2022-04-26
«Del Grana padano si divora tutto. Perfino la crosta»
Il presidente del consorzio di tutela Renato Zaghini: «È sano, gustoso e rispetta il territorio di produzione. Noi siamo testimoni contro lo spreco».Aiuta i bambini a diventare grandi e gli anziani a non perdere le forze. Le sue origini risalgono a quasi 900 anni fa, quando le bonifiche nelle valli del Po resero disponibili nuovi terreni per gli allevamenti bovini: così i monaci vollero conservare e trasformare il latte prodotto in eccesso.Lo speciale comprende due articoli.Il Grana padano è uno dei formaggi italiani più amati e più noti nel mondo. Per spiegare nel dettaglio che cosa sia, e che grande storia abbia questo straordinario prodotto, nessuno potrebbe essere più indicato di Renato Zaghini, presidente del Consorzio tutela Grana padano. «Il Grana padano è la trasformazione di latte in formaggio a lunga stagionatura», ci racconta Zaghini, spiegando in che modo il consorzio lavori per garantire una sempre maggiore sostenibilità. «La materia prima, il latte, è un prodotto del territorio. Noi controlliamo che tutta la sua produzione, dal foraggio alle stalle, non intacchi il territorio. Sostenibile è ciò che si produce senza rovinare ciò che troviamo. Non sprecare acqua, autoproduzione di energia con impianti fotovoltaici e in cogenerazione, depuratore a ogni caseificio, organizzazione della logistica: cerchiamo di essere molto concreti».Sostenibilità, appunto, ma anche attenzione alla storia e alle tradizioni. In un mondo in cui i tessuti artificiali prendono sempre più spesso il posto di quelli naturali, per il Grana padano si continuano a usare gli schiavini, cioè, i teli che avvolgono le forme appena tagliate, in puro lino. E vengono anche recuperati. Sono stati usati per il film Ego fatum e la blogger e scienziata Lisa Casali ci ha fatto confezionare il suo abito da sposa. «Il tessuto di lino è molto nobile», conferma Zaghini. I nostri nonni detergevano la crosta come si fa con la mela e la mettevano nelle paste e legumi a rafforzare la quota proteica e del piatto e a conferirgli qualche buon grasso. Oggi gli chef ci insegnano a farci le chips al microonde. Possiamo dire che il Grana padano è un formaggio «a zero rifiuti» da sempre?«Possiamo e dobbiamo divulgarlo sempre di più. Che del Grana padano non si butti via nulla, anche nell’utilizzo degli strumenti produttivi, non è uno spot, è la verità. Una volta i nostri nonni erano costretti a non buttare, perché non ce n’era, era un po’ come la storia del maiale. In questa società nella quale si scarta facilmente, noi dobbiamo far capire che anche la crosta, opportunamente pulita, va assolutamente consumata. Fanno bene gli chef a spiegare alle nuove generazioni modalità di consumo delle croste. Noi ci teniamo, vogliamo essere testimonial del non spreco. La crosta non è uno scarto, ha un valore nutritivo importante».Molti attivisti, soprattutto vegani, sostengono che l’unica scelta etica accettabile sia la rinuncia a prodotti di origine animale, magari sostituendoli con surrogati. Ma esiste un’etica anche nella produzione di alimenti derivanti da allevamento animale…«Io rispetto tutte le sensibilità. Noi siamo i primi custodi del mondo allevatoriale, i primi a voler bene agli animali di questo patrimonio zootecnico, basta fare un giro nelle nostre stalle. Ci sono cose da migliorare, ma già abbiamo fatto grandi passi in avanti».Quali?«Spazi più ampi, dove possibile anche per il pascolo, stalle con giuste areazioni e temperature, pavimenti adeguati. Nella nostra cultura c’è già l’etica dell’allevamento. Noi ci siamo dati regole ferree, anche sull’uso dei farmaci e degli antibiotici, che non ci sono nemmeno per gli esseri umani. Il modello allevatoriale sta raggiungendo standard che non hanno nulla di cui vergognarsi, come invece qualcuno ci intima attaccandoci, molto spesso. Abbiamo bisogno delle proteine animali, è la quantità che fa la differenza. Sana alimentazione è assumere ogni alimento nelle giuste quantità. Io rispetto tutte le sensibilità, però mi piacerebbe avere altrettanto rispetto anche da parte di chi sposa, legittimamente, i surrogati. Vogliono