra i più bassi in Europa (122 ogni 100.000 abitanti) non ha mai attuato il lockdown. Dal governo sono arrivati solo inviti alle responsabilità individuali. Uniche limitazioni il divieto degli alcolici dopo le 20 e numero massimo di ingressi nei centri sportivi e commerciali. La mascherina non è obbligatoria.
La Svizzera ha adottato alcune misure di restrizione ma mai il blocco totale. Le stazioni sciistiche sono rimaste aperte. Il tasso di positività è attualmente al 4,58% e nella giornata di ieri sono stati segnalati 14 decessi e 41 ricoveri. I Paesi Bassi hanno adottato, durante la prima ondata, quello che il governo ha chiamato il «contenimento intelligente». I negozi sono rimasti aperti e la popolazione è stata libera di uscire. Solo ultimamente c'è stato un parziale giro di vite con ingressi contingentati nei ristoranti.
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Decisioni rinviate in attesa del monitoraggio Iss. Oggi tavolo con le Regioni. Strappo di Antonio Decaro: «Chiudiamo Bari alle 19».Uno studio di Oxford rivela: chi ha bloccato di più le attività non ha contenuto l'epidemia.Lo speciale contiene due articoli.Regna l'incertezza, sia sul fronte dei ristori che su quello delle nuove misure anti Covid. Se quella di ieri sera doveva essere, a Palazzo Chigi, la riunione decisiva per mettere a punto la nuova stretta, alla fine tutto si è risolto, dopo un incontro di un'ora e mezza, in un ulteriore rinvio, in attesa di dati più aggiornati, che a questo punto non potranno che essere quelli del monitoraggio settimanale dell'Iss. E se il ritardo nell'emanazione del dl Sostegno comincia a far emergere un malumore sempre più palese da parte di alcuni settori della maggioranza, le nuove chiusure rischiano di esaltarne le divisioni, riproponendo anche gli attriti tra potere centrale e amministratori locali che hanno contraddistinto la prima fase della pandemia. Di certo, infatti, per ora c'è che sotto la spinta dell'ala più intransigente dell'esecutivo, capeggiata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il dpcm entrato in vigore solo qualche giorno fa (il 6 marzo) all'insegna di un nuovo approccio alla questione che avrebbe tenuto conto delle istanze dei soggetti maggiormente colpiti dalle misure, fornendo loro un cospicuo periodo di anticipo nella comunicazione delle stesse, è di fatto lettera morta. Non solo: la nuova stretta, secondo quanto filtra, potrebbe partire già da questo weekend, con il preavviso di un giorno solo che è stato ferocemente criticato dai diretti interessati per tutto l'operato del Conte bis. Venendo al merito di quello che potrebbe toccare in sorte agli italiani già nelle prossime ore, l'ipotesi prevalente è che si torni esattamente al complesso delle misure messe a punto dal precedente esecutivo nel periodo natalizio. Il che vuol dire, sostanzialmente, uniformare le restrizioni in tutto il Paese nei weekend, comprese le Regioni che sono in fascia gialla, con negozi, bar e ristoranti chiusi. Ma su come declinare nel dettaglio queste nuove limitazioni agli spostamenti, i punti di vista sono più di uno, e non hanno mancato di emergere sia sottotraccia, nella riunione a Palazzo Chigi di ieri tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, i ministri più importanti, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, sia attraverso pubbliche dichiarazioni degli esponenti politici. Ad esempio, non è ancora chiaro se si vorrà dichiarare, nei weekend, tutta Italia zona rossa o zona arancione. E la differenza non è di poco conto, perché nei fine settimana «arancioni» del trascorso periodo festivo era consentito circolare liberamente all'interno del proprio Comune tra le 5 del mattino e le 22, mentre se dovessero prevalere i «rigoristi», stavolta il colore sarebbe il rosso e ci sarebbe il lockdown duro, quello in cui, come un anno fa, ogni spostamento non strettamente necessario era vietato. Perché c'è da ricordare che una delle poche novità introdotte dal governo Draghi è stata quella di non consentire, nelle zone rosse, le visite ad amici e parenti, anche per una sola volta al giorno, che prima invece erano consentite. E sarà proibita l'attività sportiva, se non nelle vicinanze della propria abitazione. A rimetterci saranno negozianti, baristi e ristoratori delle zone in cui la curva del contagio è ritenuta sotto controllo, poiché sia nel caso dei week-end arancioni che di quelli rossi, anche loro dovrebbero abbassare le serrande assieme a tutti gli altri, potendo fare solo asporto e consegna a domicilio. Zona gialla che tra l'altro potrebbe mutare in senso più restrittivo nei giorni feriali, con la chiusura dei ristoranti a pranzo e l'anticipo del coprifuoco di due o tre ore, diventando sempre più simile a una zona arancione. Ma l'impressione è che, al di là di cosa si deciderà per i weekend, con i dati degli ultimi giorni ben presto tutta l'Italia possa ritrovarsi in rosso: è stato infatti il Cts a mettere nero su bianco la richiesta, già avanzata in passato al governo, di prevedere un passaggio automatico in zona rossa per le aree che superino la cifra di 250 contagi settimanali ogni 100.000 abitanti. Proprio sulla base di questo, alcuni sindaci e governatori (che si confronteranno oggi con l'esecutivo) hanno anticipato i tempi e annunciato le chiusure, come sta succedendo in Puglia con il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ha intenzione di andare