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2021-07-08
Gli «esperti» del decalogo gender imbevuti di propaganda arcobaleno
Ansa
Se prima era una congettura, ora è una certezza: i consulenti del Saifip autori delle linee guida gender delle scuole del Lazio - prima inviate a tutti gli istituti regionali, poi subito stoppate -, militano convintamente in campo arcobaleno. Se n'è avuta conferma ieri mattina nella seduta della commissione parlamentare per l'Infanzia presieduta dal leghista Simone Pillon, convocata per far luce su quelle linee guida che avevano suscitato clamore sia per l'impostazione - favorevole al «cambio di sesso» dei minori con disforia di genere -, sia per le prese di distanza da parte della Regione e dell'Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, di cui pure, sul documento, figuravano i loghi.
Insieme a Filippo Maria Boscia, presidente dell'Associazione medici cattolici italiani, e a Francesco Borgonovo, vicedirettore di questo giornale, sono infatti stati ascoltati Luca Chianura, responsabile di psicologia clinica presso il Saifip (acronimo di Servizio di adeguamento tra identità fisica ed identità psichica) e Maddalena Mosconi, psicologa-psicoterapeuta, responsabile dell'area minori sempre del Saifip, ed entrambi hanno rivendicato le loro posizioni.
Ma andiamo con ordine. La seduta è iniziata con Chianura che, presentando il suo lavoro, ha tenuto a mostrarne l'esperienza consolidata maturata anche collaborando con le famiglie («25 anni di attività»), mentre Mosconi, mettendo le mani avanti, ha ammesso che son sì in aumento i casi di «cambio di sesso» tra i giovani, ma ciò accade perché «è un tema di cui si parla di più, e oggi questi ragazzi non hanno più paura di esporsi, adesso si sentono più protetti».
La piega delle audizioni è però cambiata quando, incalzati dalle domande di Pillon e di altri parlamentari, oltre che dai rilievi di Borgonovo, a Chianura e Mosconi son stati sottoposti dei punti critici. In primis la loro posizione politica, che è a dir poco schierata, come provano i rispettivi profili Facebook: su quello di Chianura si trovano svariati post di appoggio a Marilena Grassadonia di Sinistra italiana - che alla manifestazione milanese dei Sentinelli, a maggio, ha spiegato che «il ddl Zan è solo l'inizio» per approdare all'utero in affitto e a chissà quali altre mete -, mentre su quello di Moscon, nell'ottobre 2019, si vede addirittura un post con la foto di Matteo Salvini e Giorgia Meloni accompagnata da un commento lapidario e non proprio soft: «Mi fate schifo». Inutile dire che i profili social di entrambi pullulano di arcobaleni, inni al ddl Zan e asteristichi, il marchio del lessico Lgbt per lasciare «neutre» le parole.
«Mi trovo un po' a disagio, non capisco qual è il senso di questa audizione», è stata la replica di Chianura, che ha rivendicato una netta distinzione fra i suoi convincimenti politici e le sue posizioni scientifiche. Sta di fatto che neppure quando, in commissione, la discussione è virata su contenuti più dettagliati e legati all'attività dello stesso Saifip i chiarimenti sono arrivati. Per esempio, resta vago il rapporto, avviato dal 2005, tra il Saifip e il Tavistock, l'ospedale britannico che, col suo Gids (acronimo di Gender identity development service), ha seguito innumerevoli «cambi di sesso» di minori, prima di finire al centro di un caso mediatico e giudiziario esploso con le denunce di ex medici e soprattutto ex pazienti, che hanno dichiarato d'essere stati prematuramente avviati all'iter di riassegnazione sessuale.