chiamare carne quella che carne non è, uovo quello che uovo non è: chissà perché vogliono usare questi nomi. Io andrei a vedere bene come vengono prodotti e quali deturpazioni dell’ambiente comportano». Si spieghi meglio. «Se noi andiamo a studiare bene queste nuove tecnologie di prodotti, guarda caso, dietro, nemmeno così tanto indietro, ci sono potenti multinazionali con scopi non salutistici, ma puramente commerciali. Mi spiace che per ottenere spazio commerciale si vada a infangare un sistema che viene dalla notte dei tempi e che fa di tutto per dare un prodotto sano».Voi subite anche critiche di altro genere: chi non ama il Dop, sostiene che esso limiterebbe la versatilità produttiva. «È una critica non tanto velata che ci viene fatta anche da qualche collega. La Dop nasce per mettere a disposizione un prodotto legato al territorio di origine della materia prima. Lei dice benissimo: ci sono migliaia di formaggi al mondo. La Dop, che prevede un’adesione volontaria, ha un suo disciplinare e la prima cosa che dice è che il prodotto che nasce nel confine delimitato deve essere realizzato con materia prima frutto di quel territorio. Il latte del Grana padano è legato ad alimenti e foraggi di quel territorio, non può essere qualsiasi tipo di latte che proviene da qualsiasi altra parte del mondo. La Dop non può essere delocalizzata come invece avviene per altre produzioni. Ci sono controlli precisi a massima garanzia del consumatore: il marchio a fuoco, la nostra firma, dice questo. Ciò non vuol dire che chi non produce Dop sia svantaggiato, assolutamente, dal punto di vista economico è più conveniente, perché può prendere la materia prima dove gli costa meno. È la Dop che dà “difficoltà” in più, proprio per garantire il consumatore. Se uno decide di fare Grana padano, lo fa come è scritta la regola, se fa altro non può chiamarlo Grana padano, lo chiamerà in altro modo». Il dibattito tra entusiasti del Dop che garantisce innanzitutto italianità e chilometri zero e coloro che verso questi istituti di tutela sono critici probabilmente non finirà mai. Però in questo periodo di difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime internazionali la produzione locale si rivela una scelta oggettivamente vincente…«Certo. Già in questi due anni e mezzo passati molto travagliati e con tanta sofferenza, il chilometro zero ha avuto un incremento di consumo importante. Perché le persone nei momenti di difficoltà, quando in un attimo si perdono le certezze, si affidano al prodotto che dà una grande garanzia, come il Dop. Le polemiche sono il sale della vita, dicono: sì e no. D’altronde, se non ci fossero non avremmo occasione di spiegare. Quindi bene, anche il lavoro di divulgazione che sta facendo lei».Che cosa pensa del Nutriscore?«L’etichetta a semaforo è l’ennesima invenzione dei Paesi del Nord Europa soprattutto, è una barriera commerciale, smontata in più consessi. Mi auguro che venga cassata. Venti grammi di Grana padano inseriti in un piatto hanno semaforo verde, se ne compra un chilo ha semaforo arancione. Non è un modo di informare. Io sono per il Nutrinform, etichetta semplice e che informa il consumatore del contenuto del prodotto e delle quantità ottimali da consumare. Quella è la vera informazione». Semaforo rosso e verde sono giudizi, forse pregiudizi e possono confondere il consumatore…«Si gioca sul fatto che quando si fa la spesa si va sempre di fretta. Un semaforo disegnato è più impattante che stare a leggere la parte informativa di un’etichetta. Ma così non si fa il bene del consumatore. La falsità non è mai bella».Alla cena della Settimana del gusto del ristorante Piazza Repubblica, l’Organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggio (Onaf) ha guidato nella degustazione delle diverse stagionature del Grana padano. Ascovilo (che si occupa di tutelare i vini lombardi) nell’abbinamento con i vini. Lo chef Matteo Scibilia ha ideato nuovi piatti eccellenti. Cito questi esempi per chiederle: quanto bisogno c’è di fare cultura e divulgazione alimentari serie, di illustrare a chi mangia le caratteristiche peculiari di ogni prodotto?