2024-05-09
Per i data center le rinnovabili non bastano
Dal 2022 al 2026 avranno raddoppiato il consumo di elettricità, portandolo da 460 a 1.000 TWh, cioè ai livelli dell’intero Giappone. La fame di energia dell’intelligenza artificiale manterrà il gas insostituibile. E renderà ancora più irrealistici gli obiettivi green.In Bosch e Magneti Marelli operai in cassa integrazione per colpa dei veicoli a batteria.Lo speciale contiene due articoli. Scontro sulla frontiera dell’innovazione. L’intelligenza artificiale è arrivata anche qui a dividere il futuro. Sul crinale più avanzato della ricerca è giunto il momento delle scelte più difficili: tecnologia contro difesa dell’ambiente. Per i talebani del cambiamento climatico si annunciano giorni complicati. Secondo gli esperti, infatti, le energie alternative come sole e vento non saranno in grado di garantire una copertura adeguata di fronte alla crescente fame di energia generata dall’intelligenza artificiale. La sola strada percorribile al momento sono gli idrocarburi: gas prima di tutto e poi il petrolio. Cioè i combustibili fossili contro cui le armate ambientaliste di tutto il mondo si sono unite per la crociata globale. Sullo sfondo resta l’atomo che riesce a coniugare garanzia energetica con la tutela dell’ambiente. Sul nucleare, però, pesa il peccato originale essendo stato utilizzato per la prima volta come strumento di morte. La riconversione è difficile. «Lo sviluppo delle energie alternative dimostra che l’enfasi sulle energie rinnovabili come unica fonte di energia è fatalmente difettosa in termini di soddisfazione delle reali richieste del mercato», ha detto Richard Kinder, presidente esecutivo di Pipeline Operator. «Ciò significa che il gas naturale dovrà svolgere un ruolo importante per gli anni a venire». E valga il vero. Il consumo globale di energia dai data center, secondo S&P Global Commodity insights è stato di circa 460 TWh nel 2022 e potrebbe raddoppiare entro il 2026 fino a oltre 1.000 TWh, diventando approssimativamente uguale al consumo totale di elettricità del Giappone, seconda economia del G7. Il boom della domanda mette a rischio i servizi pubblici visto che l’offerta faticherebbe a seguire l’esplosione dei consumi. Senza un adeguamento degli impianti i rischi di blackout crescono. In queste condizioni affidarsi alle energie alternative è puro velleitarismo.Secondo l’analisi dei dati di 451 Research, che fa parte di S&P Global Market Intelligence, si prevede che la domanda di energia dai data center operativi nei mercati energetici statunitensi raggiungerà un totale di circa 30.694 MW una volta che tutte le piattaforme saranno operative. Le centrali elettriche di proprietà private forniranno 20.619 MW di tale capacità. Gli analisti citano il caso di Dominion Energy che serve il più grande mercato di data center del mondo nella contea di Loudoun, in Virginia, a circa 30 miglia a ovest di Washington. L’utility con sede a Richmond, in Virginia, ha sottolineato che la domanda di elettricità dai data center nello Stato è aumentata di circa il 500% dal 2013 al 2022. Dal 2019, oltre 80 data center con una capacità combinata di 3,5 GW si sono collegati al sistema energetico di Dominion, ha affermato l’utility in una presentazione all’operatore di rete del Medio Atlantico PJM Interconnection.La pressione sulla rete elettrica e gli impatti ambientali possono essere mitigati sviluppando capacità di generazione di energia rinnovabile in loco. Ad esempio, secondo il rapporto di S&P Global, il data center di Apple a Maiden, nella Carolina del Nord, è alimentato dal Maiden Solar Park, un progetto solare con 58 MW di capacità. Si tratta però di investimenti rilevanti che solo colossi come quello fondato da Steve Jobs possono permettersi. Inoltre, gli accordi di acquisto di energia svolgeranno un ruolo importante nel mitigare le sfide legate all’elevata domanda di energia, consentendo ai data center di bloccare il consumo di elettricità o i prezzi dell’energia, garantendo una domanda più stabile sulla rete, hanno affermato gli analisti. La proliferazione dell’intelligenza artificiale e dei data center potrebbe trasformare tutto il settore dei servizi di pubblica utilità, apportando opportunità e sfide, ha previsto Morningstar. Per le utility con data center nei loro territori di servizio, investire in modo significativo nello sviluppo di energia rinnovabile e nella modernizzazione della rete potrebbe fornire «miglioramenti operativi o finanziari», guidati da una maggiore efficienza e stabilità della rete insieme a maggiori entrate derivanti dall’aumento domanda di energia. Tuttavia, il mancato adattamento potrebbe comportare maggiori rischi operativi e potenziali perdite derivanti dalla congestione della rete. I toni del rapporto ovviamente sono ovviamente molto prudenti. Il senso però è evidente: la domanda di energia elettrica crescerà a ritmi esponenziali e sarebbe opportuno cominciare a investire in nuova capacità produttiva. Si può provare con sole e vento. Ma per garantire la sicurezza dei consumi serve altro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/data-center-rinnovabili-non-bastano-2668211971.