Sì, perché Chianura da una parte ha preso le distanze dalla struttura britannica («noi abbiamo un protocollo diverso»), ma dall'altra al Tavistock ha riservato parole d'encomio: «È ancora oggi il punto di riferimento per tutti i servizi dell'età evolutiva del mondo». Ma se è «un punto di riferimento» nonostante gli scandali, perché rivendicare «un protocollo diverso»? Non si è capito. Allo stesso modo, a nulla son valsi i tentativi di avere notizie precise dagli esperti del Saifip circa la loro collaborazione con lo psichiatra Domenico Di Ceglie, che del Gids è stato direttore e che risulta vicino al gruppo autore delle linee guida laziali.
«Di Ceglie è uno dei massimi esperti della sua disciplina», si è limitata a evidenziare Mosconi, che ha cercato di gettare acqua sul fuoco. Per esempio, sulla vicenda di Keira Bell, la giovane che vive col rimpianto d'aver scelto di passare al genere maschile da adolescente e che per questo ha trascinato in tribunale i suoi medici, l'esponente del Saifip ha ribattuto: «È solo un caso». Che sia stato un caso che ha portato l'Alta corte britannica a una sentenza storica, che stabilisce che gli under 16 ora non possano più dare un pieno consenso informato per i bloccanti della pubertà e che i medici debbano avere l'approvazione di un giudice prima d'intervenire, per la Mosconi è evidentemente poca cosa.
A scanso d'equivoci, le loro posizioni tutt'altro che super partes i due auditi del Saipif le hanno messe nero su bianco pure nel testo inviato alla commissione parlamentare, dove si legge che l'identità di genere non sarebbe binaria ma «può essere immaginata come uno spettro». «Una posizione non condivisa dalla comunità scientifica», ha puntualizzato Pillon. «Nel 2017 National Geographic è uscito con una copertina storica dal titolo “Gender revolution"», ha subito replicato la Mosconi. Peccato che National Geographic non sia una rivista scientifica, ma non importa. Ciò che conta è che questi sono gli esperti che, se passa il ddl Zan, entreranno nelle scuole «di ogni ordine e grado». I senatori diano prova di saggezza: ci pensino bene.
Tra Iv e Pd finisce a insulti (omofobi)
Nel day after del duro confronto in aula al Senato sul ddl Zan, è apparso evidente che la tossine del muro contro muro non mancheranno di far sentire i propri effetti sulla coesione della maggioranza. A dirla tutta, la guerra di trincea innescata dal rifiuto totale di ogni mediazione opposto dal blocco Pd-Leu-M5s e le conseguenti accuse di «intelligenza col nemico» rivolte dai giallorossi a Matteo Renzi, stanno avvelenando il dibattito anche in seno al centrosinistra, col duplice effetto di minare le fondamenta del sostegno a Mario Draghi e di dare la stura a una resa dei conti interna al Pd, dove l'ala riformista comincia a venire allo scoperto sulle perplessità rispetto al testo Zan.
A rendere l'idea di ciò che potrà essere il clima che accompagnerà l'approdo del ddl Zan in aula a partire dal 13 luglio, come voluto a tutti i costi dal centrosinistra col voto di ieri l'altro a Palazzo Madama, c'è l'episodio che ha coinvolto l'esponente di Iv e sottosegretario Ivan Scalfarotto, titolare di un ddl anti-omotransfobia che il partito di Renzi vorrebbe sostituire a quello a prima firma Zan poiché privo di ogni riferimento all'identità di genere. Dopo le dichiarazioni sue e di Renzi, per una mediazione col centrodestra che eviti, in mancanza di un accordo in maggioranza, l'affossamento della legge, Scalfarotto è stato duramente criticato dagli esponenti dem e pentastellati, ma nessuno si era spinto fino al punto in cui è arrivata Rosamaria Sorge, iscritta, dirigente Pd di Civitavecchia ed ex candidata nella cittadina portuale in provincia di Roma, che su Facebook in un commento ha dato sfogo alle proprie pulsioni omofobe: «Con Scalfarotto voglio essere politicamente scorretta: “a frocione di m..."» per poi chiedere scusa, una volta resasi conto della bufera politica sollevata. Le personalità più in vista di Iv, a partire dall'ex ministro Teresa Bellanova e da Luciano Nobili, hanno subito denunciato la cosa, per poi essere seguiti negli attestati di solidarietà anche da esponenti del Pd come il deputato Emanuele Fiano.
