2025-07-05
Dazi, ultime minacce di Donald per chiudere
Mentre Bruxelles ha difficoltà a trovare una posizione unitaria, attraversata dagli interessi divergenti di Francia, Germania e Italia, secondo il «Financial Times» il tycoon sarebbe pronto a imporre tariffe al 17% sull’agroalimentare. Che per noi sarebbe una mazzata.Con i crediti di emissione, venduti alle altre case di auto, dal 2015 Elon Musk ha raccolto 11 miliardi.Lo speciale contiene due articoli.Chiederanno aiuto a Maria De Filippi per impattare la partita dei dazi che Donald Trump - ha annunciato ai governi europei: c’è posta per te - sta vincendo: ha ottenuto due risultati. Porta a casa la svalutazione del dollaro e dimostra che, sulla materia centrale per l’Europa, l’Ue di fatto non esiste. Che Bruxelles non sa che pesci pigliare e ha ripetuto ieri, a quattro giorni dalla scadenza dell’ultimatum trumpiano, esattamente le stesse cose dette a metà aprile: cerchiamo l’accordo al 10%, ma siamo pronti anche al no deal. Sarebbe interessante capire applicato a cosa, visto che la ritorsione più forte che l’Ue potrebbe fare è sulle multinazionali, ma Olanda e Irlanda si metterebbero di traverso. Gli Usa per l’Ue valgono 532 miliardi con un avanzo commerciale di quasi 200 miliardi di euro. La ritorsione in mancanza di accordo sarebbe esiziale per l’economia del vecchio continente. La riprova l’ha data il Financial Times che, mentre a Washington il commissario al Commercio estero Maros Sefcovic, impegnato nelle trattative, balbetta, anticipa l’intenzione Usa - confermata tra autorevoli negoziatori - di applicare un dazio del 17% sulle produzioni agricole europee. È forse una mossa per forzare la mano e chiudere entro il 9 luglio, ma se così fosse per l’Italia sarebbe una mazzata. Gli Usa sono per il nostro agroalimentare il primo mercato extra-Ue (vendiamo in America per quasi 8 miliardi, pari al 12% del nostro export). Donald Trump intanto ha deciso di inviare a ogni governo una lettera in cui spiegherà quali dazi gli Usa applicheranno ai singoli Paesi dopo il 9 luglio: «È molto più semplice. Invieremo alcune lettere a partire da domani (oggi per chi legge)». La prassi Maga è distantissima dalla burocrazia europea. La Commissione presieduta da Ursula von der Leyen non ha voluto far sapere nulla di come vanno le trattative a Washington. Si lavora al modello Gran Bretagna: un’aliquota flat del 10% con l’impegno a comprare più gas dagli americani. Dice la Commissione: «Le discussioni a Washington sono state tali da permettere uno stato d’animo buono per il weekend, il commissario Sefcovic ha sorriso e questo è un segno positivo. Siamo in una fase sensibile della trattativa, il commissario al commercio informerà gli Stati membri sull’andamento del negoziato, quando riceveremo le loro valutazioni valuteremo come muoverci». È l’evidenza dei limiti dell’Ue che deve fare i conti con le enormi diversità dei 27. La Germania vede come la peste un eventuale dazio del 25% sulle sue auto, mentre l’Italia cerca un dazio basso visto che esportiamo in Usa beni unici ma di consumo come la moda e i prodotti agroalimentari. Se però l’aliquota salisse al 17% sarebbe una mazzata. Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha stimato che un dazio del 10% ci costerebbe 20 miliardi. A quel punto ci converrebbe trattare da soli come sta facendo Emmanuel Macron con la Cina, che ha appena rialzato al 35% i dazi sul Cognac rendendo esplicita la «global war» commerciale. L’Italia ha un surplus con gli Usa di circa 40 miliardi; la Germania ne ha 18, ma è quasi tutto fatto con le auto; la Francia ha addirittura un deficit di quasi 5 miliardi. È evidente che l’Ue sui dazi mostra d’essere una disunione europea! Donald Trump lo sa e forza la mano. Soprattutto facendo sospirare l’accordo sul 10% generalizzato perché, se non c’è l’intesa, dal 10 luglio si torna al 50% di dazi su acciaio e alluminio e al 25% su auto e componentistica. Ed è soprattutto questo a spaventare Ursula von der Leyen e la Germania. Una cosa è certa: la bilancia pende tutta dalla parte di Washington. A renderlo esplicito sono gli andamenti di Borsa. Wall Street sta sui massimi, in Europa sono tutti segni meno: Milano fa -0,8 come Parigi, Madrid ha un tonfo di un punto e mezzo (pesa anche la situazione politica spagnola) e Francoforte chiude a -0,6. La fonte maggiore di preoccupazione resta però il dollaro. Continua il Big beautiful bill voluto da Donald Trump per incrementare le esportazioni, tant’è che il biglietto verde flette in particolare contro le valute (euro in testa) dei Paesi che non hanno ancora stretto accordi sui dazi. Se c’è un vantaggio nell’acquisto di materie prime - quasi tutte denominate in dollari - è certo che per l’economia europea il biglietto verde anemico - dall’inizio dell’anno ha perso quasi il 12% - è peggio dei dazi. Che ora hanno animato anche i rapporti tra Ue e Cina. Pechino ritiene che i distillati europei siano venduti in dumping e applica da ieri una tariffa doganale di circa il 35%. Bruxelles, come al solito, ha fatto (solo) la voce grossa. «La Ue deplora la decisione della Cina di imporre misure anti-dumping definitive sulle importazioni di brandy dell’Unione, si tratta di misure ingiustificate e non in linea con le norme internazionali», ha scritto in un comunicato la Commissione annunciando «i prossimi passi per proteggersi dai dazi cinesi». Ma a riprova che nell’Ue chi fa da sé fa per tre, Emmanuel Macron ha «twittato»: «Le autorità cinesi hanno accettato le proposte dei nostri maggiori produttori di Cognac e Armagnac. È una tappa decisiva per metter fine all’annoso contenzioso che minacciava le nostre esportazioni», peraltro già crollate in Cina del 29%.