2022-09-25
Così D’Alema ha spinto i suoi broker a trattare con l’ente del ministero
Non solo Leonardo e Fincantieri: l’ex premier tentò di accreditare Emanuele Caruso e Francesco Amato anche alla corte del fedelissimo Nicola Latorre, dg dell’Agenzia industrie difesa. Quest’ultimo conferma alla «Verità»: «Volevano vedermi, poi l’incontro è saltato all’ultimo».Questo articolo ritorna, con particolari inediti, sull’incredibile storia della trattativa per vendere armamenti alla Colombia. Il protagonista, come è noto, è l’immarcescibile ex primo ministro con l’elmetto Massimo D’Alema, il premier dei bombardamenti su Belgrado, precursore del Mario Draghi con gli anfibi. Un politico in continua evoluzione e oggi, per molti, spin doctor del Giuseppe Conte in versione descamisado. Ma prima di svelare i nuovi retroscena del Max in mimetica conviene fare un piccolo ripasso sui rapporti tra la sinistra e il mondo militare. Le istituzioni della Difesa sono state per anni occupate da quelli che un tempo si definivano compagni. Infatti due degli ultimi tre ministri sono targati Pd: trattasi di Roberta Pinotti e Lorenzo Guerini (ancora in carica). L’Agenzia industrie difesa è diretta dall’ex senatore dalemiano Nicola Latorre, mentre la società Difesa servizi Spa è guidata da Fausto Recchia, ex deputato, ovviamente dem. Quest’ultimo, secondo il sito Sassate, avrebbe pronto un bell’incarico lautamente retribuito all’ufficio relazioni istituzionali di Fincantieri. Anche le fondazioni collegate alla principale partecipata operante nel settore della tecnologia militare, Leonardo, sono guidate da ex Pd: Marco Minniti è presidente di Med-Or, Luciano Violante di Leonardo-Civiltà delle macchine.Un tempo i comunisti manifestavano contro le guerre, adesso gli ex comunisti occupano i posti più ghiotti dell’amministrazione e dell’industria militare. Su questi arsenali svolazza D’Alema, il quale, come abbiamo già rivelato a febbraio, aveva cercato, grazie ai suoi rapporti personali con i manager di punta di Leonardo e Fincantieri (Alessandro Profumo e Giuseppe Giordo), di chiudere una fornitura di mezzi bellici all’esercito della Colombia del valore di 4 miliardi di euro. Ovviamente in cambio della promessa di una ghiotta percentuale. In un audio, pubblicato dalla Verità, aveva esclamato mentre trattava con un ex paramilitare colombiano: «Siamo convinti che riceveremo tutti noi 80 milioni di euro. Questa è la posta in gioco. Non appena avremo questi contratti divideremo tutto». E in un messaggio, mettendo fretta agli interlocutori, precisava: «Le fee prima di dividerle bisogna prenderle». Della partita facevano parte anche due broker pugliesi, Emanuele Caruso e Francesco Amato, ingaggiati come intermediari con Bogotà.Ma sui giornali l’ex presidente del Copasir aveva sempre sfumato il suo rapporto con la coppia. In un’intervista disse: «Si è presentato da me un imprenditore salentino che conoscevo da anni, Giancarlo Mazzotta. Mi dice che conosce due consiglieri del ministero degli Esteri di Bogotà che potevano dare una mano a promuovere attività italiane in Colombia». E in un’altra aveva aggiunto: «Siccome vengono tutti descritti come miei emissari, ricordo che i due protagonisti erano consiglieri del ministero degli Esteri della Colombia». In realtà sulla nomina a consiglieri di Caruso e Amato da tempo indaga la Procura di Napoli perché il documento sarebbe una clamorosa patacca e i due broker non avrebbero ricevuto alcun incarico ufficiale dalla Cancilleria sudamericana. Ma D’Alema non solo avrebbe introdotto i presunti falsari dentro a Leonardo e Fincantieri, ma addirittura dentro all’Agenzia industrie difesa che, si legge sul sito, è un «ente di diritto pubblico vigilato dal ministro della Difesa» ed «è stata costituita nel 2001, per gestire con approccio industriale e commerciale e condurre al pareggio di bilancio le unità produttive ad essa affidate».I contatti con l’ex presidente del Consiglio sono stati tenuti prevalentemente da Caruso, aspirante brasseur d’affaires dalle alterne fortune. A fine novembre 2021 i due broker avevano incontrato D’Alema a Roma insieme con Mazzotta e avevano affrontato la questione del loro accreditamento con l’Aid. Il 9 dicembre sulla chat criptata Signal l’ex premier scrive: «Cosa devo dire a Latorre?». Caruso replica: «Abbiamo mandato al suo ufficio la nomina di consiglieri del ministero degli Affari esteri di Colombia per strutturare una collaborazione per quanto attiene la promozione di Agenzia Difesa Italia in Sud America. Avendo visto un link sul sito dell’agenzia che ricercava questo tipo di relazione. Grazie di vero cuore». D’Alema risponde con un laconico «ok». Dopo quattro ore l’ex ministro degli Esteri invia l’indirizzo