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2021-03-23
Disastri e ombre sulla riconferma. Tocca alle Regioni fermare Magrini
Nicola Magrini (Ansa)
Nicola Magrini è stato riconfermato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, alla direzione generale dell'Agenzia italiana del farmaco, ma circola l'idea che abbia fatto assai poco per meritare di sedere ancora su quella poltrona. La singolare coincidenza, del rinnovo dell'incarico con lo stop di Astrazeneca, messa in luce dalla Verità, che ha documentato come Magrini avesse aggiornato il proprio cv proprio nelle ore in cui prendeva la «decisione politica», di sospendere in via precauzionale il vaccino anglosvedese (lo scorso 15 marzo), mossa quasi «premiata» tre giorni dopo dal ministro, che il 18 marzo firmava la sua riconferma, è solo una delle zone d'ombra in cui sembra muoversi il dg di Aifa.
Prima l'annuncio che Astrazeneca era preferibile per gli under 55, poi il via libera anche ai cittadini fino ai 65 anni in buone condizioni di salute. Infine l'annuncio che il vaccino può essere usato da tutte le fasce di età. «Messaggi contrastanti», commentò Silvio Garattini, fondatore e presidente dell'Istituto Mario Negri, «a cui non è stata seguita un'adeguata comunicazione».
La scorsa settimana viene decisa l'improvvida sospensione, accodandosi alla Germania e senza ascoltare l'Ema, l'Agenzia europea del farmaco, che aveva consigliato di non interromperne la somministrazione del vaccino. Domenica sera, a Non è l'Arena su La 7, si è svolto una sorta di processo per direttissima a carico di Magrini. Dagli Stati Uniti, dove ora lavora, Luca Pani, psichiatra e biologo molecolare che fu direttore generale dell'Aifa dal 2011 al 2016, ha detto che Astrazeneca non andava sospeso. «È stato esercitato in maniera non scientifica un principio di precauzione esagerato, perché se di rischio si doveva parlare, bisognava mettere nel calcolo anche quello che sarebbe successo a non vaccinare per quattro giorni», ha dichiarato il professore in collegamento dalla Florida, ricordando che «l'esitazione vaccinale è già complicata di per sé». Ha rimarcato il concetto: «Questa decisione non l'ho capita» e alla domanda del conduttore, Massimo Giletti, su che cosa avrebbe fatto se fosse stato ancora dg di Aifa ha risposto senza esitazione: «Avrei continuato dritto», nel far vaccinare gli italiani con Astrazeneca. Davanti a una decisione imposta avrebbe detto: «Queste sono le mie dimissioni, grazie e arrivederci». La farmacovigilanza non può sottostare a diktat politici. Sconcertante il commento del sottosegretario al ministero della Salute, Pierpaolo Sileri, tra gli ospiti della trasmissione: «La penso esattamente come Pani». Per poi aggiungere: «Ho chiesto tante cose a Magrini negli ultimi sei mesi, dai monoclonali alle vaccinazioni, però…», omettendo di completare la frase e non migliorando certo l'immagine dell'attuale dg di Aifa. Si è anche lasciato scappare che «la politica è stata troppo presente nelle nomine» di personaggi il cui cv «torna buono per accendere il caminetto in campagna». «Direttori generali asserviti alla politica, come possono avere il coraggio di dire no se gli viene imposta una cosa?», ha aggiunto.
Certo, come è capitato altre volte di fronte alle affermazioni del medico pentastellato anche quando era vic ministro, Sileri dice cose sacrosante, ma «non tocca palla». Sembra un commentatore di quanto avviene a Lungotevere Ripa. Pani ha ricordato che al momento della sospensione decisa in Italia, il Regno Unito aveva già vaccinato 11 milioni di persone, eppure June Raine, capo dell'agenzia del farmaco britannica (Mhra), non ritenne giustificato uno stop. La Raine non è l'ultima arrivata nel campo scientifico, visto che dal 2012 al 2018 è stata presidente del Prac, la Commissione di farmacovigilanza dell'Ema. «Stiamo parlando di competenze enormi, anche nella capacità di avere la percezione del rischio», ha sottolineato Pani. Come dire: e Magrini che esperienza aveva in tutto ciò per bloccate il vaccino sviluppato presso l'università di Oxford? Forse sulle competenze del dg qualche dubbio ce l'ha anche il premier, Mario Draghi, se l'ha tolto dal Cts mettendo al suo posto lo scienziato Giorgio Palù, presidente di Aifa.