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dazi-ultime-minacce-2672708277.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spiegato-il-broncio-di-elon-musk-il-bill-dimezzera-i-profitti-di-tesla" data-post-id="2672708277" data-published-at="1751694666" data-use-pagination="False"> Spiegato il broncio di Elon Musk: il «bill» dimezzerà i profitti di Tesla Il Big beautiful bill (Bbb) è stato approvato definitivamente giovedì dal Congresso statunitense dopo una lunga maratona parlamentare e ieri è giunto alla Casa Bianca, dove il presidente americano Donald Trump l’ha firmato. La legge fiscale elimina gran parte dei sussidi pubblici alle aziende del settore green e i crediti di imposta per l’acquisto di auto elettriche (fino a 7.500 dollari), con tagli per 370 miliardi di dollari. Il Bbb, però, contiene anche una polpetta avvelenata, destinata soprattutto all’ex amico di Trump ed ex capo del dipartimento per l’Efficienza del governo, Elon Musk. Tra le righe della legge si stabilisce infatti la cancellazione di una norma che riguarda l’Epa (Environment protection agency) e l’eliminazione delle sanzioni per le case automobilistiche che non rispettano gli standard di efficienza nei consumi. Si tratta degli standard Corporate average fuel economy (Cafe), i quali impongono che le case automobilistiche rispettino determinati requisiti di consumi di carburante e di emissioni sul totale dei veicoli venduti. Poiché quasi nessuna delle aziende del settore rispetta tale soglia, le regole permettevano a queste di acquistare crediti di emissione da case automobilistiche «virtuose». La Tesla di Musk è una di queste aziende, anzi praticamente l’unica. Grazie alla sua flotta di veicoli al 100% elettrici, Tesla può vendere alle altre case automobilistiche i crediti (detti Zev, dal nome della legge californiana che li ha istituiti) ed è proprio qui che si nasconde l’insidia per l’azienda di Musk. Tesla ha guadagnato 3,36 miliardi di dollari in vendite di crediti Zev solo negli ultimi cinque trimestri. Per dare un’idea, l’utile netto del primo trimestre 2025, pari a 409 milioni di dollari, è stato raggiunto solo perché nello stesso periodo Tesla ha venduto 595 milioni di dollari di crediti Zev alle altre case automobilistiche. Nel 2024 Tesla ha registrato vendite dei crediti di emissione per 2,8 miliardi di dollari, pari al 39% dell’utile netto. Dal 2015 a oggi, Tesla ha guadagnato oltre 11 miliardi di dollari dai crediti Zev. Negli ultimi anni, questo sistema ha di fatto garantito il bilancio di Tesla, che in borsa vale 1.050 miliardi di dollari (70 volte gli utili 2024).Con l’abolizione delle multe per il mancato rispetto dello standard Cafe verrà quindi a mancare un 40% secco dei profitti della compagnia (alcuni analisti parlano del 50% nel 2025).La ragione ultima per cui Donald Trump ed Elon Musk hanno rotto il loro sodalizio con una clamorosa lite dalla risonanza planetaria potrebbe essere proprio questa. L’acceso confronto è iniziato quando Trump ha celebrato il Bbb come una svolta storica per gli Stati Uniti. Tramite il suo social X, Musk ha definito la legge un abominio e ha minacciato i membri del congresso favorevoli alla legge di finanziare i loro avversari. Dei 53 senatori repubblicani, però, 50 hanno votato a favore della legge, e i tre dissidenti non sono inquadrabili come fedelissimi di Musk, il quale ha motivato la sua opposizione con le preoccupazioni per il deficit degli Stati Uniti. È chiaro però che la posizione di Tesla lo preoccupi di più.Il magnate ha poi lanciato l’ipotesi di creare un proprio partito. Ancora ieri, con diversi post su X, Musk ha lanciato un sondaggio sull’opportunità di fondare un nuovo partito (per la cronaca, circa il 60% dei pareri è orientato al sì). Ma lo stesso Musk ha poi detto che potrebbe «concentrarsi solo su 2 o 3 seggi del Senato e su 8 o 10 distretti della Camera. Considerati i margini legislativi estremamente ridotti, questo sarebbe sufficiente per fungere da voto decisivo sulle leggi controverse, garantendo che esse servano la vera volontà del popolo».La soluzione «fai da te» tenta dunque anche il creatore di Tesla. Vedremo se saprà resistere alla tentazione.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 15 ottobre con Flaminia Camilletti