2019-08-22
Dietro agli applausi la lotta con Renzi
Il Giglio magico, forte al Senato, sarà escluso dall'eventuale esecutivo. I grillini non mollano su un ministero per Luigi Di Maio, mentre i dem vogliono rispolverare Pier Luigi Bersani.La vera partita dentro il Pd è iniziata solo adesso. Dopo il giorno della disfida feroce tra renziani e zingarettiani al Senato, è arrivato il voto unanime riparatorio (non accadeva da sei anni), segnale che pare fatto apposta per sanare le ferite più laceranti e dare un mandato pieno al segretario in vista della trattativa-lampo. Se il governo giallorosso nascerà o meno si decide in 48 ore: questo perché Sergio Mattarella non intende procrastinare le consultazioni. Se ci saranno due sì dei gruppi di M5s e Pd, darà un mandato politico, altrimenti sarà voto, con elezioni anticipate in autunno. Nicola Zingaretti si è ripreso il partito negli organismi dirigenti, e ora può dire al M5s: trattate con me, e solo con me, sulla base dei cinque punti approvati dagli organismi dirigenti del partito (vedi sopra). Tuttavia questo lodo non risolverà il problema dei renziani (che vogliono far valere il loro peso al Senato) ne eliminerà le difficoltà reali. La prima, è il problema del cosiddetto «no bis». Che è in primo luogo il no del Pd a Giuseppe Conte premier ma anche un modo per tenere fuori tutti quelli che sono stati già ministri, ma anche e soprattutto quelli che lo sono stati per il Pd nei governo Renzi-Gentiloni. Dire no a Conte, dunque, significa dire no alla Boschi, a Lotti, a Renzi stesso. Ma aprire le porte a nomi clamorosi, dell'area ex Leu, come Pier Luigi Bersani (che più di tutti ha voluto questo governo) o Nicola Fratoianni (che sarebbe un dito nell'occhio a Matteo Salvini, con cui ha duellato per Mediterranea). Al Nazareno non vogliono ci sia Luigi Di Maio. Questo con la motivazione che siccome non ci può essere Zingaretti (che altrimenti dovrebbe lasciare la regione Lazio), sarebbe meglio non ci fosse nemmeno lui. Il governo però deve essere «politico» e i pontieri che sono al lavoro riferiscono al segretario del Pd che se non c'è il «capo politico», il Movimento potrebbe non tenere alla prova della fiducia. Per lui ci sarebbe, solo in questo caso, una deroga speciale, magari in un ministero diverso rispetto a quelli che ha oggi. Per questo i i capogruppo pentastellati ripetono: «Di Maio è la guida del Movimento, il Pd non può pretendere che stia fuori». Ci sono poi nomi che devono essere dentro il governo, perché ne sono stati architetti: Roberto Fico, visto bene anche come premier. Se così fosse, e Di Maio permettendo, l'ex presidente del Consiglio Conte potrebbe essere nominato eurocommissario. E i 5 stelle conserverebbero la casella delle Infrastrutture, potendo sostituire Danilo Toninelli con il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli. Patuanelli è anche l'uomo che tiene insieme il gruppo parlamentare del Senato, quello più critico, visto che alla Camera la maggioranza è blindata. Se Fico entrasse nel governo si creerebbe un altro effetto collaterale positivo ai fini dell'accordo: Dario Franceschini, senza infrangere la regola del «no bis», potrebbe presiedere la Camera, traguardo che coronerebbe una carriera. Il Colle è un posto che è stato prenotato da Romano Prodi, ma con una maggioranza giallorossa potrebbe essere scalabile da tante personalità che parlano a entrambi i mondi. Outsider sorprendenti come Milena Gabanelli, ex magistrati come Piercamillo Davigo, ma anche politici. Non va dimenticato che l'uomo grazie cui è possibile aprire la trattativa per costituire il nuovo governo è stato Beppe Grillo. Il sogno di Di Maio sarebbe poter offrire un ruolo anche a lui, per rendere più forte il peso specifico del Movimento rispetto al Pd. Mentre è evidente che tra gli zingarettini questa ipotesi suscita inquietudine. Ci sono poi dei «tecnici» che possono colorarsi politicamente di giallo o di rosso per entrare nella squadra di Palazzo Chigi: Carlo Cottarelli, che tutti vedono bene in un ministero economico, potrebbe entrare in quota Pd, pur avendo una platea più ampia. E anche Raffaele Cantone, che ha fatto il gesto tempestivo di abbandonare la maggioranza gialloblù prima della caduta, potrebbe ambire a posizioni ministeriali, ad esempio la giustizia. Il Pd potrebbe sicuramente ereditari della Lega una casella che gli cara, quella della pubblica istruzione. E anche Paola De Micheli, numero due di Zingaretti, può ambire a una posizione ministeriale. Ma se c'è festa o quaresima si decide solo oggi, nella giornata decisiva delle consultazioni.