Per sconfessare l'operato dell'attuale direttore generale è stata tirata fuori anche la questione degli anticorpi monoclonali, terapia negata per mesi ai pazienti Covid con sintomi lievi, perché la nostra Agenzia del farmaco non dava il via libera. Una cura invece indispensabile «per non far arrivare i pazienti in ospedale», ha sottolineato Pani. A febbraio, il virologo Guido Silvestri definì del «tutto insostenibile» la posizione di Magrini «che non approvò la sperimentazione», malgrado fosse possibile fin da ottobre 2020 senza violare alcuna legge o regola. «Credo che ci si debba chiedere», concluse Silvestri, «se la sua presenza a capo di Aifa rappresenti ancora la cosa giusta per l'Italia e per i malati di Covid-19». Il bolognese Magrini è l'ultimo dg nel giro di pochi anni. Nel settembre del 2018 Mario Melazzini lascia l'incarico di dg, che occupava dal novembre 2016 (fu nominato da Beatrice Lorenzin), perché il ministro M5s, Giulia Grillo, gli preferisce Luca Li Bassi, poi congedato nel 2019 dall'allora neoministro, Roberto Speranza, che sceglie Magrini. «Esprimiamo grande soddisfazione per l'elezione», dichiarò a gennaio 2020 Sergio Venturi, presidente del comitato di settore Regioni-sanità. Venturi, ex assessore alle Politiche della salute e già commissario per l'emergenza Covid della Regione Emilia Romagna, nell'occasione ricordò il legame di Magrini, come ricercatore, con la Regione amministrata da Stefano Bonaccini.
Sono però di centrodestra la maggior parte dei governatori che giovedì dovranno esprimere il loro parere sulla riconferma del dg di Aifa. Stanno valutando se in questi mesi ai vertici della farmacovigilanza si è davvero lavorato per la salvaguardia della salute pubblica.
Lo stop fa crollare la fiducia in Az. Boom di disdette anche in Italia
Crolla la fiducia dei cittadini europei nel vaccino Astrazeneca. Un sondaggio realizzato in questi giorni dalla società inglese Yougov dimostra che lo stop and go inflitto al preparato dell'azienda britannicosvedese ha rappresentato un bruttissimo colpo per la campagna vaccinale europea. Nel giro di pochissimo tempo, spiegano da Yougov, la stima nei confronti del vaccino di Oxford è calata sensibilmente nei quattro Paesi più popolosi dell'Unione europea. Solo il 32% dei cittadini tedeschi intervistati oggi reputa sicuro il farmaco di Astrazeneca, contro il 43% dell'ultima rilevazione condotta a fine febbraio. Per contro, più della metà (55%) lo ritiene pericoloso, in netta ascesa rispetto al valore del mese scorso (40%). Stesso discorso per Francia (61% non sicuro contro il precedente 43%), e Spagna (oggi sicuro per il 38% degli intervistati contro il 59% di febbraio).
Non fa eccezione, naturalmente, il nostro Paese. Solo poco più di un terzo dei partecipanti al sondaggio (36%) ritiene che il vaccino di Astrazeneca sia sicuro, un crollo verticale rispetto al risultato pubblicato a febbraio, quando gli italiani che si fidavano erano più della metà (54%). E così, da Nord a Sud dello Stivale si registrano disdette per una percentuale significativa delle persone chiamate a ricevere il siero britannico, alle quali si sommano le rinunce già pervenute nei giorni immediatamente precedenti alla sospensione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco. Non sono bastate a convincere i più dubbiosi né le rassicurazioni delle autorità sanitarie, né tantomeno la minaccia di mandare «in coda» chi avrebbe rifiutato la somministrazione.
