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2018-09-28
Dal Csm al Copasir, da Montecitorio al Colle. Gli ex Margherita non mollano mai il potere
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Ansa
Bastava guardare chi sedeva alle spalle del presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l'apertura dei lavori del nuovo Consiglio superiore della magistratura per capire chi sono davvero i poteri che contano in Italia. Mentre il Capo dello stato salutava la nomina del renziano, ex Margherita, David Ermini alla vicepresidenza, un uomo con i capelli bianchi ascoltava con attenzione seduto un metro dietro di lui. Al pubblico sarà sfuggito ma quell'uomo è Ugo Zampetti, attuale segretario generale del Quirinale, vero architrave del potere in Italia. Zampetti è molto più di un'istituzione in Italia. E' l'uomo che negli ultimi vent'anni ha governato su Montecitorio e ora sul Capo dello stato. Conosce Mattarella da tempo immemorabile. Dal 1983 per l'esattezza, quando l'allora deputato della Dc entrò alla Camera e se lo ritrovò come segretario della Commissione Affari Istituzionali. Nominato da Luciano Violante segretario generale di Montecitorio nel 1999 ci resterà fino al 2014.
Inamovibile, poi seguirà Mattarella al Quirinale, ma non senza aver caldeggiato la nomina del nuovo segretario generale, quella Lucia Pagano, in carica dal 2015, moglie di Mauro Fioroni, direttore del Servizio Informatica del Senato, cugino (lo scrisse Dagospia mai smentito) di Giuseppe Fioroni, ex Margherita, ala Dario Franceschini. Del resto se il governo gialloblù di Giuseppe Conte continua a crescere nei consensi mentre il Partito Democratico crolla nei sondaggi, almeno al centrosinistra sono rimasti incarichi di spessore nell'amministrazione pubblica. Basti pensare che al fianco di Zampetti sul Colle ci sono come consiglieri di Mattarella Daniele Cabras, figlio dell'ex parlamentare Dc Paolo e poi Simone Guerrini, storico amico e compagno di università a Pisa dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta. Sono incarichi istituzionali, politici e strategici, che raggiungo l'apice nei casi di Ermini a palazzo dei Marescialli, l'ex capogruppo della Margherita nella provincia di Firenze di Matteo Renzi è di fatto l'ago della bilancia tra politica e magistratura, ma soprattutto in quello di Lorenzo Guerini al Copasir, il comitato di controllo parlamentare dei Servizi segreti in Italia. Guerini come Ermini - e come lo stesso Mattarella - hanno un passato glorioso nella vecchia Dc come poi nel Ppi, l'ormai dimenticato Partito popolare italiano. Sono saliti ai vertici di due posti di garanzia e controllo come Copasir e Csm grazie ai voti del centrodestra e del centrosinistra, nel perfetto stile della Prima repubblica.
Del resto grazie alla nascita del Partito Democratico targata Walter Veltroni nel 2008, sono riusciti a rigenerarsi nella seconda Repubblica, scalzando di fatto tutto quello che era rimasto delle vecchie leve del Pci e dei Ds. Le margherite non sfioriscono mai. Se Pagano è segretario generale di Montecitorio, anche la direzione della stampa della Camera è in mano a Stefano Menichini, ex direttore del quotidiano Europa, già consulente per la comunicazione del sindaco di Roma Francesco Rutelli e poi del ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Gli ultimi due entrambi dei margheritoni doc. Di fondo lo stesso Renzi è un ex Margherita capace di mangiarsi l'eredità dei Ds dentro il Pd. Sono loro a essere sopravvissuti. Non a caso uno come Peppino Caldarola, storico direttore dell'Unità, da sempre molto vicino all'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema, ha ricordato sulle colonne di Lettera43 come la nomina di Ermini al Csm sia espressione di puro potere, un autogol del Pd.
«Non capisco perché Maurizio Martina non abbia ritenuto di opporsi pubblicamente a questo nuovo colpo auto-inferto» scrive Caldarola. «Matteo Renzi e i suoi, anche quando si intestano battaglie che io condivido come quella della contrarietà al dialogo attuale con i 5 Stelle, non riescono a uscir fuori dalla condizione di potenti che considerano provvisoria la loro defenestrazione». Angelo Sanza, deputato per dieci legislature fidatissimo di Ciriaco De Mita lo profetizzò già nel 2015, dopo l'elezione di Mattarella: «Un democristiano è per sempre». Renzi, che ora si prepara al congresso del Pd, lo ha capito. Per questo i possibili sfidanti del presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti potrebbero essere proprio Delrio o Matteo Richetti, un altro, quest'ultimo nato e cresciuto nella Margherita di Modena all'inizio del nuovo millennio. Le margherite non appassiscono proprio mai.
