2022-11-16
Dal Ppe mano tesa a Giorgia sugli immigrati
Manfred Weber (Imagoeconomica)
Le ragioni di politica interna tedesca e i calcoli del presidente Manfred Weber in vista della legislatura europea che inizierà nel 2024. «Necessario proteggere le frontiere». Parole in funzione anti Scholz e per una possibile convergenza delle forze di centrodestra Ue.È un fatto politico rilevante l’intervista concessa ieri al Corriere della Sera dall’uomo forte del Ppe a Bruxelles, il tedesco Manfred Weber, che oggettivamente tende la mano e offre una sponda a Giorgia Meloni sulla vertenza legata all’immigrazione. Ma al tempo stesso una opportuna dose realismo suggerisce di contestualizzarla, di comprenderne le motivazioni e gli obiettivi tutti politici in vista della nuova legislatura europea che inizierà nel 2024, nonché le ragioni di politica interna (tedesca) che hanno probabilmente contribuito a determinare questa presa di posizione.Procediamo con ordine, partendo dai due elementi positivi - per il governo italiano - che questa intervista porta con sé. Il primo è evidentissimo: proprio nel momento in cui Emmanuel Macron avrebbe voluto innescare una marginalizzazione dell’esecutivo Meloni con una esplicita «chiamata» agli altri Paesi europei a isolare il nostro governo, non solo quell’appello francese non è andato a buon fine, ma è significativo che voci autorevoli come quella di Weber si siano levate addirittura per far proprie le ragioni della Meloni. Il secondo elemento positivo è che Weber non si è limitato ad esprimere una pur apprezzabile solidarietà politica, ma sia stato il primo esponente politico di peso a porre la questione dell’immigrazione illegale nella sua interezza. In più passaggi, Weber non parla dei rifugiati e di coloro a cui nessuno potrebbe sentirsi di negare l’accoglienza (di qui i discorsi che ascoltiamo da molti anni - poi largamente rimasti senza seguito - sulla ricollocazione volontaria), ma va esplicitamente al cuore del problema, e cioè al necessario contrasto dell’immigrazione clandestina: «Penso che sia necessario, prima di tutto, proteggere le frontiere, e uno Stato deve poter decidere chi arriva e chi non è benvenuto nell’Ue», esordisce infatti Weber. Dopo di che, il tedesco precisa ulteriormente: «Se non si riesce a distinguere tra migranti illegali e richiedenti asilo e rifugiati, allora non si riesce ad aiutare chi ha davvero bisogno». E lungo tutta l’intervista, meritoriamente, Weber tiene ferma questa distinzione: occorre dargliene atto, e le sue parole sono un primo passo di come si possa iniziare a discutere del tema vero (cioè la necessaria difesa dei confini esterni dell’Ue) e non del tema di comodo (la redistribuzione di poche decine di persone). Detti e sottolineati questi due aspetti assai positivi, un minimo di realismo politico impone tuttavia di compiere tre ulteriori osservazioni. La prima: se si esprime Manfred Weber, a parlare non è «la Germania», come qualcuno potrebbe frettolosamente concludere. Weber è un esponente dei cristianodemocratici tedeschi, che oggi, dopo la lunga stagione di governo merkeliana, sono all’opposizione del governo guidato dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Quindi è per molti versi normale che un esponente della minoranza di centrodestra prenda le distanze dal centrosinistra del suo paese: è più o meno la stessa dinamica (nel caso francese ancora più accentuata, visto il coinvolgimento diretto di Macron nella polemica e le posizioni molto nette della destra transalpina) che ha portato il nuovo leader del Rassemblement national Jordan Bardella (ancora l’altra sera, a Quarta Repubblica, ospite di Nicola Porro) a spezzare una lancia a favore della Meloni e a distanziarsi dall’Eliseo. Il secondo elemento da tenere presente ha a che fare proprio con Bruxelles e con la partita politica che scatterà dopo le elezioni europee del 2024, in considerazione della presumibile fortissima crescita di Fratelli d’Italia qui da noi e, in Spagna, sia dei Popolari (membri del Ppe) sia di Vox (che fanno parte del gruppo Ecr, come la Meloni). Weber non può non pensare, come La Verità ha già scritto nei giorni scorsi, a un percorso di convergenza tra Ppe e Ecr. E proprio un’alleanza più forte di centrodestra potrebbe rappresentare l’asse maggioritario della nuova legislatura europea, arrivando a esprimere la guida della Commissione. I più ottimisti intorno a Weber potrebbero perfino immaginare lui come un possibile sostituto di Ursula von der Leyen: a onor del vero, gioca contro Weber il fatto di essere un connazionale dell’attuale presidente della Commissione (due tedeschi consecutivamente sulla poltrona più importante di Bruxelles sarebbero un’ipotesi piuttosto difficile da realizzare), ma in ogni caso, per quanto si tratti di ragionamenti prematuri, ha politicamente un senso che Weber si connoti come l’uomo della convergenza tra Ecr e Ppe. E questo ci porta alla terza e conclusiva osservazione. Contrariamente all’attitudine propria di certa sinistra (politica ed editoriale), che tende a leggere tutto in termini ideologici o addirittura in una chiave di rozza contrapposizione «etica» («buoni e giusti» contro «cattivi e fascisti»), la formazione e il cambiamento degli schieramenti politici a livello internazionale dipende da fattori molto più concreti: un ovvio calcolo degli interessi (personali e politici) dei protagonisti, costruzione di alleanze future, e soprattutto - ciò che più conta - attenzione massima agli elettori del proprio Paese. Da più parti si comprende che gli elettori di centrodestra (ovunque vivano: Francia, Germania, Italia, Spagna) condividono una linea di contrasto all’immigrazione incontrollata: ed è proprio su quel punto, sulla difesa dei confini esterni dell’Ue, che può realizzarsi non solo un dialogo tra forze politiche affini, ma soprattutto una «narrazione» comprensibile e gradita agli elettori alternativi alla sinistra.