Clamorosa débacle in Campania. Secondo quanto riportato da Il Riformista e Il Mattino, la percentuale dei forfait sfiora un terzo degli appuntamenti in programma. Sabato mattina all'hub dell'Asl Napoli 1 sono state inoculate appena 272 dosi, pari a due terzi del personale scolastico convocato. Leggermente superiore (76,5%) la percentuale fatta registrare nel pomeriggio, quando in programma c'era la vaccinazione del personale delle forze dell'ordine. Nelle altre Asl campane la quota di rifiuti si aggira tra il 25% e il 33%. Non va meglio in Piemonte, dove si registra una media di 25-30% di rinunce, con punte di oltre il 31% nella città di Torino. Venerdì scorso, invece, il segretario locale della Federazione italiana dei medici di medicina generale, Andrea Stimamiglio, ha spiegato che circa il 10% degli 11.000 liguri che la settimana scorsa avrebbe dovuto ricevere il vaccino Astrazeneca ha contattato il proprio medico di base per disdire la prenotazione. Valori simili a quelli riscontrati in Toscana, dove il governatore, Eugenio Giani, preferisce rimanere positivo. «Abbiamo registrato meno del 12% di rinunce ad Astrazeneca dopo le notizie dei giorni scorsi», ha dichiarato Giani, «questo vuol dire che quasi il 90% continua per fortuna a fidarsi, del resto la diffidenza è incomprensibile».
Serpeggia la diffidenza nel comparto scolastico, uno dei più impattati dalla sospensione del farmaco britannicosvedese. Secondo le stime del sito specializzato Tecnica della scuola, confermate dai dati ufficiali pervenuti nel fine settimana alla ripresa delle vaccinazioni, sono 100.000 i lavoratori del settore che avrebbero deciso di non sottoporsi al vaccino. Vale a dire, quasi uno su dieci. Percentuale più che doppia in Sardegna: il commissario Ares-Ats Massimo Temussi ha comunicato all'Ansa che la percentuale di disdette da parte del personale della scuola è nell'ordine del 20%.
Negativi anche i dati che arrivano dal Veneto. Sono ben 561 le disdette registrate dall'Ulss 6 Euganea di Padova al termine della due giorni di vaccinazioni svoltasi sabato e domenica, solo parzialmente tamponate dalla chiamata dei sostituti. Complessivamente, su 3.262 insegnanti convocati sono state effettuate 2.501 somministrazioni, con un tasso di rifiuto che sfiora il 25%. Quasi metà delle persone contattate dall'Ulss Berica di Vicenza, poi, non si sono presentate all'appello.
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Pioggia di critiche sul dg dell'Aifa, dopo le strane coincidenze sulle date del reincarico svelate dalla Verità. Luca Pani: «Al suo posto mi sarei dimesso». Pierpaolo Sileri: «Anch'io». Giovedì i governatori possono provare a destituirlo.Un sondaggio Yougov certifica la paura degli europei. Fuga record in Campania.Lo speciale contiene due articoli.Nicola Magrini è stato riconfermato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, alla direzione generale dell'Agenzia italiana del farmaco, ma circola l'idea che abbia fatto assai poco per meritare di sedere ancora su quella poltrona. La singolare coincidenza, del rinnovo dell'incarico con lo stop di Astrazeneca, messa in luce dalla Verità, che ha documentato come Magrini avesse aggiornato il proprio cv proprio nelle ore in cui prendeva la «decisione politica», di sospendere in via precauzionale il vaccino anglosvedese (lo scorso 15 marzo), mossa quasi «premiata» tre giorni dopo dal ministro, che il 18 marzo firmava la sua riconferma, è solo una delle zone d'ombra in cui sembra muoversi il dg di Aifa. Prima l'annuncio che Astrazeneca era preferibile per gli under 55, poi il via libera anche ai cittadini fino ai 65 anni in buone condizioni di salute. Infine l'annuncio che il vaccino può essere usato da tutte le fasce di età. «Messaggi contrastanti», commentò Silvio Garattini, fondatore e presidente dell'Istituto Mario Negri, «a cui non è stata seguita un'adeguata comunicazione». La scorsa settimana viene decisa l'improvvida sospensione, accodandosi alla Germania e senza ascoltare l'Ema, l'Agenzia europea del farmaco, che aveva consigliato di non interromperne la somministrazione del vaccino. Domenica sera, a Non è l'Arena su La 7, si è svolto una sorta di processo per direttissima a carico di Magrini. Dagli Stati Uniti, dove ora lavora, Luca Pani, psichiatra e biologo molecolare che fu direttore generale dell'Aifa dal 2011 al 2016, ha detto che Astrazeneca