True
2023-06-22
Pd fantasma, la destra si fa auto-opposizione
Ansa
Vista la totale inconsistenza della opposizione, la maggioranza decide di rendere più frizzantina la cronaca politica facendosi del male da sola: vanno letti in questa chiave i due mezzi inciampi in cui ieri è incappato il centrodestra. Uno si verifica in commissione Bilancio al Senato, dove la maggioranza va sotto, o per essere precisi pareggia, sul parere agli emendamenti di maggioranza sul Dl Lavoro: la votazione finisce 10 a 10 per le assenze di due parlamentari di Forza Italia, Claudio Lotito e Dario Damiani. Nessun trabocchetto ma semplice, seppure ingiustificabile, leggerezza: i due senatori sono arrivati in ritardo, nel pomeriggio il voto fila liscio ma sottolinea, come accaduto sul Def ad aprile, un problema numerico non sottovalutabile. A dare un tocco di colore arriva il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che spiega con candore: «Tutto è nato perché c’era un cocktail di compleanno, ho fatto comunque un richiamo».
L’altro scivolone riguarda il Mes. In mattinata in commissione Esteri, alla Camera, arriva il parere tecnico - una formalità sempre prevista - sulla ratifica del famigerato Meccanismo europeo di stabilità. Il testo è firmato da Stefano Varone, capo di gabinetto del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica dalla ratifica», scrive Varone, «non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del trattato istitutivo del Mes del 2012. Con riferimento a eventuali effetti indiretti, in linea generale, questi appaiono di difficile valutazione. Essi potrebbero astrattamente presentarsi qualora le modifiche apportate con l’accordo rendessero il Mes più rischioso e quindi maggiormente probabile la riduzione del capitale versato o la richiesta di pagamento delle quote non versate del capitale autorizzato. Ciò premesso non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione». «Inoltre», aggiunge il capo di gabinetto di Giorgetti, «l’impatto sulle finanze pubbliche dello Stato membro beneficiario andrebbe valutato anche in relazione alla specifica situazione pre-assistenza, in particolare relativamente al proprio costo di finanziamento sul mercato. Rispetto alle prospettive degli altri Stati membri azionisti del Mes, l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati».
Apriti cielo: le minoranze, in coro, attaccano governo e maggioranza. «Non ratificare velocemente il Mes», sottolinea la segretaria del Pd, Elly Schlein, «intacca la credibilità internazionale del paese, non so se il governo può permetterselo, di certo non può permetterselo l’Italia. Vanno messe da parte le ragioni fumose e ideologiche che non riescono a spiegare questo ritardo. Sono al governo e hanno la responsabilità di far mantenere all’Italia gli impegni che si è assunta. È un governo che su queste questioni è profondamente diviso», aggiunge la Schlein, «i fatti parlano». Giuseppe Conte, leader del M5s, parla di «un governo Meloni allo sbando: dimezzano i fondi per i risarcimenti dei gravi infortuni sul lavoro. Non appena lo denunciamo, provano frettolosamente a fare retromarcia. Il ministero di Giorgetti», sottolinea Conte, «elogia la riforma del Mes e il governo Meloni, in imbarazzo dopo le bugie raccontate in pandemia, continua a rinviare le decisioni».
Al di là delle sparate propagandistiche di Schlein e Conte, cosa dice il parere di Varone? Che, sul piano tecnico-finanziario, dal punto di vista di un Paese che co-finanzia il Mes, prestare soldi a chi ne faccia richiesta conviene perché, se il prestito rientra, ne arrivano di più. Cosa piuttosto ovvia: come dire di una banca che un fido viene remunerato dagli interessi. Dunque non si tratta di un giudizio politico, né di un giudizio sull’opportunità di ratificare la riforma in base a presunti vantaggi per l’Italia.
