2020-07-01
Dalla legge sull’omofobia spariscono ritiro del passaporto e coprifuoco
Ieri ostruzionismo della Lega in commissione: il deposito del testo slitta di ore. Saltano le pene accessorie Istituita il 17 maggio la giornata contro la discriminazione, con incontri sul gender anche nelle scuole.Alla fine il ddl Zan è stato depositato. Il testo base contro l'omotransfobia e la misoginia conferma le peggiori aspettative, si tratta di una legge liberticida. Con le modifiche del codice penale che vengono richieste, si mettono sullo stesso piano la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, previsti e puniti dalla legge Mancino, e la discriminazione per motivi «fondati sul genere, sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere». Confermate le pene da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni di galera per chi dissente dal pensiero unico. Rimane la beffa per chi è condannato, magari perché ha detto che due uomini non possono servirsi dell'utero in affitto per illudersi di diventare dei genitori, della «sospensione condizionale della pena» che può «essere subordinata alla prestazione di un'attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità». Rischiamo di dover lavorare a favore di un'associazione Lgbt, se non ne parliamo bene. Spariscono le pene accessorie come la privazione del passaporto o l'obbligo del coprifuoco per rientrare in casa, resta vergognosamente elevata la somma stanziata di 4 milioni di euro «al fine di finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere e per il sostegno delle vittime». Commenta Simone Pillon, senatore della Lega: «Servirà per finanziare la propaganda Lgbt nelle scuole e nelle amministrazioni pubbliche. È vergognoso che in tempo di pandemia, con le famiglie e le imprese alla fame, si minacci la libertà di pensiero e si trovino soldi per finanziare i capricci di pochi. Non la faremo passare». Viene anche istituita la Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. La data dovrebbe essere ogni 17 maggio e nell'occasione «sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado». Si parlerà di gender, di cambio di sesso senza problemi nelle aule scolastiche e non potremo obiettare. Ieri, per il lungo intervento di Alessandro Pagano e di altri deputati della Lega in commissione Giustizia, era saltata l'attesa conferenza stampa del Pd di presentazione del ddl. Dovevano essere in parecchi: oltre al relatore del provvedimento, Alessandro Zan assieme ad altri due parlamentari del Pd, Laura Boldrini, Ivan Scalfarotto e ai deputati Mario Perantoni del M5s e Giusi Bartolozzi di Forza Italia, tutti firmatari dei disegni di legge poi confluiti nel testo base. Era preannunciata la presenza di Luisa Rizzitelli, presidente di Rebel network (che si definisce Rete femminista per i diritti). Non poteva mancare Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay e direttore di Gaynews. Altre femministe, quelle di Se non ora quando -Libere, pochi giorni fa avevano mandato una lettera ai firmatari della proposta di legge. Esprimevano una «forte preoccupazione» perché i crimini di odio venivano estesi «anche alla cosiddetta “identità di genere". Con questa espressione si sostituisce l'identità basata sul sesso con un'identità basata sul genere dichiarato. Attraverso “l'identità di genere" la realtà dei corpi - in particolare quella dei corpi femminili- viene dissolta». L'associazione citava diversi episodi accaduti all'estero e in Italia di intolleranze e minacce da parte di Lgbt nei confronti delle donne e concludeva invitando gli onorevoli a «dedicare alla questione una più approfondita riflessione». Ieri, il periodico d'informazione Lgbt diretto da Grillini pubblicava un'intervista alla filosofa Michela Marzano, editorialista della Stampa ed ex deputata del Pd. La Marzano si è detta «contentissima che si sia cercato di mettere insieme le tre P: punire, proteggere, prevenire» e ha dichiarato che «l'atto linguistico è un atto di violenza».L'aria che si respira in questi giorni è particolarmente ostile per chi non è alleato al pensiero Lgbt. Ieri la solita Michela Murgia interveniva in difesa della perfomer Silvia Calderoni alias Volavespa e dei sui poster «body positive», definiti osceni e di pessimo gusto sui social. Twittava: «Il corpo di Volavespa è arte politica e fa il suo dovere: destabilizza i perbenisti». Per chi non abita a Bologna e non è costretto a vedere le opere definite di street art all'interno del progetto «La lotta è fica» del collettivo Cheap, che hanno invaso i portici di via Indipendenza assieme ai «capolavori» della Calderoni, spieghiamo che sono poster che ritraggono trans con lunghe fila di capezzoli, genitali esposti e altre oscenità fatte passare per «arte pubblica». Molti hanno protestato, indignati per i soggetti scelti e fatti passare come frutto «della necessità di elaborare strumenti di decolonizzazione, di rappresentare corpi che orgogliosamente esulano dalla bianchezza o dall'eteronormatività o dalla visione binaria del genere». Ancora poche settimane e non si potrà dire più nulla.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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