2023-02-02
Caso Donzelli-Delmastro: Fdi fa quadrato
Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli (Ansa)
Sui due meloniani si scatena la bufera politica e la Procura di Roma apre un’inchiesta. Il vicepresidente del Copasir: «Non ho violato segreti». Stessa tesi del sottosegretario, che replica alle critiche di Giorgio Mulè (Fi): «È caduto nella trappola della sinistra».Dopo lo scandalo Genovese, l’irreperibilità della vittima crea un altro cortocircuito.Lo speciale contiene due articoli.Fratelli d’Italia è schierata compatta a difesa di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro: i due protagonisti della polemica politica di queste ore possono contare sul sostegno incondizionato dei colleghi di partito, e la stessa Giorgia Meloni non ha alcuna intenzione di scaricare i due esponenti del suo «cerchio magico». «L’intervento di Donzelli alla Camera», dice alla Verità un big di Fdi, «era chiaramente concordato, del resto Giovanni ha letto un foglio, non ha improvvisato nulla. La linea era quella: attaccare la sinistra che va a solidarizzare con un criminale. Ora l’opposizione ci marcia, ma il punto è questo». «Donzelli e Delmastro rimangono al loro posto», conferma il capogruppo di Fdi alla Camera, Tommaso Foti, al giornale radio Rai.Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia e titolare della delega al Dap, ha ammesso di aver fornito a Donzelli, con il quale condivide l’appartamento a Roma, le informazioni sui colloqui in carcere tra l’anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss della criminalità organizzata. Colloqui citati poi da Donzelli nel suo intervento dell’altro ieri, intervento ora al centro di un’inchiesta della Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo per le ipotesi di reato di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio. Un atto dovuto, quello dei pm capitolini, conseguente a un esposto presentato dal parlamentare dei Verdi Angelo Bonelli. Quello che dovrà essere appurato è solo e soltanto in che misura le circostanze citate in Aula alla Camera da Donzelli fossero coperte da segreto, poiché Delmastro si è già assunto la responsabilità di aver informato Donzelli dei colloqui tra Cospito e i boss. «È stata una richiesta orale, non a casa, in ambito parlamentare», dice Delmastro a proposito delle informazioni fornite al collega di partito, «io non sapevo che Donzelli voleva fare l’intervento. Donzelli mi ha fatto una domanda e io ho risposto. Non sapevo a cosa servisse quella richiesta. Posso garantire che a qualunque deputato, ma anche a qualunque amico, se è legittimo che io risponda, do una risposta. Quei documenti», aggiunge Delmastro, «non erano secretati e quello emergerà. Questa è una verità incontrovertibile. Tutti i giorni i deputati mi vengono a chiedere delle cose su documenti e se io so che non sono secretati rispondo. Era un’informativa che riguardava le osservazioni in carcere, non erano né intercettazioni né captazioni, tantomeno in inchieste. Se il governo sa delle cose che non sono secretate e il Parlamento le chiede il governo risponde. È una regola aurea». Sull’inchiesta dei pm di Roma Delmastro è sereno: «La Procura di Roma ha aperto un fascicolo? Certo», commenta il sottosegretario alla Giustizia, «qualcuno è andato in Procura dicendo che erano intercettazioni, captazioni ambientali. E allora per forza poi è costretta. Immagino che mi sentirà, credo e spero, e dirò che non sono intercettazioni e captazioni ambientali e si chiuderà il fascicolo». Donzelli ha affidato al Corriere della Sera la sua difesa: «Quelle che ho riferito», argomenta Donzelli, «non erano intercettazioni, ma una conversazione captata in carcere e inserita in una relazione del ministero della Giustizia del cui contenuto, in quanto parlamentare, potevo essere messo a conoscenza. Non ho violato segreti. Non mi hanno dato nessun documento riservato», aggiunge Donzelli, «volendo approfondire la vicenda Cospito, ho chiesto notizie dettagliate al sottosegretario Andrea Delmastro». Un piccolo caso interno a Fdi in realtà c’è, e vede protagonista il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che nel presiedere la seduta dell’altro ieri non ha ritenuto di intervenire quando il deputato di + Europa Riccardo Magi ha definito Donzelli «un analfabeta istituzionale»: «La presidenza non ha ritenuto l’affermazione ingiuriosa quindi non è intervenuta», ha detto Rampelli, che poche settimane fa ha subito l’ennesimo smacco da parte del «cerchio magico» meloniano. Donzelli infatti è stato nominato commissario della federazione Fdi di Roma, al posto del rampelliano Massimo Milani. Chi invece dice chiaramente di non condividere il comportamento di Donzelli è Giorgio Mulè, esponente di peso di Forza Italia, che presiedeva l’Aula proprio quando è esploso il caso: «Ora spetterà al Giurì d’onore», dice Mulè alla Stampa, «stabilire se e quanto le espressioni di Donzelli siano andate fuori dal seminato. Non è una commissione a cui si ricorre spesso, a dimostrazione di quanto sia stata grave