Peccato che, anche per il silenzio del ministro direttamente interessato, la faccenda resti sospesa e appaia un presunto contrasto politico tra Giorgetti stesso e posizione del centrodestra, peraltro più volte ribadita pubblicamente e in parlamento: vale la pena tra l’altro ricordare che il 30 novembre 2022 la Camera dei deputati ha adottato a maggioranza una mozione che impegna quest’ultimo a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Mes. Dunque non c’è parere tecnico che tenga: per cambiare eventualmente rotta ci sarebbe bisogno di un voto parlamentare di segno opposto a quello dello scorso novembre.
Detto ciò, La Verità ha avuto modo di consultare autorevolissime fonti di governo, e le valutazioni sull’accaduto sono concordi. Innanzitutto, Varone è un tecnico, per quanto voluto dal ministro leghista, così come tecnico è il parere trasmesso alla Camera, mentre le decisioni che prende il governo sono frutto di un dibattito parlamentare, che si svolgerà tra qualche settimana, e quindi di valutazioni squisitamente politiche. È tuttavia innegabile che all’interno del centrodestra ci siano sfumature diverse, con Forza Italia più disponibile a ratificare il Mes e la Lega (nella quale si segnala un certo imbarazzo per l’accaduto) e Fratelli d’Italia contrari. Del resto, è altrettanto cristallino che Giorgia Meloni abbia più volte manifestato la sua contrarietà a una ratifica senza se e senza ma della riforma del Mes: la presidente del Consiglio ha più volte ripetuto che si può ragionare del via libera italiano solo in una logica che tenga conto della riforma del Patto di stabilità e di una attenta valutazione di tutti i parametri finanziari europei. Se poi vogliamo entrare nel merito, pure i «tecnici» hanno espresso preoccupazioni: abbiamo ascoltato in passato autorità come Giampaolo Galli, Ignazio Visco (che poi precisò, ritrattando) e Wolfgang Münchau sul Financial Times ventilare il rischio che la riforma del Mes, così come è stata concepita, potrebbe comportare per l’Italia gravissimi pericoli, compresa la prospettiva di una ristrutturazione «alla greca» del debito pubblico.
La locomotiva tedesca non riparte: Pil ancora in calo e più disoccupati
Previsioni economiche riviste al ribasso. L’istituto Leibniz per la ricerca economica presso l’università di Monaco di Baviera (Ifo) nel suo ultimo documento pubblicato ieri ha sottolineato come per il 2023 il Pil della Germania diminuirà dello 0,4%, e aumenterà solo dell’1,5% l’anno prossimo. In primavera, l’istituto di Monaco sembrava più ottimista sull’economia tedesca dato che aveva stimato una contrazione del Pil per il 2023 solo dello 0,1% e una crescita, per l’anno successivo, dell’ 1,7%. Il tasso di inflazione, in linea con le previsioni fatte dalla Bce per l’eurozona, dovrebbe scendere dal 6,9% nel 2022 al 5,8% nel 2023 e al 2,1% nel 2024. «L’economia tedesca sta uscendo molto lentamente dalla recessione», ha commentato il responsabile ricerche e previsioni economiche dell’Ifo, Timo Wollmershäuser, sottolineando come a differenza dei suoi partner commerciali più importanti, la Germania è scivolata in questa situazione nel semestre invernale, durante il quale il Pil è diminuito per due trimestri consecutivi. Dati economici non brillanti che secondo l’istituto sindacale per la macroeconomia e la ricerca sul ciclo economico (Imk), si dovrebbe ulteriormente rivedere al ribasso. Secondo l’Imk il Pil dovrebbe ridursi dello 0,5% nel 2023 e non dello 0,4% e nel 2024 la crescita si dovrebbe fermare all’1,2% contro le stime dell’1,5% previste dell’Ifo. Quali che saranno i numeri esatti della crescita economica della Germania, il dato che rimane, è che il Paese considerato la locomotiva d’Europa non sta vivendo un momento particolarmente brillante. La frenata dell’economia tedesca per il 2023 risulta infatti essere guidata dal consumo privato che sta iniziando a risentire dell’elevata inflazione: «Quest’anno i consumi privati