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2019-12-05
Dal Vaticano arriva lo stop alla beatificazione di Sheen, il pastore di anime della tv
Gettyimages
Era tutto pronto per la beatificazione del vescovo statunitense Fulton Sheen (1895-1979), programmata nella diocesi di Peoria, nello stato di Illinois, per il giorno 21 dicembre. Le carte erano in regola, da quando lo scorso 5 luglio papa Francesco ha autorizzato la congregazione delle Cause dei santi a promulgare i decreti riguardanti il miracolo attribuito alla sua intercessione.
Ma ora qualcuno ha messo i bastoni tra le ruote e il 3 dicembre monsignor Daniel Jenky, vescovo di Peoria, «con profondo rammarico», ha annunciato che dal Vaticano è arrivato uno stop. La beatificazione programmata per il prossimo 21 dicembre non s'ha da fare ed è rinviata a data da destinarsi.
Le reazioni negli Stati Uniti (e non solo) sono state enormi: disappunto; speculazioni su vescovi che non vogliono Sheen beato perché troppo tradizionalista; confronto con altre beatificazioni contrariate in patria e comunque portate a termine (ad esempio il vescovo argentino Enrique Angelelli); illazioni sulla condotta dello stesso Sheen per casi di abuso. Perché il quasi beato Sheen è popolarissimo e amatissimo, qualcuno ha contato le conversioni a lui attribuite nell'ordine delle decine di migliaia. Il Time lo ha definito «il primo televangelista»; ha vinto un Emmy nel 1952. Nel 1930, invitato dall'emittente radiofonica statunitense Nbc, Sheen partecipa ogni domenica ad un programma intitolato L'ora cattolica. Nel 1950 approda in televisione. La sua missione di telepredicatore, termine assolutamente riduttivo per definirlo, comincia con il programma della Nbc Vale la pena di vivere. Rivolgendosi ai telespettatori, oltre 30 milioni ogni settimana, ricorda che l'unica soluzione di tutti i problemi è Gesù Cristo.
La sua causa di beatificazione aveva già subito uno stop. Nel 2014 sembrava tutto pronto, poi il cardinale Timoty Dolon, arcivescovo di New York, aveva impedito il trasporto a Peoria del corpo di Sheen che riposa nella cattedrale di St. Patrick a Manhattan. Un rifiuto che il vescovo di Peoria Jenky aveva definito del tutto inaspettato, ed è lo stesso Jenky che ora dichiara il suo rammarico di fronte al nuovo stop visto che la «Santa Sede ha deciso di rinviare la data della beatificazione, su richiesta di alcuni membri della Conferenza episcopale che hanno chiesto ulteriori approfondimenti».
Nel comunicato rilasciato dalla diocesi di Peoria si precisa che «nel nostro clima attuale, è importante che i fedeli sappiano che non c'è mai stata, né esiste ora alcuna accusa contro Sheen che implichi l'abuso di un minore». Una fonte citata dal Catholic news agency ha escluso che questo stop sia dovuto a una vecchia causa del 2007 in cui si sosteneva che il vescovo Sheen, all'epoca in cui era ausiliario della diocesi di New York (1951 - 1966), era stato coinvolto in casi di abuso. La causa, che si riferisce a una serie di casi che tirano in ballo molti prelati, fu intentata dal sacerdote Robert Hoatson, ora ridotto allo stato laicale e presentata sia a livello federale che statale, ma sempre respinta.
Il vescovo Jenkin dichiara in modo chiaro che «è stato definitivamente dimostrato che [Sheen,ndr] era un modello esemplare di condotta cristiana e un modello di leadership nella Chiesa. La sua vita di virtù non è mai stata messa in discussione in nessun momento». Eppure, la causa è stata rimandata perché, a quanto pare, qualche vescovo americano non ci sta. Questa frenata a pochi giorni dalla cerimonia è un fatto inusuale nella storia della Chiesa cattolica e qualcuno vocifera che la richiesta di approfondimenti sia dovuta al sentire di alcuni vescovi statunitensi, particolarmente allergici alla ortodossia e alla vicinanza alla tradizione del vescovo Sheen. La beatificazione resta così al palo e in attesa di capire meglio quali siano gli «ulteriori approfondimenti richiesti» qualcuno ricorda il ritratto dell'Anticristo disegnato da Sheen in una celebre trasmissione radiofonica del 1947. «Scriverà libri sulla nuova idea di Dio per adattarla al modo in cui le persone vivono», diceva Sheen. «Identificherà la tolleranza con l'indifferenza verso il bene e il male» e «parlerà perfino di Cristo e dirà che è stato il più grande uomo che sia mai vissuto». Saranno giorni, concludeva il vescovo, «in cui al diavolo è stata data una corda particolarmente lunga». Chissà, forse è per colpa di questa corda troppo lunga che il suo processo di beatificazione è stato fermato.