anche oltre le ipotesi in campo, chiudendo di fatto il capoluogo pugliese alle 19, mentre il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha già fatto sapere di aver disposto la chiusura di tutte le scuole. Sul fronte politico, chi si sta spendendo di più, nel perimetro della maggioranza, per scongiurare un'ulteriore ondata di chiusure, è il leader leghista, Matteo Salvini, per il quale non c'è bisogno di «chiudere tutto in tutta Italia». Salvini ha aggiunto che «nei weekend non servono più chiusure ma più controlli», e sulla stessa lunghezza d'onda c'è il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, del M5s, sul cui parere, non a caso, ha fatto leva il Capitano («Come ormai sostengono molti medici, il Cts e il sottosegretario Sileri, servono interventi mirati ed efficaci). Il pentastellato ha affermato che non ha senso «penalizzare la parte dell'Italia dove il contagio è sotto controllo» con un lockdown generalizzato di diverse settimane. E con la sua sponda a Salvini («Da lui parole di buon senso», ha commentato), ha consacrato un asse anti serrata. Dall'opposizione, la presidente di Fdi, Giorgia Meloni, chiede di tutelare i più fragili dal contagio «con posti riservati sui mezzi pubblici, orari dedicati nei supermercati, alla posta e negli uffici pubblici, e con una assistenza domiciliare dedicata a chi la richiedesse». «Se il governo le leggesse», ha aggiunto, «avremmo probabilmente meno morti e meno chiusure». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/divieti-salvini-sileri-contro-lockdown-2651012173.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-svezia-meno-morti-senza-serrate-e-la-svizzera-conferma-lok-allo-sci" data-post-id="2651012173" data-published-at="1615417344" data-use-pagination="False"> In Svezia meno morti senza serrate. E la Svizzera conferma l’ok allo sci Primi a chiudere e ultimi ad aprire ma al top dei decessi. Eppure, nonostante la chiusura delle scuole, di cinema, teatri, centri sportivi, nonostante il coprifuoco con bar e ristoranti sbarrati, l'Italia con oltre 100.000 morti è maglia nera Covid nel mondo. In Europa siamo superati solo dal Regno Unito con 124.000 morti ma che ora, con la campagna vaccinale di massa, sta invertendo la curva. Oltre al dato assoluto, anche il tasso di letalità è tra i più alti. È al 3,25%, il dato peggiore in Europa a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Gran Bretagna è del 2,95% anche se i morti sono superiori. Sono in posizione migliore, Germania con il 2,86%, Spagna con 2,26% e Francia con 2,24%. Questi numeri però ci dicono che i Paesi che hanno attuato misure più restrittive non hanno risolto affatto il problema del Covid. L'Ispi, l'Istituto di politica internazionale, ha misurato l'incidenza delle restrizioni sulla diffusione del contagio usando una scala da 0 a 100 che indica il massimo del contenimento. Nella prima ondata, l'Italia ha il livello più alto (80) e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia ha 74 con 469 decessi, la Spagna 68 con 645 morti, Regno Unito 60 con 609 vittime. Idem la Germania che però ha solo 112 decessi. La Svezia ha il livello più basso (49) e 571 vittime. Nella seconda ondata, da ottobre 2020 al 10 febbraio 2021 l'Italia è sempre al primo posto (74) seguita da Uk (72), Spagna e Germania (70), Francia (66) e Svezia (63). L'Italia è stata la prima a chiudere le scuole, la Dad è scattata dal 27 ottobre mentre altrove non è arrivata fino a dicembre. Da ottobre 2020 a febbraio 2021, nel nostro Paese si contano 941 vittime per milione di abitanti mentre in Germania 650, in Francia 762, in Svezia 672, in Spagna 718. Solo il Regno Unito a causa della variante inglese arriva a 1.077 vittime per milione di abitanti. Uno studio dell'Oxford coranavirus government response tracker ha stilato una classifica dei Paesi in base ai giorni di blocco delle attività. Al primo posto c'è l'Irlanda (163) seguita dall'Italia (131). In fondo i Paesi Bassi (110), Regno Unito (104), Belgio (97), Francia (84), Lituania (76). Confrontando questi numeri con le curve epidemiologiche emerge che chi ha attuato misure più restrittive non ha bloccato la pandemia. In Germania, il lockdown, iniziato poco prima di Natale e fino al 7 marzo, non prevedeva l'obbligo di restare in casa. Da lunedì scorso sono stati riaperti negozi, musei e gallerie nelle aree con bassi contagi. Le scuole sono ripartite da metà febbraio. In Spagna il coprifuoco ha orari variabili su base regionale e in generale inizia alle 23. A Madrid i ristoranti sono aperti. La Svezia, che ha un tasso di mortalità tra i più bassi in Europa (122 ogni 100.000 abitanti) non ha mai attuato il lockdown. Dal governo sono arrivati solo inviti alle responsabilità individuali. Uniche limitazioni il divieto degli alcolici dopo le 20 e numero massimo di ingressi nei centri sportivi e commerciali. La mascherina non è obbligatoria. La Svizzera ha adottato alcune misure di restrizione ma mai il blocco totale. Le stazioni sciistiche sono rimaste aperte. Il tasso di positività è attualmente al 4,58% e nella giornata di ieri sono stati segnalati 14 decessi e 41 ricoveri. I Paesi Bassi hanno adottato, durante la prima ondata, quello che il governo ha chiamato il «contenimento intelligente». I negozi sono rimasti aperti e la popolazione è stata libera di uscire. Solo ultimamente c'è stato un parziale giro di vite con ingressi contingentati nei ristoranti.