diminuiranno dell’1,7% a causa dell’elevata inflazione», ha affermato Wollmershäuser, che ha sottolineato anche come gli investimenti in costruzioni si ridurranno molto rapidamente, passando dal -1,8% dell’anno scorso al -2,2% di quest'anno e al -3,2% nel 2024. L’aumento dei prezzi nel settore sta infatti diminuendo troppo lentamente e con i tassi di interesse sui prestiti che continuano a rimanere eccessivamente elevati elevati la domanda di costruzioni, sta diminuendo. Unico spiraglio di luce il settore manifatturiero: «Grazie all’elevato portafoglio ordini, il settore manifatturiero dovrebbe continuare ad espandere moderatamente la propria produzione. Con la graduale eliminazione dei colli di bottiglia nella consegna, dovrebbe quindi espandersi molto più fortemente», precisa Wollmershäuser. Lato mondo del lavoro, la situazione non migliora. L’Ifo sottolinea come il numero dei disoccupati aumenterà da 2,42 milioni a 2,55 milioni nel 2023, per poi scendere a 2,45 milioni l’anno prossimo. Cifre che corrispondono a tassi di disoccupazione del 5,3% nel 2023 e del 5,5% nel 2024. Allo stesso tempo, il numero di persone occupate passerà da 45,57 milioni a 45,95 milioni quest'anno e a 46,07 milioni nel 2024. E infine altri due dati. I nuovi prestiti pubblici scenderanno da 106 miliardi nel 2022 a 69 miliardi nel 2023 ed a 27 miliardi l'anno prossimo. L’avanzo delle partite correnti, al contrario, aumenterà drasticamente da 145 miliardi di euro a 232 miliardi di euro nel 2023 e raggiungerà addirittura i 269 miliardi di euro nel 2024. Ciò ammonterebbe al 6,3% della produzione economica. Dato che farà uscire la Germania dalla soglia raccomandata dell’Ue pari al 6%.
Continua a leggereRiduci
La maggioranza va sotto in commissione sugli emendamenti al Dl Lavoro. Ignazio La Russa: assenti di Fi per un cocktail di compleanno. Sul Mes una nota tecnica del capo di gabinetto di Giorgetti esclude rischi. La posizione politica non cambia, ma i dem si scatenano.Nel 2023 il prodotto interno lordo scenderà dello 0,4%. L’inflazione al 7% frena i consumi. Lo speciale contiene due articoli.Vista la totale inconsistenza della opposizione, la maggioranza decide di rendere più frizzantina la cronaca politica facendosi del male da sola: vanno letti in questa chiave i due mezzi inciampi in cui ieri è incappato il centrodestra. Uno si verifica in commissione Bilancio al Senato, dove la maggioranza va sotto, o per essere precisi pareggia, sul parere agli emendamenti di maggioranza sul Dl Lavoro: la votazione finisce 10 a 10 per le assenze di due parlamentari di Forza Italia, Claudio Lotito e Dario Damiani. Nessun trabocchetto ma semplice, seppure ingiustificabile, leggerezza: i due senatori sono arrivati in ritardo, nel pomeriggio il voto fila liscio ma sottolinea, come accaduto sul Def ad aprile, un problema numerico non sottovalutabile. A dare un tocco di colore arriva il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che spiega con candore: «Tutto è nato perché c’era un cocktail di compleanno, ho fatto comunque un richiamo».L’altro scivolone riguarda il Mes. In mattinata in commissione Esteri, alla Camera, arriva il parere tecnico - una formalità sempre prevista - sulla ratifica del famigerato Meccanismo europeo di stabilità. Il testo è firmato da Stefano Varone, capo di gabinetto del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica dalla ratifica», scrive Varone, «non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del trattato istitutivo del Mes del 2012. Con riferimento a eventuali effetti indiretti, in linea generale, questi appaiono di difficile valutazione. Essi potrebbero astrattamente presentarsi qualora le modifiche apportate con l’accordo rendessero il Mes più rischioso e quindi maggiormente probabile la riduzione del capitale versato o la richiesta di pagamento delle quote non versate del capitale autorizzato. Ciò premesso non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione». «Inoltre», aggiunge