Lorenzo Bertocchi
Dea pagana benedetta ad Albenga. Scoppia un nuovo caso Pachamama
Nella ridente cittadina ligure di Albenga, precisamente in Piazza Azzurri d'Italia, è stato inaugurato un monumento dedicato alla storia dell'agricoltura. Si tratta di una statua realizzata dagli studenti di due classi dell'Istituto di scenografia del Liceo Artistico Giordano Bruno e donata dal Rotary Club e dall'associazione Vecchia Albenga. L'opera rappresenta una Mater Matuta. Chi non avesse dimestichezza con la mitologia romana, deve sapere che questo era il nome della dea del Mattino o dell'Aurora, protettrice della nascita degli uomini e della natura, successivamente associata alla dea greca Eos. Il Comune di Albenga ha giustificato l'erezione di una statua in onore di tale dea pagana spiegando che essa rappresenta in realtà una «Grande Madre», una divinità femminile primordiale, che si concretizza in forme molto diverse in una vasta gamma di culture. Insomma, una sorta di Pachamama locale. Il solito simbolo della Madre Terra, della Naturadi Gaia, del Creato, che si sposerebbe perfettamente con la storia dell'agricoltura cui era davvero dedicato il monumento.
Fin qui nulla da eccepire. Il fatto è che la statua della divinità pagana è stata benedetta nientemeno che dal Vicario Generale della Diocesi di Albenga-Imperia, monsignor Ivo Raimondo, Canonico del Capitolo della Cattedrale. I soliti cattolici bigotti e tradizionalisti che si sono permessi di sollevare qualche perplessità al riguardo della singolare «benedizione» sono stati subito redarguiti per aver insinuato che l'iniziativa avesse il vago sentore di un atto di idolatria. È stato loro spiegato che non si è trattato di benedire un idolo, ma il simbolo della presenza divina nella natura riconosciuta da tutte culture in tutte le epoche. Una spiegazione che ricorda un po' la replica, pubblicata dall'Osservatore Romano lo scorso 12 novembre, di monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, Vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas, e diretta a coloro che avevano criticato lo strato «rito» celebrato nei giardini vaticani in onore della divinità inca Pachamama. «La creazione è manifestazione dell'amore di Dio», aveva spiegato il monsignore sul quotidiano della Santa sede.
Purtroppo, però, l'azzardato tentativo di sfuggire all'accusa di idolatria fa cadere i presunti idolatri in un'altra eresia: quella panteista. L'episodio di Albenga è sintomatico da questo punto di vista, e rispecchia pienamente la deriva di una consistente parte del clero, ormai in preda ad una vera e propria febbre da panteismo ecologista. Sono cardinali, vescovi e sacerdoti che amano apparire «à la page», più lungimiranti dei confratelli, più bergogliani di Bergoglio. Per questo arrivano addirittura a sostituire la Santissima Mater Dei con false matres» pagane, tributando a quest'ultime atti di devozione come l'inchino o la benedizione. Atti che non rappresentano proprio un gesto di rispetto alla memoria dei tanti martiri che, agli inizi del cristianesimo, hanno accettato la morte pur di evitare di rendere omaggio a simulacri pagani.
Proprio Benedetto XVI, tuttora in vita, è intervenuto su tale tema nella sua nota enciclica Caritas in Veritate (2009): «La natura è a nostra disposizione non come “un mucchio di rifiuti sparsi a caso", bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l'uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per «custodirla e coltivarla» (Gn 2, 15). Ma bisogna anche sottolineare che è contrario al vero sviluppo considerare la natura più importante della stessa persona umana. Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l'uomo» (C.V. n.48). Così sentenziava Benedetto XVI quando la Chiesa parlava ancora della salvezza dell'anima e non si limitava a fare generici e fumosi discorsi a sfondo ecologista.
In una vecchia edizione del 1908 della nota rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica ho ritrovato un articolo di un'attualità sconcertante, intitolato «Il modernismo teologico e il suo sistema di conciliazione». La conclusione di quell'articolo era che «il teologo modernista si avvia a precipizio verso il panteismo e l'ateismo, perché il panteismo altro non è che ateismo larvato». Quando i gesuiti erano tenaci e strenui difensori della Fede.
