2024-10-10
Davis a Milano: il live che fece storia e lo sguardo killer diventato un cult Prima... ... e dopo
Miles Davis (Getty Images)
Festival meneghino al via. Proiettato domani, nel teatro dell’Arte in cui venne filmato 60 anni fa, il concerto del 1964 del «secondo quintetto» di Miles. Tavola rotonda d’eccezione con Linzi, Rava, Zenni e Kahn. La metropolitana non c’era, figuriamoci l’area B (o C), gli ultrà non esistevano e i boschi erano ancora orizzontali. Milano, 11 ottobre 1964. Sembra una domenica come tante, quando la storia del jazz decide di fare un salto al teatro dell’Arte. Forse il pubblico non sa cosa aspettarsi - quando la musica attacca, molti spettatori devono ancora prendere posto - ma l’organizzatore, il critico musicale Arrigo Polillo, è famoso per il suo intuito e fa registrare tutto alla Rai, dopo aver inserito le riprese in una clausola del contratto della band. Un colpo di genio che fissa per sempre sulla pellicola i primi passi del neonato «secondo quintetto» del trombettista Miles Davis, all’epoca trentottenne, che guida la sua compagnia in divisa: per tutti abito scuro, camicia bianca e papillon. Al pianoforte c’è Herbie Hancock (24 anni), una promessa già limpida che verrà mantenuta, mentre il contrabbasso è affidato alle mani giganti e scaltre di Ron Carter (27), magro come un maratoneta e quasi più alto del suo strumento (purtroppo, stiamo parlando degli unici due reduci). Alla batteria il «piccolo», sconvolgente, Tony Williams, 19 anni camuffati da un baffo improbabile. Mentre la new entry Wayne Shorter (31) al sassofono tenore, come si direbbe oggi, «sposta gli equilibri». Ai matematici non sarà sfuggito, ma domani saranno 60 anni esatti da quella serata e la rassegna Jazzmi si toglierà la soddisfazione di inaugurare l’edizione 2024 (dal 17 ottobre al 13 novembre) proiettando la performance nello stesso luogo in cui prese vita (prevista una tripletta per tutte le agende: ore 16, 18.30 e 21). In occasione di un anniversario così speciale i due direttori artistici, Luciano Linzi e Titti Santini, sono riusciti a realizzare un vecchio sogno e a mettere insieme una platea di esperti Docg per tre talk introduttivi: Luca Conti, direttore di Musica Jazz, i musicologi Ashley Kahn, Stefano Zenni e Luca Bragalini e i musicisti Enrico Rava, Enrico Intra, Claudio Fasoli, Erin Davis (figlio di Miles) e Vince Wilburn Jr. (sorpresa delle ultime ore: si collegherà anche il bassista Marcus Miller). Oltre a Roberto Polillo, figlio di Arrigo, scomparso nel 1984, e giovanissimo fotografo di quella giornata memorabile. Kahn, giornalista e scrittore newyorkese, firma di Downbeat e autore di un testo di riferimento sul capolavoro davisiano Kind of Blue, non ha dubbi: «Questa registrazione ci permette di rivivere una delle prime esibizioni della jazz band moderna più influente di tutti i tempi», spiega alla Verità. «E il fatto più sconvolgente è che è stata filmata quasi per caso. Solitamente la storia del jazz celebra leggende individuali. Eppure alcuni gruppi sono importanti come i singoli artisti. Penso alla Blanton-Webster band di Duke Ellington, al “quartetto classico” di John Coltrane, ai Weather Report e, soprattutto, a questo quintetto di Miles. Il suono che Davis, Shorter, Hancock, Carter e Williams riuscirono a creare e la libertà del loro approccio (che alcuni storici chiamano “free bop”) riecheggiano ancora oggi sui palchi della maggior parte dei festival e dei jazz club». Anche il musicologo Stefano Zenni concorda sull’importanza del documento: «Il filmato del 1964 ci testimonia una sorta di rodaggio del quintetto più longevo di Davis. Di lì a poco quella band comincerà a incidere una serie di capolavori (E.S.P., Miles Smiles, Sorcerer… ndr). E a rinnovare il repertorio che in quest’occasione, è ancora quello storico, anche se viene affrontato con un’audacia inedita. Emerge quindi una continuità con la tradizione di questa formazione e, al tempo stesso, un nuovo senso del rischio e dell’azzardo, offerto soprattutto da Shorter e Hancock e dalla chimica tra questi cinque musicisti, che si attiva in un modo completamente nuovo». Esperti e curiosi possono farsi una vaga idea di questo tesoro made in Milan con un clic su Youtube, dove esistono due video pirata (nell’originale bianco e nero o con i colori aggiunti). Ma è solo un assaggio, perché quella che si vedrà domani al Triennale Milano teatro è la versione inedita e restaurata. La scaletta del concerto prevede standard immortali come Autumn leaves, My funny Valentine, All of You, composizioni di Davis come All Blues e Joshua di Victor Feldman. A conferma di quanto faceva notare Zenni, è lo stesso repertorio documentato da due album live della vecchia formazione (My funny Valentine e Miles in Europe, registrato in Francia nel 1963), che vedeva George Coleman al sax.«Ero nel pubblico di quel concerto ad Antibes, che fu pazzesco», ha raccontato Enrico Rava nella prima puntata del podcast Non sparate sul pianista della Verità (bit.ly/47CBqg5). «E fu proprio Coleman l’unica delusione. Io e Gato Barbieri avevamo affrontato un viaggio infernale lungo tutta l’Aurelia per non mancare. Già durante il set George mi era sembrato routiniero rispetto agli altri. Alla fine andammo a chiedergli cosa si provasse a suonare in un gruppo così. Ci rispose “It’s just a gig”, è solo un lavoro... Da quel giorno, quando viene il suo turno, levo la puntina dal giradischi».D’altra parte, è proprio quando Shorter sale a bordo che la band svolta (tra lui e Coleman va ricordato anche il passaggio di Sam Rivers). Come spiegò tempo dopo il pianista Hancock: «Da quando Wayne si unì a noi, alcuni pezzi uscirono dalla scaletta perché iniziavano ad andarci stretti rispetto allo sviluppo della band». Nel frattempo il sassofonista di Newark sfornava brani come Dolores, Footprints o Masqualero, mostrando una nuova via. «Ogni sera era come stare in laboratorio», si legge nei ricordi di Carter. «Miles era il capo chimico e usciva con queste provette piene di liquido o polvere. Il nostro compito era prendere gli ingredienti che lui metteva sul tavolo».Dentro una grande libertà e una fiducia reciproca totale, nella quale ognuno era portato a non temere l’ignoto, qualcosa poteva andare storto. È talmente eloquente, in questo senso, lo sguardo killer che Davis rivolge ad Hancock durante la performance meneghina, che qualcuno ha pensato bene di trasformare quelle espressioni facciali in un meme per esprimere disappunto. Sarebbe però fuorviante ridurre il tutto a qualche «errore» o al noto caratterino del «Principe delle tenebre» (il Corsera dell’epoca ci informa che Davis minacciò Polillo di non salire sul palco perché, oltre alle telecamere, non aveva digerito la faccia tosta del cronista che si ritrovò in camerino). Hancock ha più volte raccontato che Miles poteva trasformare un accordo «sbagliato» al pianoforte in un suggerimento inaspettato che apriva altre strade. «In quelle occhiate», ipotizza Linzi, «si coglie l’immagine del laboratorio utilizzata da Carter. Il cantiere è aperto e Davis non corregge gli altri, ma continua a indicare la direzione».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.