2019-09-20
Dal 2013 zero ispezioni sul ponte Morandi
Nuovo filone di indagine. Gli investigatori denunciano che nei 5 anni prima del crollo non ci sono stati controlli dal vivo dei cassoni. Però ogni tre mesi la Spea produceva report con sempre lo stesso voto sulla sicurezza. L'inchiesta si allarga ad altri viadotti.Era da cinque anni che nessuno ispezionava le viscere del ponte Morandi per controllare in che stato fossero i cassoni che reggevano il piano stradale, ma nonostante questo la Spea engineering, il braccio operativo di Autostrade per l'Italia, con i suoi uffici tecnici per la sicurezza, continuava a sfornare report trimestrali realizzati con lo stampino, con sempre lo stesso voto (50, una sufficienza stiracchiata) e le medesime motivazioni. Dopo gli arresti per falso ideologico di tre dipendenti della Spea avvenuti lo scorso 13 settembre (le accuse riguardavano l'imbellettatura dei report di diversi viadotti), sono stati consegnati alle difese atti di notevole interesse. