
Mentre Fincantieri annuncia l'avvio della joint venture con i francesi di Naval group, Leonardo sigla con gli States un contratto per la vendita di 32 elicotteri. Ma solo guardando Oltreoceano l'Italia può sottrarsi alla morsa europea dell'asse Macron-Merkel.Il panorama della Difesa italiana sta mostrando una certa polarizzazione. Un player guarda sempre più convinto in direzione di Parigi, l'altro valica l'oceano Atlantico e piazza una ulteriore bandierina negli Usa. Ieri, infatti, Fincantieri ha annunciato l'avvio delle attività di Naviris, la joint venture al 50% con i francesi di Naval group. «Le due società hanno stabilito che Naviris abbia sede principale a Genova e una controllata situata a Ollioules, il team di Naviris si concentrerà su progetti bilaterali e di export. Per sottolineare la volontà strategica e di sviluppo che Fincantieri e Naval group assegnano all'operazione, a Giuseppe Bono è stata assegnata la presidenza ed Hervé Guillou è membro del consiglio di amministrazione», si legge sempre nella nota. L'obiettivo dichiarato della partnership è quello di portare avanti progetti congiunti di ricerca e sviluppo, coordinare capacità di offerta in tutto il mondo e ottimizzazione del procurement. Naviris prevede opportunità di export e iniziative comuni francoitaliane, come i primi studi per l'ammodernamento di «mezza vita» dei cacciatorpediniere classe Horizon francesi e italiani, nonché progetti europei, come lo sviluppo di una Corvetta europea per il pattugliamento di nuova generazione. La scorsa estate gli accordi di partnership tra Fincantieri e Naval group erano stati al centro di un cdm infuocato, dopo una serie di interrogativi posti nell'ambito dell'esercizio del golden power. Il governo ha poi deciso di dare la benedizione all'operazione, chiedendo però a Bono di portare avanti una strategia che in alcun modo favorisse l'elettronica della Difesa francese a discapito di quella prodotta dalla nostra Leonardo. Ovviamente non è semplice controllare se nel breve periodo le attività con maggiore margine vada a finire a Parigi piuttosto che a Roma. Bono, dal canto suo, la scorsa estate anche sulle colonne della Verità ha ribadito che se si vuole far parte attiva della Difesa comune europea bisogna accettare che il contributo tricolore sia riconducibile alla cantieristica. Su questo il capo di Fincantieri non ha dubbi. Noi invece sulla Difesa comune europea ne abbiamo moltissimi e riguardano il ruolo di Leonardo, che ha un piede in Gran Bretagna ed è a tutti gli effetti partecipe del progetto del caccia di ultima generazione, il Tempest. Un velivolo che nasce per fare concorrenza al collega francotedesco. Dunque la naturale evoluzione della Difesa Ue è quella di portare tutti i fondi nelle tasche di francesi e tedeschi, abolendo i progetti che non interessino l'asse Parigi-Berlino. Per la nostra industria aeronautica sarebbe un colpo mortale. Per questo motivo Leonardo è tenuta a guardare oltre la Francia e puntare agli Stati Uniti. Deve probabilmente farlo senza esitazione. Su questo gli americani hanno dato segnali discordanti. O forse hanno mandato solo degli avvertimenti. A dicembre il Dipartimento di Stato ha congelato la licenza per commercializzare assieme a Boeing gli Chinook per le forze speciali. Essi contengono tecnologia così avanzata che i militari americani stanno verificando che non vada a finire in Cina attraverso il nostro Paese e le attività di Leonardo in Turchia. Dopo lo schiaffo di dicembre, ieri, però - mentre Fincantieri annunciava l'avvio della joint venture, il Dipartimento Usa la Us Navy confermavano l'ordine per 130 elicotteri per un valore complessivo di 650 milioni di dollari, circa 600 milioni di euro. La scelta ha lasciato sul terreno due concorrenti di peso: Bell e Airbus. Non solo. La vittoria consolida la presenza di Leonardo anche nelle attività di addestramento elicotteristico. Il modello che finirà alla Us Navy è il Th 119, l'evoluzione dell'Aw 119 e da lì potrà proporsi anche al Canada e ad altri Paesi occidentali, visto che a Leonardo è stato assegnato il ruolo di primo contraente. Al di là del valore complessivo della commessa ciò che conta è l'apertura del mercato Usa senza il vincolo di una azienda a stelle e strisce. È solo un punto di partenza. Per capirsi, adesso tocca alla politica tirare una linea strategica. Ieri a commento dell'avvio della joint venture di italo francese, Bono ha mandato un messaggio chiaro. «Siamo grati ai nostri governi per l'incondizionato sostegno ricevuto per la creazione di un nuovo leader europeo nel settore strategico della difesa navale», hanno concluso i due ad di Fincantieri e Naval group con un comunicato congiunto. Il governo ha deciso di non smontare il progetto di Fincantieri, ma adesso dovrà fermare le bocce e capire dove vuole portare anche l'altro grande palyer, magari regolando la Brexit e consolidando i rapporti con gli Usa. Meglio lasciare perdere le lucciole.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
S’incrina il favore di cancellerie e media. Che fingevano che il presidente fosse un santo.