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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la sua macchina burocratica, con Ugo Zampetti, Daniele Cabras e Simone Guerrini. Poi la Camera dei deputati, con il segretario generale Lucia Pagano, moglie di Mauro Fioroni, cugino di Giuseppe Fioroni. L'ufficio stampa nelle mani Stefano Menichini, ex portavoce di Francesco Rutelli e già consulente di Graziano Delrio. Non ci sono solo David Ermini e Lorenzo Guerini. La lista degli ex Dc nei posti chiave del potere è lunga e inossidabile.Bastava guardare chi sedeva alle spalle del presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l'apertura dei lavori del nuovo Consiglio superiore della magistratura per capire chi sono davvero i poteri che contano in Italia. Mentre il Capo dello stato salutava la nomina del renziano, ex Margherita, David Ermini alla vicepresidenza, un uomo con i capelli bianchi ascoltava con attenzione seduto un metro dietro di lui. Al pubblico sarà sfuggito ma quell'uomo è Ugo Zampetti, attuale segretario generale del Quirinale, vero architrave del potere in Italia. Zampetti è molto più di un'istituzione in Italia. E' l'uomo che negli ultimi vent'anni ha governato su Montecitorio e ora sul Capo dello stato. Conosce Mattarella da tempo immemorabile. Dal 1983 per l'esattezza, quando l'allora deputato della Dc entrò alla Camera e se lo ritrovò come segretario della Commissione Affari Istituzionali. Nominato da Luciano Violante segretario generale di Montecitorio nel 1999 ci resterà fino al 2014. Inamovibile, poi seguirà Mattarella al Quirinale, ma non senza aver caldeggiato la nomina del nuovo segretario generale, quella Lucia Pagano, in carica dal 2015, moglie di Mauro Fioroni, direttore del Servizio Informatica del Senato, cugino (lo scrisse Dagospia mai smentito) di Giuseppe Fioroni, ex Margherita, ala Dario Franceschini. Del resto se il governo gialloblù di Giuseppe Conte continua a crescere nei consensi mentre il Partito Democratico crolla nei sondaggi, almeno al centrosinistra sono rimasti incarichi di spessore nell'amministrazione pubblica. Basti pensare che al fianco di Zampetti sul Colle ci sono come consiglieri di Mattarella Daniele Cabras, figlio dell'ex parlamentare Dc Paolo e poi Simone Guerrini, storico amico e compagno di università a Pisa dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta. Sono incarichi istituzionali, politici e strategici, che raggiungo l'apice nei casi di Ermini a palazzo dei Marescialli, l'ex capogruppo della Margherita nella provincia di Firenze di Matteo Renzi è di fatto l'ago della bilancia tra politica e magistratura, ma soprattutto in quello di Lorenzo Guerini al Copasir, il comitato di controllo parlamentare dei Servizi segreti in Italia. Guerini come Ermini - e come lo stesso Mattarella - hanno un passato glorioso nella vecchia Dc come poi nel Ppi, l'ormai dimenticato Partito popolare italiano. Sono saliti ai vertici di due posti di garanzia e controllo come Copasir e Csm grazie ai voti del centrodestra e del centrosinistra, nel perfetto stile della Prima repubblica. Del resto grazie alla nascita del Partito Democratico targata Walter Veltroni nel 2008, sono riusciti a rigenerarsi nella seconda Repubblica, scalzando di fatto tutto quello che era rimasto delle vecchie leve del Pci e dei Ds. Le margherite non sfioriscono mai. Se Pagano è segretario generale di Montecitorio, anche la direzione della stampa della Camera è in mano a Stefano Menichini, ex direttore del quotidiano Europa, già consulente per la comunicazione del sindaco di Roma Francesco Rutelli e poi del ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Gli ultimi due entrambi dei margheritoni doc. Di fondo lo stesso Renzi è un ex Margherita capace di mangiarsi l'eredità dei Ds dentro il Pd. Sono loro a essere sopravvissuti. Non a caso uno come Peppino Caldarola, storico direttore dell'Unità, da sempre molto vicino all'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema, ha ricordato sulle colonne di Lettera43 come la nomina di Ermini al Csm sia espressione di puro potere, un autogol del Pd. «Non capisco perché Maurizio Martina non abbia ritenuto di opporsi pubblicamente a questo nuovo colpo auto-inferto» scrive Caldarola. «Matteo Renzi e i suoi, anche quando si intestano battaglie che io condivido come quella della contrarietà al dialogo attuale con i 5 Stelle, non riescono a uscir fuori dalla condizione di potenti che considerano provvisoria la loro defenestrazione». Angelo Sanza, deputato per dieci legislature fidatissimo di Ciriaco De Mita lo profetizzò già nel 2015, dopo l'elezione di Mattarella: «Un democristiano è per sempre». Renzi, che ora si prepara al congresso del Pd, lo ha capito. Per questo i possibili sfidanti del presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti potrebbero essere proprio Delrio o Matteo Richetti, un altro, quest'ultimo nato e cresciuto nella Margherita di Modena all'inizio del nuovo millennio. Le margherite non appassiscono proprio mai.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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