Un segno di un imbarbarimento dei toni che, nella mattinata di ieri, ha indotto anche il leader leghista Matteo Salvini a esprimere la propria preoccupazione per la tenuta del governo: «Se Letta tira dritto vuole affossare le legge», ha detto Salvini, «e se ne prenderà la responsabilità, chi insiste senza voler ascoltare nessuno sul ddl Zan mette a rischio il governo». Per ora, il segretario del Pd tira dritta, alimentando il botta e risposta col segretario del Carroccio, affermando che «noi stiamo con l'Ue. Salvini e Meloni con Orbán. Come si può dar credito alle loro presunte proposte di mediazione sul ddl Zan?».
Ma al di là dei duelli dialettici, stanno giungendo le conferme che il Nazareno sul tema è tutt'altro che monolitico e che il voto segreto che certamente accompagnerà il ddl Zan in aula al Senato potrebbe ritorcersi contro Letta e i suoi. Il senatore del Pd Mino Taricco, infatti, è uscito allo scoperto dicendosi «convinto che l'attuale testo presenti delle criticità e la necessità di alcune correzioni nei punti più sensibili di cui molto si è parlato in queste settimane ed anche in questi ultimi giorni» e i bene informati sostengono che a condividere le perplessità di Taricco, all'ombra del Nazareno, siano in molti.
Così come è cosa nota che, anche all'interno del fronte dei diritti civili le visioni sul ddl Zan sono diverse: la Rete femminista contro il ddl Zan ha ribadito anche ieri, attraverso un comunicato, la propria netta avversione al testo, in particolare agli articoli che trattano di identità di genere, schierandosi per il testo Scalfatotto. Per le associazioni femministe, infatti, «l'introduzione dell'identità di genere, è un modello di civiltà in cui la sessuazione umana viene ridotta all'insignificanza, questione che riguarda tutte e tutti» e apre la strada alla «propaganda transattivista nelle scuole».
Una forte presa di posizione contro l'identità di genere è arrivata anche dalla garante per l'infanzia della Regione Umbria, Maria Rita Castellani, secondo la quale se passasse tale principio «si potrà scegliere l'orientamento sessuale verso cose, animali, e/o persone di ogni genere e, perché no, anche di ogni età, fino al punto che la poligamia come l'incesto non saranno più un tabù». Parole che hanno sollevato una coda di polemiche, una richiesta di rimozione da parte di alcune associazioni Lgbt e l'inevitabile scambio di accuse tra i diversi schieramenti politici, ideale antipasto di ciò che accadrà dalla prossima settimana.
