2025-05-22
L’impresario playboy che svelò al mondo il suo passato «scandaloso» nelle SS
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«Il sognatore con l’elmetto», di Christian de La Mazière, è stato il libro scandalo del 1972. L’autore, personalità conosciuta del jet set, vi rivelava la sua giovinezza politicamente scorretta.Christian de La Mazière è un nome poco o per nulla noto in Italia. Fu marginalmente citato dalla stampa italiana in merito alla presunta relazione tra la cantante Dalida e Luigi Tenco nel 1966-1967, e poco altro. In Francia, invece, de La Mazière è stato per anni un volto noto del jet set, un famoso impresario e giornalista. Ha lavorato con Figaro Magazine e Choc du mois, prima di entrare a far parte dello staff del generale Gnassingbé Eyadéma, discusso presidente del Togo. È stato anche compagno di di Juliette Gréco e della già citata Dalida. Si può ben immaginare, dunque, il livello dello scandalo quando, nel 1972, il francese pubblicò Le Rêveur casqué, libro di memorie in cui raccontava la sua militanza politicamente scorretta negli anni della seconda guerra mondiale. E non in qualche generico ambiente collaborazionista, ma con la divisa che, dal 1945, incarna nell’immaginario collettivo l’emblema dell’orrore politico più spaventoso, quella delle SS. Il libro – che fu comunque un enorme successo di vendite con diverse edizioni e traduzioni – è stato non molto tempo fa pubblicato in italiano per i tipi di Italia Storica, coraggiosa casa editrice di storia militare, con il titolo Il sognatore con l'elmetto.Figlio di un militare e cresciuto in un clima familiare conservatore, il giovane Christian de La Mazière aveva preferito gli ambienti radicali, collaborando da giovanissimo al quotidiano “Le Pays libre”, organo del Parti Français National-Communiste (Pfnc), uno strano movimento collettivista e filo tedesco, che finirà nei ranghi della collaborazione. Dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, de La Mazière si arruola nelle Waffen-SS nell’estate del 1944, raggiungendo la Divisione SS “Charlemagne” presso il campo d’addestramento di Wildflecken in Baviera settentrionale. Le pagine in cui descrive le fasi della scelta e della formazione sono tra le più significative, anche perché rispondono alla domanda alla base dello scandalo: come può un uomo «normale», inserito nella società, privo di apparenti tare psichiche e morali aver vestito la divisa che rappresenta, nell’inconscio collettivo, l’incarnazione stessa del male più efferato?Spiega l’autore: «Avevo preso una decisione esaltante e strana, come in ogni scelta di attivismo. Corrispondeva certo alle mie scelte politiche, ma non era una soluzione imposta dalle circostanze. […] È proprio quando la casa è in fiamme, mi dicevo, e che potremo scappare approfittando del disastro, che bisogna difenderla con ancora più energia. Così facendo, mi sembra, agivo meno nel nome di una dottrina che per fedeltà a me stesso».Ma un conto sono gli ideali astratti, un conto è la pratica. È solo dopo aver fatto il suo primo saluto nazista a Wildflecken che de La Mazière si rende conto della scelta fatta: «Di quel braccio teso, ne ero al contempo fiero e imbarazzato. Mi sembrava di aver varcato un limite, e che superandolo congedavo oscuramente qualcosa di ciò da cui provenivo: la mia terra, il mio passato, le tradizioni del mio paese. Ma quegli uomini mi affascinavano, e avevo voglia di essere come loro. Vedevo in essi una razza completamente a parte, una razza invincibile. Li sentivo forti, generosi e impietosi: esseri senza debolezza che non sarebbero mai marciti».All’epoca, giura l’autore, del mondo concentrazionario si avevano solo informazioni vaghe ed edulcorate. Ma non era per spedire convogli nei lager che i giovani come de La Mazière si arruolavano. C’era, su tutto, un senso dell’avventura e dell’eroismo a forte tinte romantiche, persino pre ideologico. Della dottrina nazionalsocialista si conoscevano i rudimenti, mentre era l’apparente energia giovanilistica di quel corpo ad attirare i volontari.Le descrizioni della vita nel campo di addestramento sono a tal proposito eloquenti. Nel corpo, spiega l’autore, c’era una disciplina che «non si basava sulla casta e la coercizione, ma, al contrario, su una specie di spirito d’equità interno, naturalmente accettato da ognuno poiché scaturiva da un ideale comune davanti al quale tutti si ritrovavano uguali, persino al di là della gerarchia stessa. Un dettaglio mi rese subito palpabile questa giustizia segreta che regolava i nostri rapporti. Nelle WaffenSS non si diceva mai grazie. Un soldato non ringraziava mai un ufficiale; un ufficiale non ringraziava mai il soldato che, per esempio, gli tendeva l’oggetto che aveva chiesto. Quello che ha, è quello che si deve avere: “Danke schön”, “Vielen Dank”, queste parole, se pronunciate, valevano una punizione immediata. Ancora oggi – è una delle poche cose che mi sono rimaste di Wildflecken –, non riesco quasi a dire grazie, e avrei la sensazione di sminuire colui al quale faccio dono se aspettassi da lui un ringraziamento: quello che gli regalo è quello che desidera, ed è ciò che perciò riceve».Dopo l’addestramento, finisce a combattere in Pomerania con SS “Charlemagne”. Fatto prigioniero dalle truppe polacche, viene poi consegnato alle autorità francesi. Processato e condannato a cinque anni di carcere e alla perdita dei diritti civili per 10 anni nel 1946, verrà graziato da Vincent Auriol nel 1948.
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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