non andava sospeso. «È stato esercitato in maniera non scientifica un principio di precauzione esagerato, perché se di rischio si doveva parlare, bisognava mettere nel calcolo anche quello che sarebbe successo a non vaccinare per quattro giorni», ha dichiarato il professore in collegamento dalla Florida, ricordando che «l'esitazione vaccinale è già complicata di per sé». Ha rimarcato il concetto: «Questa decisione non l'ho capita» e alla domanda del conduttore, Massimo Giletti, su che cosa avrebbe fatto se fosse stato ancora dg di Aifa ha risposto senza esitazione: «Avrei continuato dritto», nel far vaccinare gli italiani con Astrazeneca. Davanti a una decisione imposta avrebbe detto: «Queste sono le mie dimissioni, grazie e arrivederci». La farmacovigilanza non può sottostare a diktat politici. Sconcertante il commento del sottosegretario al ministero della Salute, Pierpaolo Sileri, tra gli ospiti della trasmissione: «La penso esattamente come Pani». Per poi aggiungere: «Ho chiesto tante cose a Magrini negli ultimi sei mesi, dai monoclonali alle vaccinazioni, però…», omettendo di completare la frase e non migliorando certo l'immagine dell'attuale dg di Aifa. Si è anche lasciato scappare che «la politica è stata troppo presente nelle nomine» di personaggi il cui cv «torna buono per accendere il caminetto in campagna». «Direttori generali asserviti alla politica, come possono avere il coraggio di dire no se gli viene imposta una cosa?», ha aggiunto. Certo, come è capitato altre volte di fronte alle affermazioni del medico pentastellato anche quando era vic ministro, Sileri dice cose sacrosante, ma «non tocca palla». Sembra un commentatore di quanto avviene a Lungotevere Ripa. Pani ha ricordato che al momento della sospensione decisa in Italia, il Regno Unito aveva già vaccinato 11 milioni di persone, eppure June Raine, capo dell'agenzia del farmaco britannica (Mhra), non ritenne giustificato uno stop. La Raine non è l'ultima arrivata nel campo scientifico, visto che dal 2012 al 2018 è stata presidente del Prac, la Commissione di farmacovigilanza dell'Ema. «Stiamo parlando di competenze enormi, anche nella capacità di avere la percezione del rischio», ha sottolineato Pani. Come dire: e Magrini che esperienza aveva in tutto ciò per bloccate il vaccino sviluppato presso l'università di Oxford? Forse sulle competenze del dg qualche dubbio ce l'ha anche il premier, Mario Draghi, se l'ha tolto dal Cts mettendo al suo posto lo scienziato Giorgio Palù, presidente di Aifa. Per sconfessare l'operato dell'attuale direttore generale è stata tirata fuori anche la questione degli anticorpi monoclonali, terapia negata per mesi ai pazienti Covid con sintomi lievi, perché la nostra Agenzia del farmaco non dava il via libera. Una cura invece indispensabile «per non far arrivare i pazienti in ospedale», ha sottolineato Pani. A febbraio, il virologo Guido Silvestri definì del «tutto insostenibile» la posizione di Magrini «che non approvò la sperimentazione», malgrado fosse possibile fin da ottobre 2020 senza violare alcuna legge o regola. «Credo che ci si debba chiedere», concluse Silvestri, «se la sua presenza a capo di Aifa rappresenti ancora la cosa giusta per l'Italia e per i malati di Covid-19». Il bolognese Magrini è l'ultimo dg nel giro di pochi anni. Nel settembre del 2018 Mario Melazzini lascia l'incarico di dg, che occupava dal novembre 2016 (fu nominato da Beatrice Lorenzin), perché il ministro M5s, Giulia Grillo, gli preferisce Luca Li Bassi, poi congedato nel 2019 dall'allora neoministro, Roberto Speranza, che sceglie Magrini. «Esprimiamo grande soddisfazione per l'elezione», dichiarò a gennaio 2020 Sergio Venturi, presidente del comitato di settore Regioni-sanità. Venturi, ex assessore alle Politiche della salute e già commissario per l'emergenza Covid della Regione Emilia Romagna, nell'occasione ricordò il legame di Magrini, come ricercatore, con la Regione amministrata da Stefano Bonaccini. Sono però di centrodestra la maggior parte dei governatori che giovedì dovranno esprimere il loro parere sulla riconferma del dg di Aifa. Stanno valutando se in questi mesi ai vertici della farmacovigilanza si è davvero lavorato per la salvaguardia della salute pubblica.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/disastri-e-ombre-magrini-2651173232.