l’iniziativa di Donzelli, che ha sporcato un importante momento di condivisione nella lotta alla mafia. Voglio pensare che non ci sia una strategia politica e che Meloni fosse totalmente all’oscuro». Sul caso delle conversazioni citate da Donzelli: «Non è che uno chiede le intercettazioni di Cospito e gliele danno», sottolinea Mulè, «questo è un punto che Donzelli deve assolutamente chiarire». «Anche Mulè», replica Delmastro, «è caduto nella trappola culturale della sinistra. Quella è una relazione del Dap, che viene fatta al governo per fare le scelte più opportune. Non è un’intercettazione o una captazione». Intanto, il M5s ha presentato una mozione di censura nei confronti del sottosegretario Andrea Delmastro per chiederne la revoca immediata dall’incarico. Lo ha annunciato Giuseppe Conte e lo stesso ha fatto il Pd, in serata, a Porta a Porta. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/delmastro-donzelli-fdi-2659345358.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="disastri-continui-dalla-cartabia-prosciolto-sequestratore-romeno" data-post-id="2659345358" data-published-at="1675286108" data-use-pagination="False"> Disastri continui dalla Cartabia: prosciolto sequestratore romeno Niente querela e parte offesa irreperibile: l’ennesimo cortocircuito della riforma Cartabia salva un ventottenne romeno dall’accusa di sequestro di persona. «Prosciolto», legge ad alta voce in aula il giudice del tribunale di Lodi. Lui, Mirian A., rischiava fino a otto anni di carcere, lei, 24 anni, ex fidanzata connazionale dell’imputato, dopo l’incubo dal quale la svegliarono i carabinieri nel 2020, per la giustizia italiana è scomparsa. Il 28 febbraio di tre anni fa i militari la trovarono rinchiusa in un appartamento di Cascina Belfuggito, località a Sant’Angelo di Lodi, un postaccio controllato da stranieri e trasformato in uno scasso d’auto rubate a cielo aperto, in cui spesso scoppiano degli incendi. La porta di uno degli appartamenti occupati era chiusa dall’esterno con una catena e un grosso lucchetto. Dentro c’era la ragazza che chiedeva aiuto. È stata lei, prima di sparire, a raccontare ai carabinieri cosa le era accaduto. Le indagini puntarono subito verso l’ex fidanzato che, identificato quando ormai la flagranza era sfumata, fu segnalato a piede libero. La Procura di Lodi, però, nel frattempo quell’accusa l’ha coltivata. E ha ottenuto anche il rinvio a giudizio del giovane. Poco meno di due anni fa il romeno si è ritrovato davanti al tribunale. E nel corso del tempo, ricostruisce il Cittadino, quotidiano di Lodi, sono sfilati in aula pure alcuni testimoni. Dal primo gennaio, però, le modifiche introdotte da Marta Cartabia sono entrate in vigore. E il difensore del romeno l’ha fatto presente al giudice, sostenendo che il sequestro di persona se non è aggravato dallo scopo di estorsione e se non è commesso nei confronti di persona incapace (per età o per infermità) non è più un reato procedibile d’ufficio. Dopo una sospensione dell’udienza, per permettere al pm di recuperare la querela, si è scoperto che la parte offesa non l’aveva mai formalizzata, non si era costituita parte civile e non aveva ricevuto nessuno degli atti giudiziari che nel corso del tempo la polizia giudiziaria ha cercato di notificarle. «È irreperibile», ha spiegato il giudice. E, così, il lavoro di carabinieri (alcuni dei quali sono anche stati convocati e sentiti durante la prima fase del processo) e magistrati si sono trasformati in carta straccia. Il «difetto di querela» pensato dal governo dei migliori di Supermario Draghi per rendere «efficace ed efficiente la giustizia penale», anche in questo caso, ha reso nulla l’attività giudiziaria. I graziati dalla Cartabia sono già tanti. Alberto Genovese, l’ex imprenditore del Web processato con rito abbreviato a Milano per aver prima stordito con un mix di droghe e poi violentato due modelle, per esempio, ha accettato una condanna definitiva a sei anni, 11 mesi e dieci giorni, chiude già in primo grado il processo e sfrutta a suo favore le nuove norme non impugnando la sentenza. In assenza di impugnazione in secondo grado, scatta automaticamente lo sconto di un sesto sulla pena inflitta e la sentenza passa in giudicato. E ora, calcolando il termine del presofferto, ovvero il tempo già passato in custodia cautelare, Genovese potrebbe anche non tornare in carcere. A Perugia, invece, martedì si è salvato dal processo un ungherese, accusato di sfruttamento della prostituzione, perché è irreperibile. Rischiava fino a 20 anni di carcere. Ma, stando agli atti, non sarebbe mai venuto a conoscenza che la giustizia procedeva nei suoi confronti. Diventato uccel di bosco, la Procura non è più riuscita a notificargli né l’avviso di garanzia, né quello della conclusione delle indagini preliminari e neppure il suo rinvio a giudizio. E ora per la riforma Cartabia non si entrerà più nel merito, perché secondo l’articolo 420 quater introdotto dalla riforma, «il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato». Graziato pure lui.