il capo di gabinetto di Giorgetti, «l’impatto sulle finanze pubbliche dello Stato membro beneficiario andrebbe valutato anche in relazione alla specifica situazione pre-assistenza, in particolare relativamente al proprio costo di finanziamento sul mercato. Rispetto alle prospettive degli altri Stati membri azionisti del Mes, l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati». Apriti cielo: le minoranze, in coro, attaccano governo e maggioranza. «Non ratificare velocemente il Mes», sottolinea la segretaria del Pd, Elly Schlein, «intacca la credibilità internazionale del paese, non so se il governo può permetterselo, di certo non può permetterselo l’Italia. Vanno messe da parte le ragioni fumose e ideologiche che non riescono a spiegare questo ritardo. Sono al governo e hanno la responsabilità di far mantenere all’Italia gli impegni che si è assunta. È un governo che su queste questioni è profondamente diviso», aggiunge la Schlein, «i fatti parlano». Giuseppe Conte, leader del M5s, parla di «un governo Meloni allo sbando: dimezzano i fondi per i risarcimenti dei gravi infortuni sul lavoro. Non appena lo denunciamo, provano frettolosamente a fare retromarcia. Il ministero di Giorgetti», sottolinea Conte, «elogia la riforma del Mes e il governo Meloni, in imbarazzo dopo le bugie raccontate in pandemia, continua a rinviare le decisioni». Al di là delle sparate propagandistiche di Schlein e Conte, cosa dice il parere di Varone? Che, sul piano tecnico-finanziario, dal punto di vista di un Paese che co-finanzia il Mes, prestare soldi a chi ne faccia richiesta conviene perché, se il prestito rientra, ne arrivano di più. Cosa piuttosto ovvia: come dire di una banca che un fido viene remunerato dagli interessi. Dunque non si tratta di un giudizio politico, né di un giudizio sull’opportunità di ratificare la riforma in base a presunti vantaggi per l’Italia.Peccato che, anche per il silenzio del ministro direttamente interessato, la faccenda resti sospesa e appaia un presunto contrasto politico tra Giorgetti stesso e posizione del centrodestra, peraltro più volte ribadita pubblicamente e in parlamento: vale la pena tra l’altro ricordare che il 30 novembre 2022 la Camera dei deputati ha adottato a maggioranza una mozione che impegna quest’ultimo a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Mes. Dunque non c’è parere tecnico che tenga: per cambiare eventualmente rotta ci sarebbe bisogno di un voto parlamentare di segno opposto a quello dello scorso novembre. Detto ciò, La Verità ha avuto modo di consultare autorevolissime fonti di governo, e le valutazioni sull’accaduto sono concordi. Innanzitutto, Varone è un tecnico, per quanto voluto dal ministro leghista, così come tecnico è il parere trasmesso alla Camera, mentre le decisioni che prende il governo sono frutto di un dibattito parlamentare, che si svolgerà tra qualche settimana, e quindi di valutazioni squisitamente politiche. È tuttavia innegabile che all’interno del centrodestra ci siano sfumature diverse, con Forza Italia più disponibile a ratificare il Mes e la Lega (nella quale si segnala un certo imbarazzo per l’accaduto) e Fratelli d’Italia contrari. Del resto, è altrettanto cristallino che Giorgia Meloni abbia più volte manifestato la sua contrarietà a una ratifica senza se e senza ma della riforma del Mes: la presidente del Consiglio ha più volte ripetuto che si può ragionare del via libera italiano solo in una logica che tenga conto della riforma del Patto di stabilità e di una attenta valutazione di tutti i parametri finanziari europei. Se poi vogliamo entrare nel merito, pure i «tecnici» hanno espresso preoccupazioni: abbiamo ascoltato in passato autorità come Giampaolo Galli, Ignazio Visco (che poi precisò, ritrattando) e Wolfgang Münchau sul Financial Times ventilare il rischio che la riforma del Mes, così come è stata concepita, potrebbe comportare per l’Italia gravissimi pericoli, compresa la prospettiva di una ristrutturazione «alla greca» del debito pubblico.