2021-01-21
A destra condannano i transfughi. Ma Forza Italia rischia smottamenti
I tre leader: «Situazione insostenibile». Altri senatori tentati di lasciare Silvio Berlusconi.A leggere la nota congiunta, diffusa al termine del vertice del centrodestra di ieri, ci si fa l'idea di una coalizione compatta e pugnace. «Il Paese non può restare ostaggio di un governo incapace», dicono i tre leader dell'alleanza, che condannano «la sfacciata e scandalosa compravendita di parlamentari» e «una minoranza di governo», la quale «non si fa scrupoli a imbarcare chi, eletto con il centrodestra, ha tradito l'impegno preso con gli elettori». Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, quindi, confermano di voler presentare rimostranze a Sergio Mattarella, che incontreranno oggi pomeriggio. Ma sebbene la richiesta sia quella di sfrattare Giuseppe Conte, è significativo che nel comunicato si parli di «situazione insostenibile» e non di ritorno alle urne: scenario caldeggiato da Fdi e dalla Lega, ma che lascia più tiepida Forza Italia. Nel frattempo, il centrodestra, in Aula, ha prestato la propria collaborazione ai giallorossi, per l'approvazione del nuovo scostamento di bilancio da 32 miliardi: la coalizione, hanno spiegato i vertici dei partiti, non intendeva «privare le famiglie e le aziende italiane degli aiuti necessari». Anche Iv aveva dato l'ok; tirarsi indietro sarebbe stato, a conti fatti, masochistico. Al di fuori dell'ufficialità, però, il clima non è così disteso: complici, proprio le defezioni di martedì in Senato, con i due eletti di Forza Italia che si sono meritati l'espulsione, accordando la fiducia al governicchio di Conte. A quanto pare, la fuga dal partito del Cav non sarebbe finita: nelle ultime ore si è vociferato di altri due senatori già pronti al salto della quaglia. E qualcuno, tra i moderati, teme che la frattura possa essere più grave: secondo i catastrofisti, Fi andrebbe incontro a una vera emorragia a Palazzo Madama, con un addio di massa, anche di 40 senatori sui 50 rimasti. Uno scenario che Dagospia collega a un accordo con la maggioranza, che prevedrebbe nientepopodimeno che l'uscita di scena di Conte e un'intesa sul successore di Sergio Mattarella, per escludere i sovranisti.Certo, gli azzurri temono il voto quanto renziani e grillini. Ma è pur vero che le urne quasi certamente rimarranno serrate. Più che innescare uno smottamento, adesso converrebbe soppesare le profferte del premier, capace di assicurare una ricandidatura, o appoggiandosi alle forze politiche sue alleate, oppure, passata la tempesta, riprendendo in considerazione il progetto di un partito centrista personale. È un programma che ingolosirebbe l'Udc. Emblematica, l'altro giorno, la dichiarazione di Paola Binetti: «Oggi non sostengo il governo. Del doman non v'è certezza». Invero, le sirene di Giuseppi potrebbero sedurre anche la pattuglia di Cambiamo, la quale non è rimasta indifferente alla vagheggiata legge elettorale proporzionale. Il partito di Giovanni Toti ha bisogno di uno spazio vitale che lo sottragga alla tenaglia sovranista. Il proporzionale gli consentirebbe, se non una corsa in solitaria, di alzare un po' il tiro con gli alleati o, addirittura, di valutare le proposte di altri attori politici. Lo sa bene Dario Franceschini, il teorico per eccellenza dell'ammucchiata, che da Repubblica, ieri, invocava il soccorso di Gaetano Quagliariello e Paolo Romani. L'appello è caduto nel nulla: si resta nel centrodestra. Tuttavia, la corazza dell'alleanza cela crepe che, a seconda dell'evolversi degli eventi, potrebbero trasformarsi in voragini. A tal proposito, resta tutto da interpretare il silenzio di Berlusconi, che ha lasciato a Tajani la parte del poliziotto cattivo con i voltagabbana, mentre Fi, pure essa corteggiata da Franceschini, conserva una fascinazione per il proporzionale difficile da conciliare con le posizioni di Salvini e Meloni. E sono queste fragilità, adesso, a consegnare un'arma in più al trasformista Conte.
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