I Comuni piangono miseria, ma nel frattempo aumentano la Tari, una delle tasse più impopolari. Gli aumenti maggiori sono al Sud, dove le amministrazioni locali non brillano certo per efficienza. Vediamo i dati. Secondo il più recente report Ispra-Utilitalia, nel 2022 è calata dell’1,8% la produzione di rifiuti urbani rispetto 2021, mentre la raccolta differenziata ha superato il 65%. Contemporaneamente però, uno studio Uil evidenzia che la spesa media destinata alla tassa sui rifiuti (Tari) ha subito un notevole incremento dal 2018 al 2023, pari al 9,69%. E solo per il 2023, l’aumento è stato dell’1,66% rispetto all’anno precedente. In particolare, tra il 2022 e il 2023, ben 51 città capoluoghi di provincia su 109 hanno registrato una crescita della tassa. In termini assoluti, una famiglia di quattro persone, residente in un’abitazione di 80 mq e con reddito Isee pari a 25.000 euro, ha pagato, in media, 331 euro per la tassa sui rifiuti nel 2023, rispetto ai 302 euro versati nel 2018. Questo aumento è stato più evidente nelle Regioni meridionali, dove la spesa media è salita a 395 euro, rispetto ai 363 euro del 2018. Nel Nord Est, invece, l’importo medio è passato da 248 euro nel 2018 a 272 euro nel 2023, sottolinea lo studio della Uil, che ha analizzato i costi della Tari sulla base delle Delibere pubblicate nel 2023. Non è stato possibile includere le previsioni per il 2024, poiché molti Comuni non hanno ancora pubblicato le nuove tariffe.
La scadenza per la pubblicazione, originariamente fissata al 30 aprile, è stata prorogata al 30 giugno, rendendo disponibili solo i dati fino al 2023. Pisa detiene il primato del costo maggiore, con una media annuale di 545 euro per famiglia. Seguono Brindisi con 518 euro, Genova con 508 euro, Latina con 495 euro, Napoli con 495 euro, Pistoia con 492 euro, Catania con 475 euro, Trapani con 472 euro, Messina con 470 euro e Taranto con 469 euro.
Invece a Belluno, nel 2023 le famiglie hanno pagato decisamente meno, con una spesa media annua di 178 euro, confermandosi così come la città più virtuosa in assoluto. Seguono Novara con 183 euro, Pordenone con 186 euro e Brescia con 187 euro. Anche Ascoli Piceno ha una spesa media di 187 euro, mentre Reggio Calabria si posiziona a 453 euro. A Palermo, la tassa è di 323 euro, mentre a Roma è leggermente inferiore, pari a 314 euro. Milano registra una tassa di 306 euro, mentre Bologna si distingue per avere la tassa sui rifiuti più bassa tra le grandi città con 228 euro.
La Uil ha anche analizzato l’impatto sul potere d’acquisto. La Tari, infatti, «incide in modo sproporzionato. Questo dato emerge chiaramente dalla nostra simulazione, che ha utilizzato i dati dell’indagine Condizioni di vita e reddito delle famiglie, condotta dall’Istat, incrociandoli con le Delibere comunali relative alla tassa sui rifiuti. Attraverso questa analisi, è stato possibile calcolare la percentuale del reddito familiare destinata al pagamento della Tari», sottolinea la Uil nel suo studio. La simulazione evidenzia una disparità significativa nell’impatto della tassa sui rifiuti tra i nuclei familiari del Sud e Isole e quelli del Nord Est per l’anno 2022.
Secondo i dati, i nuclei familiari situati nel Sud e Isole hanno destinato circa l’1,34% del proprio reddito al pagamento della tassa sui rifiuti. In confronto, i nuclei familiari più ricchi del Nord Est hanno destinato solo lo 0,64% del loro reddito a questa tassa.