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Interrogati in Parlamento gli autori dell'inquietante guida circolata tra le scuole laziali: incapaci di «capire il senso dell'audizione», rivendicano come «riferimento» la clinica di Londra che trasformava i bimbi in trans.I dubbi dei renziani sul ddl Zan ora dilaniano i dem. E i pasdaran se la prendono pure con Ivan Scalfarotto: «Frocione di m...». Matteo Salvini: «Così Letta mette a rischio il governo».Lo speciale contiene due articoli.Se prima era una congettura, ora è una certezza: i consulenti del Saifip autori delle linee guida gender delle scuole del Lazio - prima inviate a tutti gli istituti regionali, poi subito stoppate -, militano convintamente in campo arcobaleno. Se n'è avuta conferma ieri mattina nella seduta della commissione parlamentare per l'Infanzia presieduta dal leghista Simone Pillon, convocata per far luce su quelle linee guida che avevano suscitato clamore sia per l'impostazione - favorevole al «cambio di sesso» dei minori con disforia di genere -, sia per le prese di distanza da parte della Regione e dell'Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, di cui pure, sul documento, figuravano i loghi.Insieme a Filippo Maria Boscia, presidente dell'Associazione medici cattolici italiani, e a Francesco Borgonovo, vicedirettore di questo giornale, sono infatti stati ascoltati Luca Chianura, responsabile di psicologia clinica presso il Saifip (acronimo di Servizio di adeguamento tra identità fisica ed identità psichica) e Maddalena Mosconi, psicologa-psicoterapeuta, responsabile dell'area minori sempre del Saifip, ed entrambi hanno rivendicato le loro posizioni. Ma andiamo con ordine. La seduta è iniziata con Chianura che, presentando il suo lavoro, ha tenuto a mostrarne l'esperienza consolidata maturata anche collaborando con le famiglie («25 anni di attività»), mentre Mosconi, mettendo le mani avanti, ha ammesso che son sì in aumento i casi di «cambio di sesso» tra i giovani, ma ciò accade perché «è un tema di cui si parla di più, e oggi questi ragazzi non hanno più paura di esporsi, adesso si sentono più protetti».La piega delle audizioni è però cambiata quando, incalzati dalle domande di Pillon e di altri parlamentari, oltre che dai rilievi di Borgonovo, a Chianura e Mosconi son stati sottoposti dei punti critici. In primis la loro posizione politica, che è a dir poco schierata, come provano i rispettivi profili Facebook: su quello di Chianura si trovano svariati post di appoggio a Marilena Grassadonia di Sinistra italiana - che alla manifestazione milanese dei Sentinelli, a maggio, ha spiegato che «il ddl Zan è solo l'inizio» per approdare all'utero in affitto e a chissà quali altre mete -, mentre su quello di Moscon, nell'ottobre 2019, si vede addirittura un post con la foto di Matteo Salvini e Giorgia Meloni accompagnata da un commento lapidario e non proprio soft: «Mi fate schifo». Inutile dire che i profili social di entrambi pullulano di arcobaleni, inni al ddl Zan e asteristichi, il marchio del lessico Lgbt per lasciare «neutre» le parole.«Mi trovo un po' a disagio, non capisco qual è il senso di questa audizione», è stata la replica di Chianura, che ha rivendicato una netta distinzione fra i suoi convincimenti politici e le sue posizioni scientifiche. Sta di fatto che neppure quando, in commissione, la discussione è virata su contenuti più dettagliati e legati all'attività dello stesso Saifip i chiarimenti sono arrivati. Per esempio, resta vago il rapporto, avviato dal 2005, tra il Saifip e il Tavistock, l'ospedale britannico che, col suo Gids (acronimo di Gender identity development service), ha seguito innumerevoli «cambi di sesso» di minori, prima di finire al centro di un caso mediatico e giudiziario esploso con le denunce di ex medici e soprattutto ex pazienti, che hanno dichiarato d'essere stati prematuramente avviati all'iter di riassegnazione sessuale.Sì, perché Chianura da una parte ha preso le distanze dalla struttura britannica («noi abbiamo un protocollo diverso»), ma dall'altra al Tavistock ha riservato parole d'encomio: «È ancora oggi il punto di riferimento per tutti i servizi dell'età evolutiva del mondo». Ma se è «un punto di riferimento» nonostante gli scandali, perché rivendicare «un protocollo diverso»? Non si è capito. Allo stesso modo, a nulla son valsi i tentativi di avere notizie precise dagli esperti del Saifip circa la loro collaborazione con lo psichiatra Domenico Di Ceglie, che del Gids è stato direttore e che risulta vicino al gruppo autore delle linee guida laziali.