2021-07-07
Brigate gender inferocite. Pd e M5s portano il ddl Zan nel pantano del Senato
Muro giallorosso alle aperture di centrodestra e Iv. Snobbata anche Elisabetta Casellati. Voto segreto inevitabile e forse letale per il testo: pronta la gogna dem per Matteo Renzi.Tutto secondo copione, in Senato, dove i giallorossi hanno optato per la prova di forza in aula sul ddl Zan e la questione, dunque, si risolverà con la roulette russa del voto segreto. Come annunciato più volte negli ultimi giorni dagli esponenti di Pd e M5s, il tentativo di mediazione del presidente della commissione Giustizia e relatore del provvedimento, Andrea Ostellari, che aveva raccolto le proposte di correzione al testo Zan presentare da Lega, Forza Italia e Italia viva, si è rivelato vano, a causa della determinazione del blocco demogrillino a portare in anticipo il ddl Zan all'esame dell'assemblea, a partire dalla settimana prossima. Il tavolo di maggioranza, inaugurato mercoledì scorso con la mission impossible di trovare un compromesso su un testo antiomofobia capace di soddisfare tutti i partiti, si è riunito ieri per ben due volte, prima di constatare l'impossibilità di un accordo. Anche in questo caso, la sintesi tentata da Ostellari partiva dai punti di contatto degli emendamenti presentati dal centrodestra e dai renziani, e cioè: esclusione di ogni riferimento all'identità di genere (che, giova ricordarlo, nel testo Zan vale indipendentemente dal sesso e «dall'aver concluso un percorso di transizione»), salvaguardia della libertà d'opinione, autonomia degli istituti scolastici nell'approccio alle iniziative contro le discriminazioni. L'impressione era, anche stando a quanto affermato dal capogruppo Iv Davide Faraone, che al netto di alcuni punti da limare, come ad esempio l'estensione della legge Mancino all'omotransfobia, il terreno per un testo condiviso tra l'ala riformista del centrosinistra e l'inedito asse Lega-Fi-Iv fosse fertile, ma i contorni politici assunti dalla vicenda hanno rimandato tutto ai prossimi giorni, dopo un estremo tentativo compiuto a ridosso del voto sul calendario. Voto che invece ha certificato l'approdo del ddl Zan in aula il 13 luglio, a dispetto di un intervento della presidente Elisabetta Casellati che aveva garbatamente suggerito un supplemento di negoziato, e grazie ai voti favorevoli dei renziani, i quali avevano ampiamente annunciato il loro sì alla velocizzazione dei tempi, aggiungendo però di sperare che quel compromesso non raggiunto ieri in commissione possa arrivare nei prossimi giorni direttamente in aula. L'ipotesi sembra però alquanto remota, visto che dai piani alti del Nazareno sta emergendo la volontà di utilizzare un eventuale affossamento del ddl Zan come «plotone d'esecuzone» mediatico e politico per Matteo Renzi, pronto ad essere additato dalla sinistra al suo elettorato quale perfido alleato della destra liberticida. L'operazione orchestrata da Enrico Letta avrebbe anche l'effetto di corroborare la linea dell'alleanza organica sempre più stretta col M5s, in vista delle prossime politiche, anche se questa presenta rischi non trascurabili, a partire dal destino nebuloso dei pentastellati, in piena faida tra contiani e grilliani, per arrivare alla possibile reazione dell'ala riformista dem, la cui avversione all'abbraccio coi grillini è tutt'altro che sopita. In ogni caso, l'innalzamento del livello dello scontro politico delle ultime ore appare propedeutico a questa strategia: l'ala radical del Pd, guidata dal titolare del ddl Alessandro Zan e dall'intestataria delle unioni civili Monica Cirinnà continua ad attaccare Renzi a testa bassa, indicandolo come «killer» della legge in caso di affossamento, toni peraltro simili a quelli utilizzati dalla pentastellata Alessandra Maiorino. A loro ha replicato il leader leghista Matteo Salvini, il quale poco dopo il flop della riunione di maggioranza ha dichiarato che «se la legge verrà affossata, il nome e cognome di colui che ha impedito che il Parlamento approvasse all'unanimità la tutela della libertà d'amore e dei diritti civili è il signor Letta, perché gli è stata proposta la possibilità di dialogo perfino dai renziani, senza dimenticare il Vaticano da cui è arrivato l'appello». In casa Iv Faraone ha infine sottolineato che la proposta di mediazione di Ostellari era «saggia» e che ora la legge è «a repentaglio», trovando un'alleata nella rappresentante del gruppo Autonomie, Julia Unterberger. Lucidamente, Enrico Letta continua a battere sul tasto del voto palese, affermando di non augurarsi che lo scrutinio relativo al ddl Zan sia segreto e che il suo partito non lo chiederà, affinché siano poi chiare le responsabilità dell'affossamento. Letta però sa benissimo che è praticamente impossibile che le votazioni sul ddl Zan siano palesi, visto che il regolamento del Senato e i precedenti parlano chiaro: il comma 4 dell'articolo 113 recita infatti che «a richiesta del prescritto numero di senatori, sono effettuate a scrutinio segreto le deliberazioni che incidono sui rapporti civili ed etico-sociali» disciplinati dagli articoli della Costituzione che vanno dal 13 al 32, temi ovviamente al centro del provvedimento in questione. Assodato dunque che il voto sul ddl Zan sarà segreto, perché il centrodestra lo chiederà e ha numeri in abbondanza per sostenere la richiesta, il destino di quest'ultimo appare decisamente precario, riproponendosi lo scenario parlamentare che ha visto naufragare il Conte bis: senza i 17 voti di Italia viva (ed è una stima per difetto che non tiene conto del moderati e dei cattolici del Pd) la maggioranza non c'è.