2022-02-13
Cristiana Cavalli: «Debutto con la linea di gioielli Krimrose»
La figlia di Roberto: «Ho creato una collezione di 20 pezzi in ottone rivestito in oro 18 carati, prodotti da un’azienda di Vicenza. Oggi nel mondo delle sfilate c’è meno spazio per la creatività: si impongono i grandi gruppi che controllano molti marchi». Ha respirato moda, arte, cultura, storia fin da bambina. Cristiana Cavalli porta un cognome impegnativo, non c'è dubbio. Il padre Roberto, stilista, fondò la famosa maison a Firenze nel 1970, oltre a essere collezionista d’arte e fotografo. E poi la madre restauratrice, la nonna pittrice, il bisnonno, Giuseppe Rossi, artista macchiaiolo con opere esposte agli Uffizi. E l’altro bisnonno, Giorgio, ucciso dai nazisti nel 1944. Insomma, una storia che resta attaccata addosso. Come l’enorme successo dopo l’esplosione del marchio amato dalle dive dello spettacolo internazionale. La primogenita di Roberto non poteva non trovare la sua creatività nelle radici della famiglia. Tanto che ora debutta con una sua linea, Krimrose, nuovo brand di gioielli che mette insieme il Rinascimento fiorentino e l’arte contemporanea milanese, la moda minimalista e gli oggetti di design, i colori e la natura.Quando ha iniziato a lavorare con suo padre?«Non da subito. Volevo fare altro, anche se tutti mi dicevano che dovevo lavorare con lui. Ma io avevo la mia personalità e proprio in quegli anni feci la mia scelta laureandomi in giurisprudenza, tre anni di tirocinio in uno studio legale, quindi diventai avvocato. Nel momento in cui mi sono resa conto che lui aveva bisogno di qualcuno della famiglia per affidare compiti che non avrebbe mai dato a nessun altro sono entrata in azienda e ho iniziato a occuparmi della parte legale fino a diventare ad. Ciò che mi interessava più di tutto erano le licenze con il brand Cavalli, tantissime a quell’epoca, dal bambino all’intimo. Siamo stati precursori. E ho lavorato fino a quando abbiamo ceduto l’azienda».La cessione è avvenuta nel 2014, il 90% al fondo Clessidra. «È stata una decisione ben ponderata che tutta la famiglia ha preso insieme, quindi è stata graduale e non traumatica. Come ovvio, il dispiacere è stato grande perché per mio padre era la vita e per quanto mi riguarda una parte di me. Il momento in cui ho vissuto la moda con la M maiuscola era irripetibile, ma il mondo è cambiato completamente. Forse non bisogna affezionarsi troppo alle cose. Un certo modo di fare moda apparteneva già al passato, senza dubbio è stato un distacco doloroso ma nessuno di noi l’ha vissuto come una delusione. Era un percorso normale della vita».Com’è stato lavorare con suo padre?«Molto interessante perché lui ha sempre preteso tanto. Io mi occupavo più della parte gestionale, però mi ha trasmesso tantissimo le sue doti, soprattutto non fermarsi di fronte ai problemi, approfondire le cose, entrare nel dettaglio, procedere, darsi da fare. Fin da quando ero piccola mi diceva: “Se vuoi puoi, datti da fare e vai avanti”. E lui è sempre stato così. Sono gli insegnamenti che sto trasmettendo anche a mio figlio». Certe sfilate di Roberto Cavalli sono rimaste memorabili. Pensa che quel tipo di moda non ci sia più?«Ora è tutto quanto lasciato all’impresa, alla finanza. Si ha l’idea che chi ha più soldi vince, non conta tanto la creatività ma chi spara più forte. Alcuni sono stati veramente bravi a creare il proprio stile ma attingono molto al passato. Comandano i gruppi che hanno in portafoglio tanti brand: se non ne va bene uno andrà bene l’altro. Negli ultimi tempi era difficile imprimere la propria creatività».A Sanremo c’era un abito di Roberto Cavalli, firmato dal nuovo direttore creativo Fausto Puglisi: è sembrato di rivedere sul palco una delle vecchie pietre miliari.«Sì, certo, era quello indossato da Cindy Crawford a Trinità dei Monti, mi ha emozionata, una vera icona».Puglisi attinge molto all’archivio di Roberto Cavalli. Le piace?«Sì, non è male. Lo sta reinterpretando con una sua chiave come è giusto che sia. L’importante è non snaturare il brand». Come arriva a disegnare una sua collezione di gioielli?«Negli accessori ho sempre fatto una bella ricerca, una passione che però è arrivata negli ultimi anni. Avevo voglia di un mio progetto, mi mancava l’emozione di fare qualcosa di mio partendo dalla scelta del prodotto. Grazie all’esperienza nel mondo delle licenze percepisco ciò che vogliono il consumatore e il mercato. Mi piace avere contatti con la realtà dell’impresa, parlare con gli imprenditori, capire in che modo promuovere il prodotto. Oggi è tutto molto diverso, non c’è più la pubblicità di un tempo. Ho dovuto approcciarmi al mondo dei social e degli influencer. E poi la distribuzione, compresa quella online. Mi appassiona tutto questo percorso fino alla vendita finale».Com’è composta la collezione Krimrose? «Si tratta di 20 pezzi in ottone rivestiti di oro 18 carati, chiaro e molto lucido, suddivisi in quattro famiglie, la maggior parte dei quali orecchini. I nomi delle collezioni si ispirano alla natura e agli animali: Leaf, Plume, Shell, Cascade, Drop, ciascuna declinata nelle varie tipologie: earring, bracelet, necklace e ring. Sono gioielli che vestono». Chi li produce?«Cora, azienda di Vicenza che produce tutto artigianalmente. Solo la galvanica viene fatta all’esterno». Il nome da dove deriva?«Da primerose, primula in inglese, il primo fiore della primavera, sinonimo di rinascita. Bisogna reinventarsi, essere positivi».Debutto a San Valentino.«Quale periodo migliore? Tutti abbiamo bisogno di amore, di attenzioni, amore per la vita, per i figli, per quello che stiamo facendo».Nel futuro?«Tante cose, mio figlio, la mia azienda che non vuole fermarsi ai gioielli. Mi piacerebbe fare accessori e magari qualcosa di abbigliamento con i miei valori che sono sempre legati a una donna che guarda alla ricercatezza e all’estetica».
Henry Winkler (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 7 novembre 2025. Il deputato di Fdi Giovanni Maiorano illustra una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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