«C’è tanto bisogno di dare dimostrazioni pratiche, spiegare cosa vuol dire una determinata stagionatura di Grana padano e cosa vuol dire un determinato vino. Tanti ancora non sanno che Grana padano è privo in modo naturale di lattosio. È importantissimo fare lavoro di divulgazione, anche con altre realtà, come abbiamo fatto e faremo con quella di Ascovilo che riguarda i vini lombardi. Di recente ci siamo accordati con Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) perché i menu di ristoranti, pizzerie e tavole calde riportino con precisione quale tipologia di formaggio c’è nel piatto, sempre nell’ottica di informare il consumatore in un mondo nel quale c’è tantissima confusione».Quali sono secondo lei i principali motivi per consumare Grana padano?«La garanzia di avere un prodotto conservabile che mantiene tutte le caratteristiche del latte ma non il lattosio e che con i suoi aminoacidi essenziali va bene dai piccini, come i miei nipotini (io sono già nonno) fino agli anziani, passando per gli sportivi. Poi, il rapporto qualità prezzo. Mi permetta, ci tengo. Noi lavoriamo molto con il mondo pediatrico e con quello della scuola per insegnare ai bambini a mangiare prodotti di qualità. Da quasi 20 anni studiamo la nutrizione ottimale dei bambini. Dobbiamo educare i bambini a mangiare bene. Oggi c’è l’allarme bambini obesi: è perché sono nutriti male e non fanno adeguata attività fisica».Il Grana padano è un prodotto di eccellenza della nostra cultura alimentare. Possiamo dire che non sia da meno rispetto al Parmigiano reggiano? Insomma, non un fratello minore, ma un gemello diverso, una pari eccellenza?«In nessuna parte del mondo ci sono due Dop così importanti e così buone. L’unica grande differenza è che uno nasce sopra il Po e l’altro sotto. Sono gemelli non nel senso che sono uguali, sono gemelli di eccellenza dell’Italia. Chi li ha inventati mille anni fa, ce li ha donati: non dobbiamo neanche permetterci di metterli in discussione, né l’uno, né l’altro. Sia Grana padano sia Parmigiano reggiano, inoltre, hanno una componente di solidarietà».Ovvero?«Come Grana padano abbiamo deciso di dare una piccola mano alle popolazioni coinvolte in questa ultima guerra. Lo avevamo fatto in occasione del terremoto del 2012, ancora prima per il terremoto di Haiti e quello del centro Italia. Appartenere a una Dop vuol dire anche spirito di condivisione nelle difficoltà, sia interne, come quando ci sono venuti giù i magazzini con il terremoto in Emilia Romagna e parte della Lombardia del 2012, sia quando ci sono questi orrori internazionali. Noi lavoriamo con Croce rossa, Caritas, Banco alimentare e altri. Non siamo una macchina da soldi, come ci siamo sentiti dire, inquinatori e tutte queste palle, ma siamo in grado di dare una mano a chi ha veramente bisogno, come in questa guerra che viviamo in diretta. Dop vuol dire anche essere attenti a determinate difficoltà e non solo a far soldi. Dop vuol dire non delocalizzare e se tutti avessimo fatto così, oggi non avremmo alcune difficoltà, sia energetiche, sia di ogni genere, non saremmo in condizione di non poter riparare un trattore perché non abbiamo il microchip che fanno da un’altra parte».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/del-grana-padano-si-divora-tutto-perfino-la-crosta-2657215011.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="aiuta-i-bambini-a-diventare-grandi-e-gli-anziani-a-non-perdere-le-forze" data-post-id="2657215011" data-published-at="1650972857" data-use-pagination="False"> Aiuta i bambini a diventare grandi e gli anziani a non perdere le forze Il Grana padano è parte integrante del dna italiano non meno di pizza, panettone e cassata siciliana. Secondo molti questo formaggio nasce nel 1135 nell’attuale abbazia di Chiaravalle, sotto Milano, anche se secondo altri a quell’epoca esisteva anche un’altra abbazia di Chiaravalle, tra Piacenza e Fidenza, e sarebbe nato in quella. L’area è comunque quella padana: l’abbondanza di latte successiva agli allevamenti permessi dalla bonifica di ampie aree del territorio planiziale portò i monaci a conservare quel ben di Dio in esubero e così nacque il formaggio detto casus vetus, cacio