2021-01-29
Dem e Leu non mollano l’avvocato ma la loro solidarietà ora sa di resa
Dopo lo scontato appoggio di Autonomie, dei «responsabili» e del partito di Roberto Speranza, Nicola Zingaretti si limita a ribadire fiducia al premier. E lascia la scena al suo predecessore, che rivela anche la telefonata del giuristaIl primo schiaffo ieri Giuseppe Conte l'ha rimediato all'ora della colazione del mattino, quando ha appreso che la «conquista» della sera precedente, il senatore pugliese di Fi Luigi Vitali, che sembrava aver aderito al cosiddetto gruppo degli Europeisti, aveva invece cambiato opinione nel corso della notte, inseguito telefonicamente da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Tra il goffo e l'imbarazzato, è stato lo stesso Vitali a raccontare il viaggio di andata (colloquio con Conte l'altra sera) e il rapido rientro all'ovile: «Mi ha chiamato Berlusconi dicendomi che da me non se l'aspettava, e mi ha detto di non aver chiuso alle larghe intese. E Salvini mi ha detto: “Hai visto che io ho aperto su giustizia e fisco..."». A seguire il mea culpa: «È stata una valutazione errata spinta da tanti fattori, in primis lo scivolamento verso le elezioni». A parte le scuse più o meno credibili, l'episodio ha affossato la già zoppicante strategia di Conte, e cioè irrobustire il gruppo dei «responsabili» per rendere meno decisivo, o addirittura superfluo, l'apporto di Matteo Renzi. E così la giornata si è aperta con il coltello (dalla parte del manico) nelle mani del senatore di Rignano. Da quel momento fino al tardo pomeriggio, al Quirinale nessuna sorpresa. Ok a Conte dal gruppo delle Autonomie. Semaforo verde scontatissimo anche dal neonato fan club contiano «Europeisti-Maie-Centro democratico»: «Il gruppo sostiene il presidente Conte», ha recitato il capogruppo Raffaele Fantetti. A margine, scenetta sul caso Vitali: «Non lo conosco e non ho mai parlato con lui: forse il suo ripensamento è stato frutto di qualche operazione politica fatta per delegittimare il nostro gruppo», ha complottisticamente ipotizzato Ricardo Merlo. «Vitali? Va segnalato a Chi l'ha visto?», ha aggiunto Gregorio De Falco.Prevedibile no a Conte dal tandem +Europa/Azione, favorevole invece, per bocca di Emma Bonino, allo «schema Ursula». Scontata anche, sul lato opposto, la posizione pro Conte di Leu, attraverso il capogruppo Federico Fornaro.E a questo punto si è giunti al momento cruciale della giornata, e cioè all'arrivo del drappello di Italia viva. Renzi, dapprima senza citare Conte, ma chiaramente evocandolo, ha sparato a palle incatenate: «Italia viva ha espresso la preoccupazione non per la crisi politica ma per la crisi sanitaria, economica, educativa. C'è chi pensa di far credere che questa sia una discussione tra caratteri, personalità e piccoli risentimenti. Niente di più lontano dal vero». E ancora, aggravando l'accusa, Renzi ha citato lo «spettacolo indecoroso della caccia ai parlamentari, il tentativo di cooptare singoli individui in una maggioranza che tale non è», ha testualmente aggiunto. «La nostra proposta», ha proseguito il senatore toscano, «è portare il Paese a una discussione vera su Next generation Eu. Andare a elezioni sarebbe un errore. Preferiamo un governo di natura politica a un governo di natura istituzionale, ma ci dichiariamo disponibili anche a questa seconda soluzione. Rispetto al governo politico, prima di avventurarci su contenuti e nomi, c'è da capire quale sia la maggioranza. Abbiamo sentito parole dure contro Italia viva, al limite dell'insulto. Vogliamo sapere dalle altre forze se ritengono Italia viva parte o no della maggioranza» Renzi, dunque, che nei suoi 27 minuti di conferenza ha anche citato Mario Draghi, ha scelto di non lasciare a verbale un veto esplicito e plateale contro Conte, che pure ha implicitamente cannoneggiato e sbeffeggiato («Prima si sceglie dove andare, poi il mezzo con cui si va, poi con quali persone si viaggia, infine chi guida la macchina. Non abbiamo fatto il nome di Conte perché siamo in una fase precedente»). A Renzi è bastata la debolezza manifesta del premier (che lo ha chiamato e a cui Renzi ha risposto: «Nulla di personale»), e lo slabbrarsi del tentativo contiano di rendersi autosufficiente. Il capo di Italia viva è dunque parso desideroso di lasciarsi aperte tutte le porte: quella per lui preferita di far saltare l'avvocato di Volturara Appula, oppure altre soluzioni. Prima di andar via, Renzi si è proclamato a favore del Mes, ma senza farne una «conditio sine qua non». La serata si è chiusa con il Pd. Un Nicola Zingaretti laconico e cupo ai limiti del luttuoso, visto ciò che era accaduto poco prima, si è limitato a sintetizzare così: «Abbiamo indicato la disponibilità a sostenere un incarico al presidente Conte che anche nell'ultimo voto di fiducia si è rivelato punto di sintesi ed equilibrio avanzato». A seguire, formule vaghe e scontate: «Abbiamo manifestato una grande preoccupazione per l'apertura della crisi di governo che continuiamo a considerare un atto irresponsabile». Domani tocca alle altre delegazioni. Poi Sergio Mattarella inizierà a sbrogliare una matassa ingarbugliatissima. Conte spera ancora di ricevere un nuovo incarico, ma le condizioni per un mandato pieno non ci sono affatto. Il Quirinale potrebbe conferire a Roberto Fico (o eventualmente allo stesso Conte) un breve compito esplorativo. Attenzione, però: questa seconda ipotesi non piace ai renziani, che nel colloquio con Mattarella avrebbero insistito sul fatto che la missione esplorativa sia affidata non a Conte ma ad un'altra personalità «per verificare se M5s e Pd vogliono ancora una maggioranza con Italia viva», aggiungendo che «successivamente tutte le soluzioni sarebbero aperte senza preclusioni sui nomi». Se poi fosse confermata la fragilità dell'operazione Conte ter, Mattarella dovrebbe virare sul piano B (stessa maggioranza con altro premier) o sul piano C (modello Ursula). Solo in extremis sarebbe valutata l'opzione più razionale: scioglimento e urne.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)