«Di Ceglie è uno dei massimi esperti della sua disciplina», si è limitata a evidenziare Mosconi, che ha cercato di gettare acqua sul fuoco. Per esempio, sulla vicenda di Keira Bell, la giovane che vive col rimpianto d'aver scelto di passare al genere maschile da adolescente e che per questo ha trascinato in tribunale i suoi medici, l'esponente del Saifip ha ribattuto: «È solo un caso». Che sia stato un caso che ha portato l'Alta corte britannica a una sentenza storica, che stabilisce che gli under 16 ora non possano più dare un pieno consenso informato per i bloccanti della pubertà e che i medici debbano avere l'approvazione di un giudice prima d'intervenire, per la Mosconi è evidentemente poca cosa.A scanso d'equivoci, le loro posizioni tutt'altro che super partes i due auditi del Saipif le hanno messe nero su bianco pure nel testo inviato alla commissione parlamentare, dove si legge che l'identità di genere non sarebbe binaria ma «può essere immaginata come uno spettro». «Una posizione non condivisa dalla comunità scientifica», ha puntualizzato Pillon. «Nel 2017 National Geographic è uscito con una copertina storica dal titolo “Gender revolution"», ha subito replicato la Mosconi. Peccato che National Geographic non sia una rivista scientifica, ma non importa. Ciò che conta è che questi sono gli esperti che, se passa il ddl Zan, entreranno nelle scuole «di ogni ordine e grado». I senatori diano prova di saggezza: ci pensino bene.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/decalogo-gender-imbevuti-propaganda-arcobaleno-2653704918.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tra-iv-e-pd-finisce-a-insulti-omofobi" data-post-id="2653704918" data-published-at="1625729926" data-use-pagination="False"> Tra Iv e Pd finisce a insulti (omofobi) Nel day after del duro confronto in aula al Senato sul ddl Zan, è apparso evidente che la tossine del muro contro muro non mancheranno di far sentire i propri effetti sulla coesione della maggioranza. A dirla tutta, la guerra di trincea innescata dal rifiuto totale di ogni mediazione opposto dal blocco Pd-Leu-M5s e le conseguenti accuse di «intelligenza col nemico» rivolte dai giallorossi a Matteo Renzi, stanno avvelenando il dibattito anche in seno al centrosinistra, col duplice effetto di minare le fondamenta del sostegno a Mario Draghi e di dare la stura a una resa dei conti interna al Pd, dove l'ala riformista comincia a venire allo scoperto sulle perplessità rispetto al testo Zan. A rendere l'idea di ciò che potrà essere il clima che accompagnerà l'approdo del ddl Zan in aula a partire dal 13 luglio, come voluto a tutti i costi dal centrosinistra col voto di ieri l'altro a Palazzo Madama, c'è l'episodio che ha coinvolto l'esponente di Iv e sottosegretario Ivan Scalfarotto, titolare di un ddl anti-omotransfobia che il partito di Renzi vorrebbe sostituire a quello a prima firma Zan poiché privo di ogni riferimento all'identità di genere. Dopo le dichiarazioni sue e di Renzi, per una mediazione col centrodestra che eviti, in mancanza di un accordo in maggioranza, l'affossamento della legge, Scalfarotto è stato duramente criticato dagli esponenti dem e pentastellati, ma nessuno si era spinto fino al punto in cui è arrivata Rosamaria Sorge, iscritta, dirigente Pd di Civitavecchia ed ex candidata nella cittadina portuale in provincia di Roma, che su Facebook in un commento ha dato sfogo alle proprie pulsioni omofobe: «Con Scalfarotto voglio essere politicamente scorretta: “a frocione di m..."» per poi chiedere scusa, una volta resasi conto della bufera politica sollevata. Le personalità più in vista di Iv, a partire dall'ex ministro Teresa Bellanova e da Luciano Nobili, hanno subito denunciato la cosa, per poi essere seguiti negli attestati di solidarietà anche da esponenti del Pd come il deputato Emanuele Fiano. Un segno di un imbarbarimento dei toni che, nella mattinata di ieri, ha indotto anche il leader leghista Matteo