Alessandro Benetton si prepara a mettere da parte i maglioncini di famiglia riducendoli di taglia e di importanza. Non è da escludere che in futuro potrebbe anche abbandonarli o vendendoli o passando ad altri la gestione come ha fatto con Autogrill. Contemporaneamente, con la sua finanziaria 21 Invest, punta 500 milioni sulle attività farmaceutiche. Sono le ultime novità all’interno della dinastia trevigiana che misurano sempre più da vicino la divaricazione d’interessi fra i diversi rami della famiglia. Per oggi, infatti, è prevista la riunione del consiglio d’amministrazione del gruppo tessile che dovrà approvare i risultati finanziari in vista dell’assemblea del 18 giugno. In quell’occasione verrà anche rinnovato il consiglio d’amministrazione con l’uscita del presidente Luciano Benetton e dell’amministratore delegato Massimo Renon. A entrambi viene attribuita la responsabilità del dissesto che ha rischiato di travolgere l’azienda dei maglioncini colorati. Edizione holding, la cassaforte di famiglia, interverrà con una iniezione piuttosto consistente di denaro, Si tratta di 260 milioni che serviranno a tappare il buco. Verrà anche nominato il nuovo amministratore delegato. Un nome di alto profilo con esperienza di finanza, secondo l’identikit che filtra in attesa di conoscerne l’identità. Da quello che si capisce il suo incarico sarà principalmente quello di ridimensionare le attività della moda e magari trovare qualche forma di vendita mascherata come hanno fatto gli stessi Benetton con Autogrill oppure gli Agnelli con Fiat. Difficile, infatti, pensare a un nuovo piano di rilancio considerando il fallimento di tutti i tentativi finora effettuati. Negli ultimi dieci anni l’azienda della moda ha perso circa 1 miliardo e, a questo punto, è difficile pensare che verrà tentato un nuovo recupero. L’ultimo sforzo era stato fatto richiamando in servizio Luciano che, pur essendo ultra ottantenne, si era messo a lavoro. Il suo fallimento apre la strada a una pesante ristrutturazione che ridurrà il perimetro dell’impresa. I maglioncini, che già oggi rappresentano una realtà residuale nelle attività della dinastia (1 miliardo di fatturato pari al 2% del giro d’affari complessivo) si restringeranno ancora fino a diventare polvere colorata.
Nel frattempo Alessandro, con 21 Invest, la sua finanziaria personale, punta sulla sanità. Ieri infatti ha annunciato l’alleanza con il fondo inglese Oakley nel campo della consulenza farmaceutica. La finanziaria di Alessandro Benetton venderà la società francese Productlife group (Plg) e successivamente reinvestirà nel gruppo, dando vita a una multinazionale nel settore della cura della salute . Si tratta, spiega una nota, di un’operazione da 500 milioni di euro che prevede un reinvestimento al seguito del quale Plg sarà controllata congiuntamente da Oakley capital e 21 Invest, insieme con altri importanti investitori.
«Plg rappresenta un’altra storia di successo nel portafoglio di 21 Invest», commenta Alessandro Benetton, «che riflette le competenze e i valori europei del nostro team. Questa operazione testimonia il nostro impegno nel far crescere le aziende in cui investiamo, trovando soluzioni innovative per continuare a supportarne il percorso di crescita. La partnership che abbiamo instaurato nel 2019 non solo è basata su un orizzonte di lungo periodo, ma oggi si allarga ad altri importanti investitori internazionali. Siamo presenti e investiamo nel mercato francese da più di 25 anni e sono orgoglioso dei risultati raggiunti dal team francese di 21 Invest».
Dopo averla idolatrata, soprattutto ai tempi di Mario Draghi ora non risparmiano le critiche per la lentezza con cui si sta muovendo sui tassi.
«Le attuali politiche monetarie stanno utilizzando strategie sbagliate per gestire l’aumento dell’inflazione». A parlare Lucio Poma, in una conferenza organizzata da Cribis (banca dati che controlla pagamenti e morosità). Lucio Poma insegna Economia Applicata all'Università degli Studi di Ferrara ma soprattutto è capo economista di Nomisma la società di consulenza fondata nel 1981 da un gruppo di professori bolognesi fra cui spicca il nome del professor Romano Prodi allora poco più che quarantenne. L’ex premier, che già nel 1978 era ministro, ha sempre avuto un peso nelle scelte della società di con sulenza di cui è stato anche responsabile del comitato scientifico. «L’Italia -dice Poma- è stata una delle economie che è cresciuta maggiormente in questi anni, soprattutto tra il biennio 21/23, con una crescita maggiore anche della Cina, degli Stati Uniti e della Media UE, mentre prima del Covid eravamo uno dei fanali di coda dell’Unione Europea. Questo dato è estremamente rilevante, soprattutto se lo contestualizziamo in un periodo di grande incertezza economica, come quello che stiamo vivendo, caratterizzato da una brusca crescita dei prezzi dell’energia. Un dato che spiega questa crescita è il livello di inflazione in Italia, quasi vicina alle zero». Tuttavia. «È chiaramente visibile che aumentare i tassi di interesse non fa diminuire i prezzi per i consumatori, e questo perché il consumatore è cambiato e le famiglie italiane non sono più disposte a ridurre le proprie spese, vanno invece a erodere i propri risparmi e aumentare il credito a consumo. Il mondo è cambiato e gli strumenti per combattere l’inflazione vanno cambiati. Le banche centrali analizzano solamente il tasso di interesse, dimenticando altri fattori importanti, e se continuano a mantenere costante il tasso di interesse, perché vi è molta incertezza, si continuerà a lavorare solo sulle aspettative, e questo renderà difficile per tutti, per le imprese, per le economie, per le banche avere uno scenario chiaro e tutti continueremo a navigare a vista. Le imprese che oggi stanno andando meglio sono quelle che stanno anticipando il mondo che sta cambiando».




