Serve cercare uno strumento per rilanciare l’economia e gli scambi tra cittadini aldilà del ricorso al mercato internazionale del debito. Dopo 11 anni bilancia commerciale in rosso e il taglio dei bonus causerà una frenata.Nelle ultime due uscite pubbliche, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si è soffermato sugli effetti della molteplice cessione dei crediti fiscali. Insomma, lo schema che tiene in piedi il Superbonus al 110%. In entrambe i momenti, intervenendo in Aula e in conferenza stampa post consiglio dei ministri, ha spiegato di voler subito mettere le cose in chiaro. Ed evitare che la cessione dei crediti oltre alla capienza fiscale (detrazione) non sarà permessa perché si tratterebbe di consentire una vera e propria valuta fiscale.«La cessione del credito è una possibilità e non è un diritto. E quindi d’ora in avanti tutti coloro che faranno questa scelta avranno la certezza di poterlo dedurre dai propri crediti fiscali o di cederlo a una banca», ha detto Giorgetti spiegando che «prima di avviare il cantiere dovranno avere la garanzia dell’istituto». Il tema sembra sottigliezza, in realtà la questione è molto delicata perché incide sul debito pubblico e sugli accordi fondanti dell’Europa e il regolamento 974 del 1998, steso appena prima dell’introduzione dell’euro. La funzione di una moneta parallela, in questo caso un credito fiscale, sarebbe quella di rilanciare l’economia e gli scambi tra cittadini senza accedere al mercato internazionale del debito. Nel 2009 la California in serie difficoltà debitoria emise per i dipendenti pubblici e per i fornitori una sorta di cambiali con scadenza a tre mesi e un tasso al 15%. All’inizio le banche accettarono le cambiali, ma già dopo il primo semestre ci fu una frenata improvvisa, tanto da indurre i privati a gestire gli scambi di cambiali. Il rischio però di default fu tale che a ogni successiva controparte il valore facciale del pezzo di carta scendeva. Tornando alle spiegazioni di Giorgetti, si percepisce chiaramente il timore di incamminarsi verso questa strada ma soprattutto il timore di andare in frizione con l’Ue e quindi con il vincolo esterno che ci è imposto. Se ne deduce che da qui si è passati alla scelta di tagliare il Superbonus e di ridurlo al 90% in un lasso di tempo brevissimo. C’è però anche da valutare un altro aspetto. Il governo precedente ha sottostimato la portata delle agevolazioni e si è semplicemente limitato a creare ostacoli burocratici senza intervenire in modo netto sul fronte legislativo. Da qui l’esplosione dei costi e degli oneri a carico dello Stato. Invece di 14 miliardi almeno 60. Lo stop vuole evitare ulteriore debito, con la consapevolezza che qualcuno di farà del male e molte aziende salteranno per aria. Ciò significa però buttare via il bambino con l’acqua sporca. L’idea di trovare un sistema di crediti fiscali per stimolare in qualche modo il Pil non è così peregrina. Da un lato il cambio dell’euro è disancorato dei fondamentali della nostra economia e al tempo stesso la produttività è tenuta bassa dalla pressione fiscale e dalla mancanza di investimenti pubblici nelle infrastrutture portanti. L’idea di realizzare un grande progetto come il Pnrr si scontra però con l’inflazione che rimarrà strutturalmente stabile intorno al 10% a lungo contro il 2 valutato come benchmark del Recovery fund. A questo punto tagliare la testa al Superbonus senza trovare una strada di accompagnamento graduale per le aziende e senza immaginare la possibilità di una terza via fiscale rischia l’effetto frenata brusca. Eventualità che non ci possiamo permettere. Come ha detto l’altro ieri il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, la bilancia commerciale sta diventando sempre più rossa. A settembre il disavanzo nei confronti dei Paesi non Ue sale a 5 miliardi contro un solo miliardo legato all’import. Quello energetico vale addirittura 12 miliardi. In pratica, chiuderemo l’anno con almeno 60 miliardi di saldo negativo sulla bilancia commerciale. Non accadeva da 12 anni. Anche gli altri Paesi Ue sono in linea con noi. Salvo la Germania che ha dati meno negativi e in ogni caso sta cercando di vendersi il più possibile alla Cina per cercare di rimanere ancorata al mercato asiatico. La differenza tra l’Italia e gli altri resta però l’enorme debito pubblico che rende gli investimenti o la possibilità trovare canali di crescita più ardui. Il trend della bilancia commerciale ci dice che insistere mettendo toppe sul modello decreto Aiuti non servirà in alcun modo a invertire la rotta della crescita. Tanto meno riusciremo a tenere sotto controllo l’inflazione. A differenza degli Stati Uniti l’impennata del costo del denaro da noi e in generale in Europa è indotta da fattori esterni e debolezze interne: la scarsa produttività e gli stipendi bassi.Ecco perché vale la pena cercare di capire se un credito fiscale o moneta fiscale possa essere usato in qualche modo per stimolare gli scambi interni al Paese. Non certo in forma di pagamento degli stipendi dei dipendenti della Pa, ma forse tra singole aziende. Sono temi complessi, che non si esauriscono nello scambio di qualche battuta politica o giornalistica. La situazione del nostro Pil non è certo rosea, e lo schema imposto da Mario Draghi non ha funzionato. Non solo in relazione al Superbonus, ma anche nell’intera erogazione dei bonus antibollette. La povertà aumenta e l’inflazione galoppa.
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