Salvini a esprimere la propria preoccupazione per la tenuta del governo: «Se Letta tira dritto vuole affossare le legge», ha detto Salvini, «e se ne prenderà la responsabilità, chi insiste senza voler ascoltare nessuno sul ddl Zan mette a rischio il governo». Per ora, il segretario del Pd tira dritta, alimentando il botta e risposta col segretario del Carroccio, affermando che «noi stiamo con l'Ue. Salvini e Meloni con Orbán. Come si può dar credito alle loro presunte proposte di mediazione sul ddl Zan?». Ma al di là dei duelli dialettici, stanno giungendo le conferme che il Nazareno sul tema è tutt'altro che monolitico e che il voto segreto che certamente accompagnerà il ddl Zan in aula al Senato potrebbe ritorcersi contro Letta e i suoi. Il senatore del Pd Mino Taricco, infatti, è uscito allo scoperto dicendosi «convinto che l'attuale testo presenti delle criticità e la necessità di alcune correzioni nei punti più sensibili di cui molto si è parlato in queste settimane ed anche in questi ultimi giorni» e i bene informati sostengono che a condividere le perplessità di Taricco, all'ombra del Nazareno, siano in molti. Così come è cosa nota che, anche all'interno del fronte dei diritti civili le visioni sul ddl Zan sono diverse: la Rete femminista contro il ddl Zan ha ribadito anche ieri, attraverso un comunicato, la propria netta avversione al testo, in particolare agli articoli che trattano di identità di genere, schierandosi per il testo Scalfatotto. Per le associazioni femministe, infatti, «l'introduzione dell'identità di genere, è un modello di civiltà in cui la sessuazione umana viene ridotta all'insignificanza, questione che riguarda tutte e tutti» e apre la strada alla «propaganda transattivista nelle scuole». Una forte presa di posizione contro l'identità di genere è arrivata anche dalla garante per l'infanzia della Regione Umbria, Maria Rita Castellani, secondo la quale se passasse tale principio «si potrà scegliere l'orientamento sessuale verso cose, animali, e/o persone di ogni genere e, perché no, anche di ogni età, fino al punto che la poligamia come l'incesto non saranno più un tabù». Parole che hanno sollevato una coda di polemiche, una richiesta di rimozione da parte di alcune associazioni Lgbt e l'inevitabile scambio di accuse tra i diversi schieramenti politici, ideale antipasto di ciò che accadrà dalla prossima settimana.
Elsa Fornero (Ansa)
Bisogna avvertire i giovani italiani: guardatevi dalle previsioni di questa signora. È Elsa Fornero, che ha una specie di ossessione per Matteo Salvini - le rimprovera una riforma delle pensioni tanto austera quanto inefficace - ma assi considerata da Mario Monti. Fu ministro del Lavoro in quel governo che tra 2011 e 2013 ha segnato tutti i record negativi degli ultimi trenta anni. È rimasta nell’immaginario di molti perché, mentre di fatto aboliva le pensioni, si è commossa. Sottofondo musicale: il coccodrillo come fa, pensando alle lacrime. La pensionata Elsa Fornero, già docente d’economia in quel di Torino, benissimo introdotta nei salotti pingui della «rive gauche» del Po, è il grillo parlante de La 7. Tutti i talk della Cairo production - portafoglio a destra e audience a sinistra - la venerano come l’oracolo di Delfi.
Ma anche alla Stampa non scherzano. Ieri le hanno offerto una pagina intera per dire: «Serve un piano che salvi il nostro Paese dal declino, la situazione è drammatica: c’è un grande paradosso perché, se i giovani sono meno, dovremmo investire su di loro perché si occuperanno degli anziani». E come si fa a investire su questi giovani che lei, con la sua riforma che ha alzato l’età pensionabile, ha lasciato per strada? Nell’unico modo che Elsa Fornero conosce: tartassare gli italiani. Nel foglio torinese dismesso da John Elkann remunerato sulla via del Partenone, si esercitano pensose signore dei numeri che mai se la pigliano però col padrone di Stellantis. Giorni fa la professoressa Veronica De Romanis, coniugata Bini Smaghi cioè Société générale e soprannominata madame Mes, ha sostenuto che l’Ue è meglio degli Usa, fornendo un profluvio di cifre. Se n’è scodata una: il Pil degli americani è 75.000 dollari pro capite a parità di potere di acquisto, quello degli europei è 38.000 dollari. Vedete un po’ voi.