Per troppo tempo ci siamo illusi che la retorica bastasse: Putin era il cattivo della storia e quindi il dibattito si chiudeva già sul nascere, prima che a qualcuno saltasse in testa di ricordare che le intenzioni del cattivo di rifare la Grande Russia erano note e noi, quel cattivo, lo avevamo trasformato nel player energetico pressoché unico. Insomma la politica internazionale è un pochino meno lineare delle linee dritte che tiriamo con il righello della morale.
L’Unesco si appresta a conferire alla cucina italiana il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità. La cosa particolare è che non vengono premiati i piatti – data l’enorme biodiversità della nostra gastronomia – ma il valore culturale della nostra cucina fatta di tradizioni e rapporto con il rurale e il naturale.
Antonio Tajani (Ansa)
Il ministro degli Esteri annuncia il dodicesimo pacchetto: «Comitato parlamentare informato». Poco dopo l’organo smentisce: «Nessuna comunicazione». Salvini insiste: «Sconcerto per la destinazione delle nostre risorse, la priorità è fermare il conflitto».
Non c’è intesa all’interno della maggioranza sulla fornitura di armi a Kiev. Un tema sul quale i tre partiti di centrodestra non si sono ancora mai spaccati nelle circostanze che contano (quindi al momento del voto), trovando sempre una sintesi. Ma se fin qui la convergenza è sempre finita su un sì agli aiuti militari, da qualche settimana la questione sembrerebbe aver preso un’altra piega. Il vicepremier Matteo Salvini riflette a fondo sull’opportunità di inviare nuove forniture: «Mandare aiuti umanitari, militari ed economici per difendere i civili e per aiutare i bambini e sapere che una parte di questi aiuti finisce in ville all’estero, in conti in Svizzera e in gabinetti d’oro, è preoccupante e sconcertate».
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
La confessione di un ex imprenditore getta altre ombre sul «Sistema Pavia»: «Il business serviva agli operatori per coprire attività illecite come il traffico di droga e armi. Mi hanno fatto fuori usando la magistratura. Il mio avversario? Forse un parente di Sempio».
Nel cuore della Lomellina, dove sono maturate le indagini sull’omicidio di Garlasco e dove sono ora concentrate quelle sul «Sistema Pavia», si sarebbe consumata anche una guerra del riso. Uno scontro tra titani europei della produzione, che da sempre viaggia sotto traccia ma che, ora che i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi si sono riaccesi, viene riportata alla luce. A stanare uno dei protagonisti della contesa è stato Andrea Tosatto, scrittore con due lauree (una in Psicologia e una in Filosofia) e una lunghissima serie di ironiche produzioni musicali (e non solo) sul caso Garlasco. Venerdì ha incontrato Fabio Aschei, che definisce «uno con tante cose da raccontare su ciò che succedeva nella Garlasco di Chiara Poggi».






