
Nel libro inchiesta Sodoma Frédéric Martel scrive che a spingere il Papa all'addio sarebbe stato qualcosa scoperto durante la visita a Cuba. «Il fatto che alti prelati siano gay favorisce ricatti e omertà».La rinuncia al pontificato di Benedetto XVI è arrivata dopo una tormentata Via Crucis, durata otto anni con 14 dolorose stazioni, delle quali almeno dieci vanno comunque legate alla questione dell'omosessualità nella chiesa. È forse questo uno dei passaggi più sorprendenti di Sodoma, il saggio scritto dal giornalista francese Frédéric Martel (per Feltrinelli, presto in libreria) che cerca di far luce su uno dei fatti più incredibili nella storia della Chiesa contemporanea. La rinuncia di Ratzinger, comunicata ai cardinali riuniti il 10 febbraio 2013 e che provocò uno choc tra i cattolici in tutto il mondo, rappresenta infatti ancora un enigma. Benedetto XVI spiegò la sua scelta con parole schiette: visto che per esercitare il ministero petrino «è necessario anche il vigore», spiegò ai porporati sempre più attoniti, «sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Per Martel, Benedetto XVI ha rinunciato sì per motivi diversi, ma gran parte hanno una matrice comune nelle loro ragioni più profonde: l'omosessualità che secondo l'autore attanaglia quel piccolo Stato sino a condizionarne alcune scelte. E quindi l'autore francese indica questi motivi. Alcuni sono noti come certamente l'età avanzata, lo stato precario di salute, altri sono ipotesi tra gli addetti ai lavori come la difficoltà di gestire la Curia (basti ricordare gli allarmi dei contabili sui «conti fuori controllo» rimasti inascoltati) e la controversa figura del segretario di Stato, Tarcisio Bertone.Per Martel hanno però inciso anche altre questioni: dagli smacchi nella comunicazione (a iniziare evidentemente da Ratisbona) alle tensioni religiose, magari anche con rischi scismatici fino al dilagare della questione pedofilia. E quest'ultimo aspetto merita un approfondimento. Perché se è vero e ovvio che pedofilia e omosessualità sono cose ben diverse e distanti tra loro, è anche vero - sostiene sempre Martel - che la cultura del silenzio della vastissima comunità gay all'interno della Chiesa espone gli appartenenti, presi singolarmente, a rappresaglie omofobe e magari a pressioni e ricatti. Un silenzio chiama altro silenzio. E vengono immediatamente in mente le parole di denuncia proprio di Georg Gänswein, prefetto della casa pontificia e già segretario particolare di Ratzinger: la crisi degli abusi sessuali è l'11 settembre della Chiesa. L'autore, dopo le sue ricerche, crede che abbia influito nella rinuncia di Ratzinger anche quanto scoperto a Cuba durante il viaggio pochi mesi prima dell'addio. In questo è di certo confortato da quanto sostenuto da sempre dall'ex portavoce della sala stampa Federico Lombardi, che colloca proprio nel viaggio in America centrale del marzo 2012 il periodo in cui il Pontefice inizia a coltivare l'idea di fare un passo indietro. Martel svela la corruzione sessuale nella Chiesa dell'isola di Fidel Castro, arrivando a sostenere l'ipotesi che evidentemente non era nota nei sorprendenti dettagli al Pontefice tanto da provocarne questa reazione. Tra le 14 stazioni di questa Via Crucis il giornalista francese ne indica alcune che non mi trovano d'accordo: la fuoriuscita di documenti diffusi dal maggiordomo di Ratzinger e finiti poi in un mio saggio (il cosiddetto scandalo Vatileaks I), lo stesso viaggio a Cuba per non trascurare addirittura delle «minacce» che potrebbero aver ricevuto lo stesso Gänswein e il fratello del pontefice, Georg. In realtà, Benedetto XVI era preoccupato sì del malaffare e del disordine in Curia ma soprattutto della crisi della Chiesa che andava letta come ben più ampia essendo crisi della fede. La vicenda Vatileaks I non è stata subita da Benedetto XVI ma anzi ha offerto al Pontefice l'occasione per far indagare sui chiaroscuri del Vaticano, costituendo una commissione d'inchiesta e mettendo così di fatto in mora il suo segretario di Stato Bertone che di quella Curia avrebbe dovuto verificarne la trasparenza. Di fatto il maggiordomo Gabriele dopo un processo farsa è tornato a lavorare per strutture cattoliche con il perdono del Pontefice, chi doveva tutelare quei documenti, a iniziare dal capo della gendarmeria Domenico Giani e dallo stesso Gänswein, sono ancora al loro posto. Molti invece a esser stati allontanati sono protagonisti delle malefatte svelate nei documenti resi pubblici. Uno tra tutti quel Bertone che aveva in mano la gestione delle «umane cose» e che secondo Martel aveva instaurato in Vaticano uno «Stato di polizia» dove tutti rischiavano di essere intercettati e controllati.Sul viaggio a Cuba, infine, molteplici elementi inducono a ritenere, al contrario di quanto vuole la vulgata ufficiale, che Ratzinger già stesse meditando - e da tempo - sulla sua rinuncia. Almeno dall'inverno precedente, da quando iniziarono a circolare le voci nei sacri palazzi su imminenti e immotivati lavori di ristrutturazione del convento di suore che diverrà poi la sua dimora, dal suo atteggiamento sempre più distante dalle dinamiche interne, dai problemi gravissimi che si dovevano affrontare, come la questione di vedere lo Ior in black list rispetto ai circuiti internazionali del credito. Quando, a dicembre del 2012, riceve la relazione della commissione sulla Curia, Ratzinger è ben consapevole che ha in mano un dossier che sarà di grande aiuto per il nuovo Pontefice. Bergoglio infatti provenendo dalla «periferia del mondo» conosce poco soggetti e misfatti dei sacri palazzi. Almeno questo spera Ratzinger consegnando il rapporto segreto a Castel Gandolfo in quell'incontro riservato tra i due Papi, avvenuto nella biblioteca, durato 45 minuti. A memoria rimangono alcune storiche fotografie che ritraggono i due pontefici seduti e sul tavolino una scatola bianca in vimini contenente con ogni probabilità proprio il documento delle peggiori vicende curiali. Queste erano le premesse. Quanto poi avvenuto è sotto gli occhi di tutti, visto che ormai il pontificato di Francesco è arrivato al suo sesto anno e ha dovuto attraversare enormi difficoltà per portare avanti quel cambiamento tanto annunciato e atteso con la rinuncia di Ratzinger.
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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