2025-02-02
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Dai dialoghi prima dell’incidente emergono tragiche carenze nello staff. Aggravate dalle scelte di Biden e dal programma di diversità (Dei). Il bilancio finale è di 67 morti.Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito l’incidente del Potomac «una tragedia di proporzioni terribili» e ha accusato l’amministrazione Obama sostenendo che aveva stabilito che la forza lavoro dell’Autorità aeronautica nazionale (Faa) fosse troppo «bianca». E anche l’amministrazione Biden, il suo segretario ai trasporti, Pete Buttigieg, e il Dei, il programma di diversità, equità e inclusione per le assunzioni pubbliche. Atto che Trump ha bloccato ponendo i dipendenti così assunti in congedo amministrativo retribuito e il piano Dei stesso nel mirino del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge) guidato da Elon Musk, il quale lo aveva definito «solo un altro termine per razzismo». Trump ha anche detto: «Dobbiamo avere gli standard più elevati per coloro che lavorano nel sistema aeronautico, negli ultimi dieci anni centinaia di persone hanno fatto causa al governo, avrebbero voluto essere controllori di volo ma sono stati respinti a causa del colore della pelle». La faccenda è più complicata, ma ha un grande fondo di verità: il numero dei controllori durante l’amministrazione Biden era insufficiente a causa dei tagli di bilancio, tanto che lo stesso Buttigieg aveva dovuto fare i conti con la realtà. Nell’ottobre scorso aveva assunto 1.800 persone velocizzando il loro addestramento, pena il non poter più attivare nuovi voli. Ma che le torri di controllo Usa siano in carenza di personale lo dimostra la trascrizione di ciò che è avvenuto in quattro minuti a Washington mercoledì sera, dove in servizio c’erano soltanto due persone, una delle quali a coordinare partenze, arrivi e traffici in volo.L’elicottero Uh-60 Black Hawk dell’esercito che si è scontrato in volo con un jet Crj-700 dell’American Airlines era pilotato da aviatori esperti che in genere effettuano missioni Vip in spazi aerei molto trafficati ed era partito dalla vicina Virginia con tre militari a bordo. Il volo dell’American Airlines (AAL5342) proveniente da Wichita (Kansas), con 64 persone, era inizialmente inserito con altri voli nella sequenza di avvicinamento per la pista 01 del Reagan, la più lunga e l’unica dotata di sistema strumentale sull’aeroporto nel quale ovviamente ci sono anche aerei in partenza. Dovendo far decollare alcuni di questi che, per le loro dimensioni, avevano necessità di usare la medesima pista, la torre di controllo, considerando le buone condizioni meteo, ha proposto al volo Aal di atterrare sulla pista 33 (orientata di circa 40 gradi rispetto alla 01), comunque abbastanza lunga per la frenata del Crj. L’equipaggio dell’aereo confermava e da quel momento pilotava a vista spostandosi a destra rispetto alla traiettoria degli altri aerei che lo seguivano e trovandosi a sorvolare il ponte Woodrow a circa 10 chilometri a Sud dell’aeroporto. Il comandante, seduto a sinistra, quella opposta dalla quale arrivava l’elicottero, riduceva la spinta dei motori e faceva scendere l’aereo. Dalla torre la sua posizione veniva trasmessa all’elicottero proveniente da Nord con un deciso vento a favore che lo rendeva veloce, a circa 60 metri di quota. Il nominativo è Pat 25, da Priority air transport, perché quel reparto trasporta cariche istituzionali nell’area di Washington. L’operatore in torre dice: «Pat 25, traffico subito a Sud di Woodrow Bridge, è un Crj a 1.200 piedi (400 metri, ndr) che si sta allineando per pista 33». Risponde l’elicotterista: «Pat 25 conferma e richiede separazione a vista». In quel momento i valori minimi di visibilità previsti dalle norme sono rispettati e quindi la torre risponde: «Separazione a vista approvata», occupandosi immediatamente di autorizzare la sequenza di partenze: «American 1630 da torre, autorizzato allineamento e attesa per pista 01, il traffico a due miglia e andrà sulla pista 33, il successivo è a 6 miglia». Come da prassi il pilota di American 1630 conferma: «Allineamento e attesa su pista 01». Passano meno di dieci secondi e la torre chiama un volo atterrato nel frattempo sollecitandolo a liberare la pista 01 e passandolo alla frequenza che controlla i movimenti al suolo e i parcheggi: «Bluestreak 5307, continua rapido al raccordo N, piazzola 7, frequenza 121.7, buona giornata». Il pilota risponde: «Ricevuto 5307». Con la pista 01 libera, la torre autorizza il decollo di American 1630: «AA1630 vento da 320, 14 nodi con raffiche a 25, traffico a due miglia in virata per pista 33, autorizzato decollo immediato». E da Aal 1630 rispondono: «Numero uno, autorizzato al decollo». Si intuisce che fosse un momento di traffico molto intenso con un solo uomo a regolarlo. In quell’istante l’elicottero Pat 25 stava volando verso Sud all’altezza del prolungamento della pista 01 e il suo pilota si sente sicuro perché, essendoci un decollo in corso, nessuno può trovarsi lì. Il controllore lo vede, come anche le luci del Crj, ormai a meno di due chilometri a Sudovest mentre scende a 150 metri iniziando la virata finale a sinistra per allinearsi alla pista 33. Per scrupolo, chiama: «Pat 25, hai il Crj in vista? Passa dietro al Crj». Intanto l’aeroplano per virare s’inclina a sinistra e mostra il ventre alla direzione di Pat 25, quindi i piloti non lo possono vedere. Tutti pare avessero il sistema anti collisione spento, pena il fatto che con tanto traffico ravvicinato squillerebbe in continuazione. Sull’elicottero l’equipaggio indossa il casco che riduce la visuale laterale, e chi aziona i comandi siede a destra, dalla parte opposta a quella con cui colpisce il Crj. Senza accennare a una deviazione, forse neppure il tempo di capire. Muoiono 67 persone. Qualcuno alla radio dice: «Oh mio Dio».
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