di posta elettronica del direttore generale dell’Aid, Latorre, e chiosa: «Attende una vostra mail di presentazione e di richiesta di incontro. Quando potete sentiamoci». Caruso va in brodo di giuggiole: «Perfetto presidente. Un ringraziamento incommensurabile». Successivamente l’intermediario invia a D’Alema una bozza della missiva, indirizzata allo «Stimatissimo senatore Latorre». Baffino, dopo averla letta, la approva: «La lettera va bene». Quattro giorni dopo il politico-lobbista ritira fuori l’argomento: «Latorre sostiene di non aver ricevuto email. Riprovate […] comunque Latorre controllerà gli spam. Ma voi riprovate».A quanto risulta alla Verità, alla fine, la segreteria di Latorre si farà viva proponendo di aggiornarsi a dopo le festività natalizie. Ma l’incontro, forse anche a causa dell’esplosione del Colombia-gate sui media, non si terrà più. Approfondiamo i motivi con Latorre. «La mail è arrivata e non ha mai avuto un seguito» ci spiega l’ex senatore. Quindi ci conferma che un carabiniere rinviò l’appuntamento a dopo Capodanno, con data da definire. Che cosa disse l’ex premier sui broker? «Soltanto che queste due persone avevano voglia di incontrarmi e null’altro che questo. E io replicai: “Fammi mandare una mail, non ci sono problemi”. Naturalmente come ha verificato, diciamo (intercalare tipicamente dalemiano, ndr), essendo io uno che svolge una funzione che ha una certa delicatezza, non ricevo persone perché mi mandano delle mail». Ma dopo aver letto tutto quello che era accaduto a Bogotà e dintorni non si è un po’ lamentato con D’Alema per le persone che aveva provato a far collaborare con l’Aid? «No», taglia corto Latorre. Che racconta di non aver più affrontato la questione con D’Alema. Allora chiediamo da quanto non lo senta più. «Da un bel po’ eh, non lo sento davvero da tanto» ci fa sapere il dg. Quando gli facciamo notare che D’Alema non deve essere particolarmente attento all’esame dei curriculum delle persone che poi manda in giro, Latorre tira un lungo sospiro: «Non mi faccia aggiungere altro». Il botta e risposta si intensifica. Vuole prendere le distanze? «No, no, no assolutamente. No, nessuna presa di distanza. Diciamo può capitare che ti chiedano di incontrare una persona, ma io, come lei può immaginare, prima di farlo cerco di capire se abbia un senso». Quindi lei i controlli li ha fatti? «No, non controllo, però, non è che il primo che mi manda una mail e mi chiede di incontrarmi… credo di avere un ruolo di una certa… io interpreto questo ruolo… uhm… ehm… non devo dirlo a lei». Ma per decidere di non dar loro udienza, magari ha fatto una valutazione e ha controllato chi fossero? Breve pausa di silenzio. «No, non ho controllato chi fossero, no, no, no, no, no. Capita spessissimo che mi chiedano di incontrare delle persone e io dico sempre sì perché sono una persona educata. Poi incontro solo quelle che è opportuno incontrare… non è che io… non faccio il commerciante, diciamo». Però in questo caso a chiederlo era D’Alema, non un passante. «Sì, non un passante. Ci mancherebbe altro», rincula Latorre. E quindi per non riceverli avrà fatto qualche valutazione? «[…] Avendo un ruolo di un certo tipo è chiaro che se mi chiama l’ambasciatore del Paese X che mi chiede se possa incontrare il dottor Y, io contatto i miei superiori, in particolare le autorità delegate che interloquiscono con me e dico: “Mi ha chiamato l’ambasciatore, lo posso incontrare?”. Non è che io… io non sono un’azienda privata… me lo può anche chiedere mia moglie, non è che cambia. Siamo di quella scuola dottore». Glielo richiedo: come ha evitato la trappola (Latorre ride)? «Diciamo così... casualmente». Se i broker fossero entrati all’Aid forse per lei sarebbe stato un problema… «Nella mia agenzia entrano soltanto persone che hanno un ruolo istituzionale ampiamente certificato». Quindi qualche controllo è stato fatto? «Ma non c’era bisogno di farne…. se io ricevo una mail da qualunque parte provenga, chiunque sia che la segnali, resta là». Però la risposta del brigadiere fu che dopo le vacanze ci sarebbe stata la possibilità di vederla («Sì sì» fa da sottofondo Latorre mentre formuliamo la domanda). Allora perché alla fine non li ha incontrati? «Non li ho incontrati…» ci fa eco Latorre. Che conclude: «Devo dire che non è che D’Alema abbia insistito, non mi ha più richiamato. Non l’ho più sentito onestamente. Tutto qui». Alla lunga e un po’ evasiva versione di Latorre replica dall’altra parte dell’Oceano, dove si trova per lavoro, uno dei due broker, Amato: «La verità è che a gennaio siamo stati in Colombia e poi è esploso il caso sui giornali. Altrimenti ci saremmo visti. Glielo assicuro».
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