invecchiato, per differenziarlo da quello fresco, produzione già abituale, realizzato in caldaie di quei caseifici ante litteram e che poi sarebbero diventate strumento degli odierni caseifici professionali. Il nome popolare diventa presto grana, per la presenza, nella pasta compatta, di granellini bianchi, piccoli cristalli di calcio residui della trasformazione del latte. Al nome si giustapponeva la localizzazione territoriale: lodesano o lodigiano, milanese, parmigiano, piacentino e mantovano. Il grana era amato sia dai nobili (come testimonia una lettera scritta da Isabella d’Este, moglie del marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, che nel 1504 inviò il formaggio come regalo alla famiglia di origine), sia dal popolo. Nel 1951 a Stresa si firma la convenzione che regolamenta la designazione d’origine e le denominazione dei formaggi in base all’area produttiva e ai disciplinari di produzione: il formaggio «di Grana lodigiano» diventerà il Grana padano. Il genus grana sarà assorbito nella speciem Grana padano e si estinguerà come denominazione autonoma: lo conferma anche la sentenza del 12 settembre 2007 della Corte di giustizia Ue: la parola grana è parte integrante della denominazione Grana padano tutelata dal riconoscimento Dop e si può usare soltanto in abbinamento a padano nell’ambito della Dop. Questa nasce nell’aprile 1954, quando l’Italia recepisce la convenzione di Stresa con la legge che istituisce la tutela delle denominazioni di origine e tipiche tramite la costituzione di consorzi volontari. Il 18 giugno dello stesso anno Federlatte e Assolatte costituiscono il Consorzio per la tutela del formaggio Grana padano con aziende suddivise in produttori, stagionatori ed esportatori. Il 30 ottobre 1955 un Dpr riconosce la denominazione di origine Grana padano e i suoi requisiti, stabilisce che il solo grana prodotto all’interno della provincia di Trento possa fregiarsi di un altro nome, ossia Trentingrana. Nel 1957 il Consorzio ottiene ufficialmente il riconoscimento del proprio ruolo riguardo alla vigilanza sulla produzione e commercializzazione del Grana padano e nel giugno 1996 il regolamento Ce 1107 riconosce il Grana padano come formaggio Dop. In 100 grammi di Grana padano ci sono 398 calorie e 33 grammi di proteine ad alto valore biologico, cioè in grado di soddisfare il bisogno di aminoacidi essenziali che l’organismo non può sintetizzare da solo, ma deve assumere tramite l’alimentazione. Essi sono 9 e il 20% sono ramificati, cioè vengono captati dai muscoli, che li usano per produrre energia immediata, senza passare per il fegato. Tra questi la leucina, che favorisce il mantenimento della massa magra durante la perdita di peso e l’aumento della sazietà, facendo del Grana padano un alleato di chi deve perdere peso, degli sportivi o degli anziani nel fisiologico calo ponderale dovuto all’età. Gli adulti hanno bisogno di 8 aminoacidi, i bambini, per la crescita corretta, di 9. Il Grana padano può essere usato anche nel passaggio dell’alimentazione del bambino dal latte materno ai pasti solidi, trattandosi di un concentrato dei nutrienti del latte: un cucchiaino, 5 grammi, da aggiungere ai passati di verdure fornisce 1,65 grammi di proteine e 58 milligrammi di calcio. Il calcio è un grande aiuto anche per gli anziani e utili sono anche gli antiossidanti (lo sportivo produce molti radicali liberi) come la vitamina A, lo zinco e il selenio, oltre alle vitamine del gruppo B importanti per il metabolismo che trasforma in energia grassi e carboidrati, in particolare la B12, fondamentale per i globuli rossi e il sistema nervoso. Il Grana padano non contiene lattosio, dopo la prima stagionatura di 9 mesi ne diventa completamente privo e può essere mangiato dagli intolleranti al lattosio e tollerato bene dagli affetti da galattosemia presentando un quantitativo di galattosio (componente, con il glucosio, del lattosio) inferiore a 10 milligrammi ogni 100 grammi. Provate a fare le chips di crosta dopo averla lavata come fareste con una mela e tagliandola in cubetti che passerete in microonde 40-50 secondi.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)