Misura in vigore dal 2 aprile. L’Italia sarebbe particolarmente penalizzata dalle sanzioni sui medicinali, settore chiave per il nostro export. Ma la minaccia può essere una mossa di Trump per aprire la trattativa.
Misura in vigore dal 2 aprile. L’Italia sarebbe particolarmente penalizzata dalle sanzioni sui medicinali, settore chiave per il nostro export. Ma la minaccia può essere una mossa di Trump per aprire la trattativa.Donald Trump torna ad agitare l’arma dei dazi. La strategia sembra quella perseguita dall’inizio del suo mandato, ovvero sparare alto per costringere l’interlocutore a venire a patti. Quello che è successo con il Canada e il Messico, per intenderci. Comunque sia non è mai come sparare a salve. L’inquilino della Casa Bianca ha sempre ben chiaro l’obiettivo che vuole raggiungere e, alzando la posta, stringe nell’angolo l’avversario. Il Wall Street Journal e Bloomberg riportano alcune dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti durante un colloquio con i giornalisti nella sua residenza a Mar-a-Lago, in cui è stato prospettato l’arrivo, con ufficializzazione il prossimo 2 aprile, di tariffe pari al 25% sulle importazioni di auto, semiconduttori e prodotti farmaceutici. Sarà solo l’antipasto. Trump ha precisato che «i dazi aumenteranno notevolmente nel corso dell’anno», ma ha indicato anche ai partner commerciali di Washington una soluzione per evitare di essere tassati, ovvero stabilire le loro fabbriche negli Stati Uniti. «Vogliamo dare loro il tempo di arrivare, vogliamo dare loro una possibilità», ha detto. Ciò ha provocato reazioni caute in Asia, dove alcuni dei principali fornitori di questi beni, come Taiwan, la Corea del Sud o il Giappone, dipendono completamente dalla protezione americana per la loro sicurezza nei confronti dei vicini potenzialmente aggressivi. «La portata dei prodotti soggetti a dazi doganali non è ancora stata chiarita. Continueremo a monitorare e supportare le industrie taiwanesi», ha detto il ministero dell’Economia di Taiwan. Trump ha espresso soddisfazione per la riduzione delle tariffe da parte dell’Ue che «aveva il 10% di tasse sulle auto e ora sono al 2,5%, esattamente il nostro stesso livello. Se tutti fanno così, allora giocheremo secondo le stesse regole». Resta il fatto però che, non si stanca mai di ripeterlo, «l’Ue è stata molto ingiusta nei nostri confronti, abbiamo un deficit commerciale di 350 miliardi di dollari, non comprano le nostre auto, non comprano i nostri prodotti agricoli, non comprano quasi nulla, dobbiamo rimediare». Secondo i dati del dipartimento del Commercio, il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’Ue sarà di 235 miliardi di dollari nel 2024.Trump ha già stabilito tariffe del 25% su acciaio e alluminio, che entreranno in vigore a marzo e ora sta prendendo di mira tre settori manifatturieri strategici.Che l’annuncio dei dazi sia un bluff per costringere i partner commerciali degli Usa a più miti consigli, o che voglia andare fino in fondo davvero, lo si vedrà presto, sta di fatto che l’annuncio ha fatto tremare i polsi alle aziende dei settori coinvolti. Oltre alle grandi case automobilistiche soprattutto tedesche che hanno negli Stati Uniti il loro principale mercato di sbocco, è in allarme l’industria farmaceutica. Questa rappresenta il primo settore in Europa per surplus con l’estero con un saldo positivo di 158 miliardi nel 2023 e investimenti in ricerca e sviluppo pari a 50 miliardi nello stesso anno. Con i dazi, le aziende del settore potrebbero dover affrontare un aumento dei costi legato alle esportazioni, con possibili ricadute sulla catena di approvvigionamento e sulla competitività del settore. Una delle strategie potrebbe essere il rafforzamento della produzione in loco attraverso investimenti diretti negli Stati Uniti o la diversificazione dei mercati di riferimento.Il nostro Paese ha archiviato una performance solida nell’ultimo anno, a partire dall’incremento dell’export, che secondo l’Istat ha superato i 49 miliardi di euro nel 2023 soprattutto grazie agli Stati Uniti, mercato trainante per i farmaci italiani. Nei primi dieci mesi dello scorso anno, l’export verso gli Usa è aumentato del 19,8%, toccando i 7,8 miliardi di euro. Il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, ha ribadito in una intervista a La Verità l’importanza strategica della farmaceutica italiana per gli Stati Uniti La vendita di farmaci e prodotti medicinali agli Usa rappresenta il 30,7% dell’export italiano extra Ue, secondo quanto stima il centro studi di Confindustria. Per quanto riguarda le importazioni, il farmaceutico è tra i comparti più dipendenti (38,6%). L’esposizione italiana agli Usa aumenta se si considerano anche le connessioni produttive indirette, cioè le vendite di semilavorati che sono incorporati in prodotti per il mercato Usa. In base sempre a quanto valutato da Confindustria, è attivata direttamente e indirettamente dal mercato Usa una quota significativa delle vendite totali (estere e domestiche) del farmaceutico (17,4%) e degli altri mezzi di trasporto (16,5%). I legami produttivi tra le due sponde dell’Atlantico sulla chimica e il farmaceutico sono molto solidi: oltre il 70% dello stock di capitali investiti dalle imprese farmaceutiche Ue nei Paesi extra Ue è diretto negli Usa; la quota è la stessa per le multinazionali farmaceutiche tedesche mentre quelle italiane sfiorano il 90%.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