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-solo-ilva-la-transizione-verde-fa-strage-dellindustria-pugliese" data-post-id="2668211971" data-published-at="1715270547" data-use-pagination="False"> Non solo Ilva, la transizione verde fa strage dell’industria pugliese C’è molto fermento attorno al piano di rilancio dell’Ilva di Taranto, ma in Puglia non c’è solo Ilva. La storia infinita della grande acciaieria non è la sola a preoccupare per gli impatti negativi sull’occupazione nella regione. È la transizione ecologica, e il passaggio all’auto elettrica in particolare, a porre una seria ipoteca sulle realtà industriali pugliesi legate al settore dell’automobile. Lo stabilimento Bosch di Modugno è il più grande insediamento industriale pugliese dopo l’Ilva, vi sono occupate 1.600 persone. L’azienda tedesca, però, è in crisi e lo stabilimento pugliese ne subisce le conseguenze. Del resto, su 450.000 dipendenti globali del gruppo, ben 220.000 lavorano nella componentistica per motori diesel, un mercato in forte calo (-9,1% in Europa nel 2023, con -26% in Spagna, -22% in Francia e -19% in Italia). A Modugno dunque la crisi non fa sconti: il 70% dei dipendenti dello stabilimento è toccato da provvedimenti di cassa integrazione, con una media di 10-12 giorni al mese di fermo. Degli 800 lavoratori addetti alle pompe per motori diesel lavorano solo in 200, mentre la linea di produzione di componenti per le biciclette elettriche, che avrebbe dovuto compensare la perdita delle produzioni legate ai motori diesel, fa lavorare solo 150 dei 300 operai nominalmente previsti. Ecco il paradosso di una riconversione zoppa: anche le parti produttive legate alla mobilità elettrica leggera sono colpite dalla cassa integrazione. La sostituzione di una produzione di massa per un mercato mondiale enorme come quello dei motori diesel con un prodotto di nicchia come la bici elettrica è già una dichiarazione di resa. «Quello della Commissione europea sullo stop ai motori endotermici è un gravissimo errore. Il motore diesel viene distrutto a colpi di regolamenti, il motore a benzina viene messo in grave crisi, ma intanto l’auto elettrica non si vende» afferma Riccardo Falcetta, segretario della Uilm Bari. «È stato leso il principio della neutralità tecnologica. La transizione così malgovernata sta portando solo ad un aumento degli ammortizzatori sociali. Tra multinazionali e indotto, se non si trova una soluzione, in Puglia sono a rischio 5.000 posti di lavoro. A parità di produzione, il rapporto tra addetti per il motore endotermico e quelli per il motore elettrico è di 10 lavoratori ad 1. Che ne sarà di tutti quei lavoratori legati alla componentistica diesel? Il governo si assuma le proprie responsabilità, la transizione non può essere pagata solo sulla pelle dei lavoratori», conclude Falcetta. In Puglia vi è anche il caso di Magneti Marelli (1.000 dipendenti con il 15% in cassa integrazione), ma il cambio imposto da Bruxelles verso l’auto elettrica, la concorrenza cinese e le condizioni di favore di alcuni Paesi stanno colpendo il tessuto industriale legato all’automobile anche in Germania, tra delocalizzazioni e chiusure pesanti. La fabbrica Continental di Gifhorn (900 dipendenti), specializzata nella produzione di componenti per sistemi frenanti, stabilità e telaio, sarà chiusa entro il 2027. Lo stabilimento Marelli di Brotterode in Turingia ha chiuso ad aprile lasciando a casa 800 dipendenti, ma l’impatto è su oltre 4.000 lavoratori dell’indotto. ZF Friedrichshafen, il terzo maggior produttore di componentistica auto al mondo, chiuderà entro quest’anno lo stabilimento di Gelsenkirchen (200 dipendenti, ma nel 2019 erano 500), mentre la chiusura dello stabilimento di Eitorf (500 lavoratori) dovrebbe essere annunciata a breve. Seguono poi Fehrer, Otto Fuchs, Magna, Lear, Stabilus, Joyson, Recall, Waldaschaff, tutte grandi aziende del settore automotive tedesco che hanno annunciato ridimensionamenti, delocalizzazioni, chiusure degli stabilimenti in Germania e licenziamenti a migliaia. Tra il 2018 e il 2022 il numero dei dipendenti delle forniture automobilistiche è già sceso da 311.000 a 274.000. Se lo scopo dell’auto elettrica è contribuire alla decarbonizzazione, chi impone questi obiettivi deve anche spiegare come raggiungerli senza gettare sul lastrico interi Paesi.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.