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/destra-fa-auto-opposizione-2661702989.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-locomotiva-tedesca-non-riparte-pil-ancora-in-calo-e-piu-disoccupati" data-post-id="2661702989" data-published-at="1687433429" data-use-pagination="False"> La locomotiva tedesca non riparte: Pil ancora in calo e più disoccupati Previsioni economiche riviste al ribasso. L’istituto Leibniz per la ricerca economica presso l’università di Monaco di Baviera (Ifo) nel suo ultimo documento pubblicato ieri ha sottolineato come per il 2023 il Pil della Germania diminuirà dello 0,4%, e aumenterà solo dell’1,5% l’anno prossimo. In primavera, l’istituto di Monaco sembrava più ottimista sull’economia tedesca dato che aveva stimato una contrazione del Pil per il 2023 solo dello 0,1% e una crescita, per l’anno successivo, dell’ 1,7%. Il tasso di inflazione, in linea con le previsioni fatte dalla Bce per l’eurozona, dovrebbe scendere dal 6,9% nel 2022 al 5,8% nel 2023 e al 2,1% nel 2024. «L’economia tedesca sta uscendo molto lentamente dalla recessione», ha commentato il responsabile ricerche e previsioni economiche dell’Ifo, Timo Wollmershäuser, sottolineando come a differenza dei suoi partner commerciali più importanti, la Germania è scivolata in questa situazione nel semestre invernale, durante il quale il Pil è diminuito per due trimestri consecutivi. Dati economici non brillanti che secondo l’istituto sindacale per la macroeconomia e la ricerca sul ciclo economico (Imk), si dovrebbe ulteriormente rivedere al ribasso. Secondo l’Imk il Pil dovrebbe ridursi dello 0,5% nel 2023 e non dello 0,4% e nel 2024 la crescita si dovrebbe fermare all’1,2% contro le stime dell’1,5% previste dell’Ifo. Quali che saranno i numeri esatti della crescita economica della Germania, il dato che rimane, è che il Paese considerato la locomotiva d’Europa non sta vivendo un momento particolarmente brillante. La frenata dell’economia tedesca per il 2023 risulta infatti essere guidata dal consumo privato che sta iniziando a risentire dell’elevata inflazione: «Quest’anno i consumi privati diminuiranno dell’1,7% a causa dell’elevata inflazione», ha affermato Wollmershäuser, che ha sottolineato anche come gli investimenti in costruzioni si ridurranno molto rapidamente, passando dal -1,8% dell’anno scorso al -2,2% di quest'anno e al -3,2% nel 2024. L’aumento dei prezzi nel settore sta infatti diminuendo troppo lentamente e con i tassi di interesse sui prestiti che continuano a rimanere eccessivamente elevati elevati la domanda di costruzioni, sta diminuendo. Unico spiraglio di luce il settore manifatturiero: «Grazie all’elevato portafoglio ordini, il settore manifatturiero dovrebbe continuare ad espandere moderatamente la propria produzione. Con la graduale eliminazione dei colli di bottiglia nella consegna, dovrebbe quindi espandersi molto più fortemente», precisa Wollmershäuser. Lato mondo del lavoro, la situazione non migliora. L’Ifo sottolinea come il numero dei disoccupati aumenterà da 2,42 milioni a 2,55 milioni nel 2023, per poi scendere a 2,45 milioni l’anno prossimo. Cifre che corrispondono a tassi di disoccupazione del 5,3% nel 2023 e del 5,5% nel 2024. Allo stesso tempo, il numero di persone occupate passerà da 45,57 milioni a 45,95 milioni quest'anno e a 46,07 milioni nel 2024. E infine altri due dati. I nuovi prestiti pubblici scenderanno da 106 miliardi nel 2022 a 69 miliardi nel 2023 ed a 27 miliardi l'anno prossimo. L’avanzo delle partite correnti, al contrario, aumenterà drasticamente da 145 miliardi di euro a 232 miliardi di euro nel 2023 e raggiungerà addirittura i 269 miliardi di euro nel 2024. Ciò ammonterebbe al 6,3% della produzione economica. Dato che farà uscire la Germania dalla soglia raccomandata dell’Ue pari al 6%.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci