
Pechino alza le tariffe su carbone, gas liquido e petrolio e impone restrizioni all’export delle sue materie prime. Ma non le conviene iniziare una vera guerra commerciale.Pechino reagisce ai nuovi dazi decisi da Donald Trump ed impone a sua volta dazi ritorsivi che scatteranno dal prossimo 10 febbraio. Il carbone e il gas naturale liquefatto importati in Cina dagli Stati Uniti saranno soggetti a un dazio del 15%, mentre il petrolio greggio, i macchinari agricoli, i veicoli di grossa cilindrata e i pick-up avranno un dazio del 10%. Nel complesso sono circa 80 i prodotti che saranno soggetti all’aumento delle tasse doganali.Inoltre, Pechino imporrà maggiori restrizioni sulle esportazioni di tungsteno, tellurio, bismuto, indio e molibdeno, tutti materiali critici necessari all’industria dell’energia e del digitale. Queste restrizioni non si applicano ad uno specifico Paese, ma sono generalizzate e valide per qualunque Paese di destinazione dell’export. Infine, Pechino avvia una indagine antitrust su Google (che si aggiunge a quella già in corso su Nvidia) e designa la holding americana Pvh (che detiene i marchi Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e Illumina (azienda di biotecnologie) come «entità inaffidabili», ovvero possibili destinatarie di sanzioni. La Cina ha inoltre presentato un reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ove però il meccanismo per la risoluzione delle controversie è bloccato da anni.Il dazio sul gnl americano rende per i cinesi più competitivo il gnl russo, il che mette la Cina in competizione ancora più diretta con l’Europa per aggiudicarsi i carichi delle metaniere russe.Un effetto indiretto delle sanzioni cinesi sarà quindi che l’Europa comprerà più gnl americano, il che è precisamente l’obiettivo di Trump rispetto alla politica energetica verso l’Unione europea. I prezzi del gas in Europa sono sufficientemente alti per avere buoni margini. Ieri i prezzi al Ttf sono risultati in calo rispetto al record del giorno precedente ma restano alti (52,15 euro/MWh). Il petrolio resta ai livelli di una settimana fa, con i future sul Brent attorno ai 76 dollari al barile, dopo aver toccato un minimo a 74, sull’onda della sospensione dei dazi a Canada e Messico, importanti esportatori di petrolio.Subito dopo l’annuncio della risposta cinese si è diffusa la notizia di una imminente telefonata tra Trump e Xi Jinping, notizia poi smentita. Trump cerca un riequilibrio della bilancia commerciale, che nel 2024 ha fatto segnare un deficit di oltre 300 miliardi di dollari verso la Cina, e vuole riprendere il dialogo nato con l’accordo del 2020, al quale non fu dato seguito. Sul tavolo c’è anche la guerra in Ucraina, la questione dei semiconduttori e la proprietà della app TikTok.La risposta cinese, per quanto immediata, non è in realtà particolarmente dura, anzi. Il valore delle merci Usa assoggettate ai dazi decisi ieri da Pechino è di soli 14 miliardi di dollari, contro gli oltre 400 miliardi di merci cinesi assoggettate ai dazi americani. In altre parole, in un confronto commerciale diretto, la Cina ha in gioco molto di più rispetto agli Stati Uniti. La Cina è il maggior importatore di gnl al mondo, ma nel 2024 solo una piccola parte delle importazioni proveniva dagli Usa, circa il 6% del totale. Nel 2023 meno del 4% dell’export americano di gnl è andato in Cina. Vi sono dei contratti a lungo termine tra utility cinesi e gli esportatori texani di gnl, è vero, ma i flussi dovrebbero iniziare solo l’anno prossimo. Al momento il mercato del gnl non ha particolari problemi ed anzi la domanda asiatica si è stabilizzata, mentre il costo dei noli delle metaniere è sceso molto. Dunque l’impatto di questo dazio sembra molto relativo.I dazi del 10% decisi da Trump sabato scorso si aggiungono a quelli già esistenti, applicati dallo stesso presidente americano durante il suo primo mandato nel 2018. Inizialmente vi fu un dazio del 25% su merci cinesi per un valore di circa 250 miliardi di dollari, cui si aggiunse un altro del 15% su altri 120 miliardi di dollari di merci, poi ridotto al 7,5%. Joe Biden nel 2024 applicò poi nuovi dazi ad auto elettriche, materiali green, acciaio, alluminio e semiconduttori provenienti dalla Cina. Il dazio medio totale sulla Cina fino a ieri era del 14,5%. Con il 10% di aumento generalizzato deciso da Trump, il dazio sale dunque a circa il 25%, allineandosi con quello applicato (poi sospeso) a Canada e Messico.Sulle categorie merceologiche l’impatto dei nuovi dazi alla Cina è differenziato. L’aliquota media su elettronica e elettrodomestici triplicherà (dal 6% al 18%), mentre quella sui beni di consumo salirà da circa il 10% al 23%. Il peso su minerali, metalli e chimica passerà dal 20% al 30%, mentre quello sui macchinari passerà dal 23% al 33%.La risposta morbida di Pechino è anche dovuta al fatto che l’export cinese verso gli Usa è superiore ai 400 miliardi di dollari e non è interesse di Xi Jinping ingaggiare oggi uno scontro commerciale con Washington. Se si confronta la situazione della Cina con quella di Canada e Messico la differenza è enorme. Per la Cina, gli Usa sono il 14,6% dell’export, mentre per Messico e Canada rappresentano il 75% dell’export. Per la Cina, il mercato più importante è l’area asiatica Asean (16,2% dell’export), poi gli Usa, poi alla pari l’Ue (14,4%) poi l’aggregato Russia, Messico, Brasile e India con l’11,1% dell’export.
Friedrich Merz (Ansa)
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(IStock)
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