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stop-fa-crollare-la-fiducia-in-az-boom-di-disdette-anche-in-italia" data-post-id="2651173232" data-published-at="1616443030" data-use-pagination="False"> Lo stop fa crollare la fiducia in Az. Boom di disdette anche in Italia Crolla la fiducia dei cittadini europei nel vaccino Astrazeneca. Un sondaggio realizzato in questi giorni dalla società inglese Yougov dimostra che lo stop and go inflitto al preparato dell'azienda britannicosvedese ha rappresentato un bruttissimo colpo per la campagna vaccinale europea. Nel giro di pochissimo tempo, spiegano da Yougov, la stima nei confronti del vaccino di Oxford è calata sensibilmente nei quattro Paesi più popolosi dell'Unione europea. Solo il 32% dei cittadini tedeschi intervistati oggi reputa sicuro il farmaco di Astrazeneca, contro il 43% dell'ultima rilevazione condotta a fine febbraio. Per contro, più della metà (55%) lo ritiene pericoloso, in netta ascesa rispetto al valore del mese scorso (40%). Stesso discorso per Francia (61% non sicuro contro il precedente 43%), e Spagna (oggi sicuro per il 38% degli intervistati contro il 59% di febbraio). Non fa eccezione, naturalmente, il nostro Paese. Solo poco più di un terzo dei partecipanti al sondaggio (36%) ritiene che il vaccino di Astrazeneca sia sicuro, un crollo verticale rispetto al risultato pubblicato a febbraio, quando gli italiani che si fidavano erano più della metà (54%). E così, da Nord a Sud dello Stivale si registrano disdette per una percentuale significativa delle persone chiamate a ricevere il siero britannico, alle quali si sommano le rinunce già pervenute nei giorni immediatamente precedenti alla sospensione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco. Non sono bastate a convincere i più dubbiosi né le rassicurazioni delle autorità sanitarie, né tantomeno la minaccia di mandare «in coda» chi avrebbe rifiutato la somministrazione. Clamorosa débacle in Campania. Secondo quanto riportato da Il Riformista e Il Mattino, la percentuale dei forfait sfiora un terzo degli appuntamenti in programma. Sabato mattina all'hub dell'Asl Napoli 1 sono state inoculate appena 272 dosi, pari a due terzi del personale scolastico convocato. Leggermente superiore (76,5%) la percentuale fatta registrare nel pomeriggio, quando in programma c'era la vaccinazione del personale delle forze dell'ordine. Nelle altre Asl campane la quota di rifiuti si aggira tra il 25% e il 33%. Non va meglio in Piemonte, dove si registra una media di 25-30% di rinunce, con punte di oltre il 31% nella città di Torino. Venerdì scorso, invece, il segretario locale della Federazione italiana dei medici di medicina generale, Andrea Stimamiglio, ha spiegato che circa il 10% degli 11.000 liguri che la settimana scorsa avrebbe dovuto ricevere il vaccino Astrazeneca ha contattato il proprio medico di base per disdire la prenotazione. Valori simili a quelli riscontrati in Toscana, dove il governatore, Eugenio Giani, preferisce rimanere positivo. «Abbiamo registrato meno del 12% di rinunce ad Astrazeneca dopo le notizie dei giorni scorsi», ha dichiarato Giani, «questo vuol dire che quasi il 90% continua per fortuna a fidarsi, del resto la diffidenza è incomprensibile». Serpeggia la diffidenza nel comparto scolastico, uno dei più impattati dalla sospensione del farmaco britannicosvedese. Secondo le stime del sito specializzato Tecnica della scuola, confermate dai dati ufficiali pervenuti nel fine settimana alla ripresa delle vaccinazioni, sono 100.000 i lavoratori del settore che avrebbero deciso di non sottoporsi al vaccino. Vale a dire, quasi uno su dieci. Percentuale più che doppia in Sardegna: il commissario Ares-Ats Massimo Temussi ha comunicato all'Ansa che la percentuale di disdette da parte del personale della scuola è nell'ordine del 20%. Negativi anche i dati che arrivano dal Veneto. Sono ben 561 le disdette registrate dall'Ulss 6 Euganea di Padova al termine della due giorni di vaccinazioni svoltasi sabato e domenica, solo parzialmente tamponate dalla chiamata dei sostituti. Complessivamente, su 3.262 insegnanti convocati sono state effettuate 2.501 somministrazioni, con un tasso di rifiuto che sfiora il 25%. Quasi metà delle persone contattate dall'Ulss Berica di Vicenza, poi, non si sono presentate all'appello.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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