Gianfranco Amato
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Definito dal «Time» «il primo televangelista», al vescovo Usa Fulton Sheen erano state attribuite migliaia di conversioni. A fermare il processo le pressioni dei vescovi più progressisti.Il vicario locale presente all'inaugurazione della statua di un «idolo primordiale».Lo speciale contiene due articoliEra tutto pronto per la beatificazione del vescovo statunitense Fulton Sheen (1895-1979), programmata nella diocesi di Peoria, nello stato di Illinois, per il giorno 21 dicembre. Le carte erano in regola, da quando lo scorso 5 luglio papa Francesco ha autorizzato la congregazione delle Cause dei santi a promulgare i decreti riguardanti il miracolo attribuito alla sua intercessione.Ma ora qualcuno ha messo i bastoni tra le ruote e il 3 dicembre monsignor Daniel Jenky, vescovo di Peoria, «con profondo rammarico», ha annunciato che dal Vaticano è arrivato uno stop. La beatificazione programmata per il prossimo 21 dicembre non s'ha da fare ed è rinviata a data da destinarsi.Le reazioni negli Stati Uniti (e non solo) sono state enormi: disappunto; speculazioni su vescovi che non vogliono Sheen beato perché troppo tradizionalista; confronto con altre beatificazioni contrariate in patria e comunque portate a termine (ad esempio il vescovo argentino Enrique Angelelli); illazioni sulla condotta dello stesso Sheen per casi di abuso. Perché il quasi beato Sheen è popolarissimo e amatissimo, qualcuno ha contato le conversioni a lui attribuite nell'ordine delle decine di migliaia. Il Time lo ha definito «il primo televangelista»; ha vinto un Emmy nel 1952. Nel 1930, invitato dall'emittente radiofonica statunitense Nbc, Sheen partecipa ogni domenica ad un programma intitolato L'ora cattolica. Nel 1950 approda in televisione. La sua missione di telepredicatore, termine assolutamente riduttivo per definirlo, comincia con il programma della Nbc Vale la pena di vivere. Rivolgendosi ai telespettatori, oltre 30 milioni ogni settimana, ricorda che l'unica soluzione di tutti i problemi è Gesù Cristo.La sua causa di beatificazione aveva già subito uno stop. Nel 2014 sembrava tutto pronto, poi il cardinale Timoty Dolon, arcivescovo di New York, aveva impedito il trasporto a Peoria del corpo di Sheen che riposa nella cattedrale di St. Patrick a Manhattan. Un rifiuto che il vescovo di Peoria Jenky aveva definito del tutto inaspettato, ed è lo stesso Jenky che ora dichiara il suo rammarico di fronte al nuovo stop visto che la «Santa Sede ha deciso di rinviare la data della beatificazione, su richiesta di alcuni membri della Conferenza episcopale che hanno chiesto ulteriori approfondimenti».Nel comunicato rilasciato dalla diocesi di Peoria si precisa che «nel nostro clima attuale, è importante che i fedeli sappiano che non c'è mai stata, né esiste ora alcuna accusa contro Sheen che implichi l'abuso di un minore». Una fonte citata dal Catholic news agency ha escluso che questo stop sia dovuto a una vecchia causa del 2007 in cui si sosteneva che il vescovo Sheen, all'epoca in cui era ausiliario della diocesi di New York (1951 - 1966), era stato coinvolto in casi di abuso. La causa, che si riferisce a una serie di casi che tirano in ballo molti prelati, fu intentata dal sacerdote Robert Hoatson, ora ridotto allo stato laicale e presentata sia a livello federale che statale, ma sempre respinta.Il vescovo Jenkin dichiara in modo chiaro che «è stato definitivamente dimostrato che [Sheen,ndr] era un modello esemplare di condotta cristiana e un modello di leadership nella Chiesa. La sua vita di virtù non è mai stata messa in discussione in nessun momento». Eppure, la causa è stata rimandata perché, a quanto pare, qualche vescovo americano non ci sta. Questa frenata a pochi giorni dalla cerimonia è un fatto inusuale nella storia della Chiesa cattolica e qualcuno vocifera che la richiesta di approfondimenti sia dovuta al sentire di alcuni vescovi statunitensi, particolarmente allergici alla ortodossia e alla vicinanza alla tradizione del vescovo Sheen. La beatificazione resta così al palo e in attesa di capire meglio quali siano gli «ulteriori approfondimenti richiesti» qualcuno ricorda il ritratto dell'Anticristo disegnato da Sheen in una celebre trasmissione radiofonica del 1947. «Scriverà libri sulla nuova idea di Dio per adattarla al modo in cui le persone vivono», diceva Sheen. «Identificherà la tolleranza con l'indifferenza verso il bene e il male» e «parlerà perfino di Cristo e dirà che è stato il più grande uomo che sia mai vissuto». Saranno giorni, concludeva il vescovo, «in cui al diavolo è stata data una corda particolarmente lunga». Chissà, forse è per colpa di questa corda troppo lunga che il suo processo di beatificazione è stato fermato.Lorenzo Bertocchi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dal-vaticano-arriva-lo-stop-alla-beatificazione-di-sheen-il-pastore-di-anime-della-tv-2641517669.