Ma anche Elsa Fornero con i numeri s’impappina. In presa diretta, nostra signora della previdenza sgrana un rosario di nefandezze imputabili al centrodestra: i giovani hanno lavoro precario e malpagato, c’è un abbandono scolastico intollerabile (anche perché paghiamo poco gli insegnanti) e per occuparsi davvero del Paese serve una sorta di Pnrr dedicato ai giovani, per spingere la natalità, con una classe politica che non guardi all’oggi, ma sia proiettata nel medio termine. L’intervistatrice Sara Tirrito, adorante, osa domandarle: ma come si fa? Ecco dal campionario di Elsa delle lacrime e sangue uscire le tasse: 3,1 miliardi si trovano con nuove imposte sugli affitti, 3,5 miliardi di maggiori entrate vengono trasformando la flat tax per i giovani che svolgono lavoro autonomo in tassazione progressiva, altri miliardi vengono rimodulando (al rialzo) l’Iva sugli acquisti on-line. E poi tassa di successione per finanziare un piano scuola, per consentire ai giovani di trovare lavoro non precario e ben pagato.
La professoressa non si accorge delle sue contraddizioni. Dice: i giovani devono badare agli anziani che, però, devono pagare in anticipo la tassa di successione; i ragazzi vanno impiegati in lavori ad alta qualificazione così non emigrano, ma lei vuole stangarli subito con l’imposta progressiva togliendo la flat tax. Aggiunge che che devono farsi una vita autonoma, ma con le tasse sugli affitti manda le locazioni fuori mercato. Però se queste contraddizioni si sciorinano sospirando o quasi piangendo - «aiutiamoli quando sono giovani ad avere una vita degna di questo nome» - fa tutto un altro effetto. Perdonerà la professoressa Elsa Fornero, ma tornano in mente alcuni dati. La pressione fiscale con il governo Monti ha toccato in Italia il record assoluto arrivando al 45,1% del Pil in media grazie all’introduzione dell’Imu prima casa, alla Tobin tax che, però, il governo Meloni ritocca inspiegabilmente al rialzo, al quasi raddoppio dell’imposta sulle transazioni finanziare e all’aumento di tutte le addizionali Irpef.
Come ricompensa agli italiani, Mario Monti aveva offerto il record di aumento del debito pubblico, arrivato a 2.040 miliardi, a botte di 7,5 miliardi al mese: tra il 2011 e il 2012 si sono accumulati 129 miliardi di passivo aggiuntivo. Pensando ai giovani, con Elsa Fornero ministro del Lavoro il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito dal 27,4% al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione complessiva, con un Pil crollato del 2,6%, col governo Monti è cresciuto del 40%, cioè di oltre 750.000 unità. Sono credenziali perfette per dare buoni consigli.
Giusto per memoria visto che siamo al disastro: col governo di Giorgia Meloni lo spread - dato di ieri - è a 68 punti base (meglio della Francia, ma non ditelo alla De Romanis) e ai minimi da 2008, il rating dell’Italia è stato alzato in positivo dopo un quarto di secolo, il tasso di occupazione a novembre è del 62,7% con 75.000 occupati in più ed è il record. Gli stipendi nel 2024 e nei primi nove mesi del 2025 sono cresciuti più dell’inflazione (3,5% di media contro 1,8% di aumento del costo della vita). Meglio questi tassi delle tasse, non trova? Ma non si preoccupi, Fornero: qualcuno che l’ascolta se evoca il disastro lo trova. Di solito sta in fondo a sinistra.