Vladimir Putin (Ansa)
Di tutt’altro tenore è invece la sua posizione nei confronti del presidente americano, Donald Trump: affermando di essere «in dialogo» con l’amministrazione Trump per le trattative, ha precisato che Mosca «accoglie con favore i progressi compiuti» nel dialogo tra Cremlino e Casa Bianca.
Sulle conquiste territoriali lo zar si è mostrato fiducioso, con le truppe che «avanzano con sicurezza e schiacciano il nemico». Ha quindi annunciato che quest’anno rappresenta «la pietra miliare per il raggiungimento degli obiettivi dell’operazione militare speciale», visto che sono stati «liberati» più di 300 insediamenti. L’avanzata è evidente: Mosca ha comunicato di aver preso il controllo della città di Kupyansk. E secondo il comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrsky, sta preparando un’altra offensiva con 710.000 soldati russi.
La reazione del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, non è tardata ad arrivare. Pare convinto che la guerra continuerà anche nel 2026: «Oggi abbiamo ricevuto da Mosca ulteriori segnali che indicano che il prossimo sarà un anno di guerra. E questi segnali non sono solo per noi. È importante che i partner lo vedano. Ed è importante che non solo lo vedano, ma che reagiscano, in particolare i partner negli Usa, che spesso dicono che la Russia sembra voler porre fine alla guerra».
In ogni caso, le trattative proseguono, con Mosca che attende di essere informata sull’esito dei summit di Berlino. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, pur spiegando che non è in programma la visita dell’inviato americano, Steve Witkoff, ha dichiarato: «Ci aspettiamo che i nostri omologhi statunitensi ci informino sui risultati del loro lavoro con gli ucraini e gli europei quando saranno pronti».
Ma mentre la Russia attende le comunicazioni da parte della delegazione americana, sono intanto trapelate sul New York Times e su Bloomberg alcune indiscrezioni sulle iniziative occidentali. Secondo il quotidiano statunitense, a Berlino i funzionari americani ed europei hanno raggiunto un accordo su due documenti inerenti alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina in cui si prevede un rafforzamento importante delle forze armate ucraine, oltre allo schieramento di truppe europee e un uso maggiore dell’intelligence americana. Il primo documento annuncia i principi generali, il secondo è un «documento operativo mil-to-mil», ovvero da forze armate a forze armate. Bloomberg ha invece rivelato che gli Usa stanno «preparando un nuovo ciclo di sanzioni contro il settore energetico russo» con lo scopo di aumentare la pressione su Putin, qualora non accettasse l’accordo di pace. Il Cremlino non ha commentato le rivelazioni sulle garanzie di sicurezza, ma è intervenuto subito sulle sanzioni, sostenendo che potrebbero «nuocere al miglioramento delle relazioni tra i due Paesi».
A riconoscere che le trattative di pace sono «complesse» è il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: «Le pretese irragionevoli» russe, soprattutto «sulla porzione di Donbass non conquistata» da Mosca, sono «lo scoglio» più difficile da superare. Parlando alla Camera ha colto l’occasione per ripetere che «l’Italia non intende inviare soldati in Ucraina», anche perché «l’ipotesi di dispiegamento di una forza multinazionale in Ucraina» prevede «la partecipazione volontaria». La linea italiana resta quella di «non abbandonare l’Ucraina al suo destino nella fase più delicata degli ultimi anni». Al contrario di Meloni, il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, è stato piuttosto vago sull’invio di soldati tedeschi nella cornice di una forza multinazionale, limitandosi a dire che la Coalizione dei volenterosi non include solamente gli Stati europei.
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Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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