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dea-pagana-benedetta-ad-albenga-scoppia-un-nuovo-caso-pachamama" data-post-id="2641517669" data-published-at="1765404640" data-use-pagination="False"> Dea pagana benedetta ad Albenga. Scoppia un nuovo caso Pachamama Nella ridente cittadina ligure di Albenga, precisamente in Piazza Azzurri d'Italia, è stato inaugurato un monumento dedicato alla storia dell'agricoltura. Si tratta di una statua realizzata dagli studenti di due classi dell'Istituto di scenografia del Liceo Artistico Giordano Bruno e donata dal Rotary Club e dall'associazione Vecchia Albenga. L'opera rappresenta una Mater Matuta. Chi non avesse dimestichezza con la mitologia romana, deve sapere che questo era il nome della dea del Mattino o dell'Aurora, protettrice della nascita degli uomini e della natura, successivamente associata alla dea greca Eos. Il Comune di Albenga ha giustificato l'erezione di una statua in onore di tale dea pagana spiegando che essa rappresenta in realtà una «Grande Madre», una divinità femminile primordiale, che si concretizza in forme molto diverse in una vasta gamma di culture. Insomma, una sorta di Pachamama locale. Il solito simbolo della Madre Terra, della Naturadi Gaia, del Creato, che si sposerebbe perfettamente con la storia dell'agricoltura cui era davvero dedicato il monumento. Fin qui nulla da eccepire. Il fatto è che la statua della divinità pagana è stata benedetta nientemeno che dal Vicario Generale della Diocesi di Albenga-Imperia, monsignor Ivo Raimondo, Canonico del Capitolo della Cattedrale. I soliti cattolici bigotti e tradizionalisti che si sono permessi di sollevare qualche perplessità al riguardo della singolare «benedizione» sono stati subito redarguiti per aver insinuato che l'iniziativa avesse il vago sentore di un atto di idolatria. È stato loro spiegato che non si è trattato di benedire un idolo, ma il simbolo della presenza divina nella natura riconosciuta da tutte culture in tutte le epoche. Una spiegazione che ricorda un po' la replica, pubblicata dall'Osservatore Romano lo scorso 12 novembre, di monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, Vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas, e diretta a coloro che avevano criticato lo strato «rito» celebrato nei giardini vaticani in onore della divinità inca Pachamama. «La creazione è manifestazione dell'amore di Dio», aveva spiegato il monsignore sul quotidiano della Santa sede. Purtroppo, però, l'azzardato tentativo di sfuggire all'accusa di idolatria fa cadere i presunti idolatri in un'altra eresia: quella panteista. L'episodio di Albenga è sintomatico da questo punto di vista, e rispecchia pienamente la deriva di una consistente parte del clero, ormai in preda ad una vera e propria febbre da panteismo ecologista. Sono cardinali, vescovi e sacerdoti che amano apparire «à la page», più lungimiranti dei confratelli, più bergogliani di Bergoglio. Per questo arrivano addirittura a sostituire la Santissima Mater Dei con false matres» pagane, tributando a quest'ultime atti di devozione come l'inchino o la benedizione. Atti che non rappresentano proprio un gesto di rispetto alla memoria dei tanti martiri che, agli inizi del cristianesimo, hanno accettato la morte pur di evitare di rendere omaggio a simulacri pagani. Proprio Benedetto XVI, tuttora in vita, è intervenuto su tale tema nella sua nota enciclica Caritas in Veritate (2009): «La natura è a nostra disposizione non come “un mucchio di rifiuti sparsi a caso", bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l'uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per «custodirla e coltivarla» (Gn 2, 15). Ma bisogna anche sottolineare che è contrario al vero sviluppo considerare la natura più importante della stessa persona umana. Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l'uomo» (C.V. n.48). Così sentenziava Benedetto XVI quando la Chiesa parlava ancora della salvezza dell'anima e non si limitava a fare generici e fumosi discorsi a sfondo ecologista. In una vecchia edizione del 1908 della nota rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica ho ritrovato un articolo di un'attualità sconcertante, intitolato «Il modernismo teologico e il suo sistema di conciliazione». La conclusione di quell'articolo era che «il teologo modernista si avvia a precipizio verso il panteismo e l'ateismo, perché il panteismo altro non è che ateismo larvato». Quando i gesuiti erano tenaci e strenui difensori della Fede. Gianfranco Amato
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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