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Ansa
Nel centro di Milano il mattone vale oro. Tra Brera, via Anfiteatro e via della Zecca le quotazioni superano stabilmente i 15.000 euro al metro quadro. Nei casi più ambiti, per nuove costruzioni o interventi di pregio, si arriva a 20.000 euro. È qui che si concentrano gli affari immobiliari più redditizi della città. Ed è qui che, secondo la Procura, per anni ha preso forma un meccanismo parallelo capace di orientare pratiche e interpretazioni urbanistiche.
Il sequestro di via Anfiteatro va letto in questa chiave, non come un singolo abuso, ma come la spia di un sistema. Un circuito informale che avrebbe coinvolto dirigenti comunali, funzionari, progettisti e organismi tecnici.
Un assetto che, scrive il gip Mattia Fiorentini, avrebbe consentito di aggirare le regole del centro storico senza modificarle apertamente.
Le carte descrivono una rete di relazioni consolidate. Al centro compare Giovanni Oggioni, storico dirigente dell’edilizia comunale, protagonista anche del passaggio dal vecchio Prg al Pgt tra il 2010 e il 2012. Attorno a lui si muovono Marco Emilio Maria Cerri, progettista di riferimento per grandi operazioni immobiliari, Andrea Viaroli, funzionario del Sue, e Carla Barone, dirigente dello stesso settore. Per il giudice non si tratta di coincidenze. Ma dell’esistenza di un ufficio parallelo, capace di incidere sugli iter amministrativi.
Lo snodo è la determina dirigenziale 65 del 2018, adottata durante la giunta Sala. Un atto tecnico, mai discusso in Giunta o in Consiglio, ma centrale. Secondo il decreto di sequestro, quella determina consente di sostituire il piano attuativo con una semplice Scia anche nel centro storico. Un passaggio che riduce i controlli e accorcia i tempi. Proprio nelle aree dove le tutele dovrebbero essere massime.
Il piano attuativo non è una formalità. Serve a valutare l’impatto complessivo degli interventi: volumi, altezze, distanze, standard, servizi, carico urbanistico. Evitarlo significa rendere più agevoli operazioni più grandi e più redditizie. Accade nelle zone B2 e B12, nate per il recupero dell’esistente e la tutela del tessuto storico, non per l’aumento delle volumetrie.
Tra i documenti interni e riservati conservati da Oggioni compaiono anche materiali relativi alla torre di via Stresa, un’altra operazione immobiliare riconducibile alla famiglia Rusconi, già coinvolta nel progetto di via Anfiteatro. Un collegamento che, per gli inquirenti, conferma la ricorrenza degli stessi operatori e delle stesse prassi.
Secondo il gip, parte di questi file sarebbe stata occultata. Dopo il 7 novembre 2024, quando Oggioni riceve la notifica del sequestro dei dispositivi elettronici, alcuni documenti vengono cancellati. Il decreto parla apertamente di depistaggio. Un passaggio che sposta il baricentro dell’indagine: non solo irregolarità urbanistiche, ma interferenze sul corretto svolgimento delle indagini.
Il perimetro non si ferma a via Anfiteatro. Le indagini toccano anche via Zecca Vecchia e in un’informativa compare anche per Largo Claudio Treves, sempre nel quartiere Brera. Qui il progetto promosso da Stella R.E., dopo l’acquisto dell’immobile comunale nel 2021, prevede un nuovo edificio residenziale di nove piani. L’operazione si inserisce in uno dei filoni centrali dell’indagine della Procura, quello sulla dismissione del patrimonio pubblico nel centro storico. Lo stesso immobile è stato ceduto dal Comune all’asta per una cifra che tocca i 50 milioni di euro. Nelle carte il progetto viene discusso anche da Giuseppe Marinoni e Giancarlo Tancredi: l’ex assessore spera non ci siano intoppi.
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