Passano le sanzioni sulle auto elettriche cinesi. La Commissione continuerà a negoziare fino al 30 ottobre, quando il testo verrà pubblicato. La spaccatura e il no della Germania rendono evidente la mancanza di una strategia per salvare il comparto.
Passano le sanzioni sulle auto elettriche cinesi. La Commissione continuerà a negoziare fino al 30 ottobre, quando il testo verrà pubblicato. La spaccatura e il no della Germania rendono evidente la mancanza di una strategia per salvare il comparto.Dazi alle auto cinesi sì, ma con l’effetto distorsivo di svelare la debolezza del Vecchio continente. E non quello di creare un muro di separazione tra strategie e tecnologie diverse. Per il semplice fatto che al momento l’Europa non ha tecnologie proprie né una strategia identitaria. A differenza di quanto fanno la Cina e gli Stati Uniti. Così la fase finale della partita a poker è aperta e l’Unione europea ieri ha giocato una carta di valore svilita però dal no della Germania e di altri quattro governi: ancora non sono noti i contenuti, ma entro il 30 ottobre la Commissione Ue pubblicherà sulla Gazzetta ufficiale l’ultimo atto per la conferma dei dazi sulle auto elettriche cinesi importate. Quindi ci sono tre settimane e mezzo per trovare un accordo che li eviti e il primo appuntamento è già noto: lunedì ci sarà un incontro a livello tecnico fissato prima del voto del comitato Ue di difesa commerciale avvenuto appunto ieri mattina. Scontate le reazioni a quanto avvenuto: Pechino accusa la Ue di «protezionismo irragionevole»; Berlino fa un appello per evitare una guerra commerciale, le case automobilistiche tedesche parlano di «segnale fatale» per il settore europeo e di «approccio sbagliato»; gli europei favorevoli e astenuti giurano di non voler alimentare una guerra commerciale con la Cina. Va ricordato, infatti, che la votazione degli Stati sulla proposta di conferma dei dazi anti Cina ha dato in un certo senso pari e patta: dieci governi a favore, cinque contrari, 12 astenuti. Pari e patta perché non c’è stata una maggioranza qualificata né a favore né contro il regolamento comunitario, di conseguenza Bruxelles può procedere e metterlo in atto. Siccome la procedura va chiusa entro il 30 ottobre, il tempo per negoziare c’è. A votare a favore Francia, Italia, Polonia, Olanda, Bulgaria, Danimarca, Irlanda, i tre Paesi baltici. Germania, Ungheria (no motivato anche politicamente dal premier Orban che parla di guerra fredda contro Pechino), Slovacchia Slovenia e Malta hanno votato contro. Gli altri astenuti. A questo punto, la Commissione europea spiega la sua tattica a doppio binario: la procedura per i dazi procederà e nello stesso tempo si intensificherà il negoziato. Veline diffuse da alti funzionari coinvolti nelle discussioni fanno sapere che un accordo è ancora possibile. Intanto i numeri. I dazi definitivi calcolati dalla Commissione europea sono per Byd al 17%, per Geely (secondo gruppo cinese, azionista di maggioranza di Volvo) in calo al 18,8%, al 35,3% per Saic (terzo gruppo, ha joint venture con Volkswagen e Gm). Calo anche per Tesla al 7,8% nei confronti della quale c’è stato un calcolo individuale. I produttori che hanno collaborato all’inchiesta europea saranno colpiti da un dazio del 20,7% (leggero calo rispetto al conto originario), per quelli che non hanno collaborato il dazio sarà del 35,3% (leggero calo). L’entità delle tariffe, previste per cinque anni, si aggiunge al dazio attuale del 10%. E l’Italia? «Roma si è espressa in linea con le analisi tecniche della Commissione tese a ripristinare condizioni di equità commerciale», ha commentato il ministro Adolfo Urso, aggiungendo: «Auspichiamo che il negoziato riprenda sia in bilaterale sia in sede di Wto per giungere, come sempre sostenuto, a una soluzione condivisa nel pieno rispetto delle regole internazionali. Noi siamo contrari a ogni ipotesi di guerra commerciale e lavoreremo insieme per evitarla». Il Mimit fa sapere che occorre preservare la partnership industriale e commerciale con la Cina «con cui vogliamo continuare a lavorare in una logica win-win basata sul principio della reciprocità anche ai fini della stabilità economica globale». D’altronde è in essere il tentativo di portare alcuni brand in Italia e garantirsi una fetta di produzione. Evidentemente per colmare i vuoti lasciati da Stellantis. Il Partito comunista cinese ha però ricordato in più occasioni ai vertici delle case produttrici che in alcune aree estere sensibili va applicata la logica dell’assemblaggio e non quella che consente la messa a terra dell’intera filiera produttiva. Cosa che cozzerebbe con le richieste dell’attuale governo che è convinto che i cinesi possano sostenere anche l’indotto nostrano. L’esperienza insegna cose diverse e quindi l’opzione Cina sarebbe da prendere con le pinze. Il che non significa che sia corretto avviare guerre commerciali. Il tema è un altro. Secondo noi sta nel recuperare una identità industriale che abbiamo perso. Sulla spinta violenta della transizione green voluta dai socialisti e impersonata negli anni da Frans Timmermans l’automotive Ue si è piegato alla strada dell’elettrico (anche grazie ai miliardi di sussidi) senza porsi il dubbio amletico della sopravvivenza. Quella strada si percorre con tecnologie altrui. Non nostre. Nulla che possa renderci primi e insostituibili. Qui è stato il grande errore. Adesso rimediare sarà difficile e costoso. Perché abbiamo perso quattro anni di innovazione tecnologica. Ma le strade ci sarebbero. Motori diesel evoluti che consumano un litro ogni 100 chilometri, idrogeno, biocarburante. Qualcosa che ridia all’industria europea l’identità perduta.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.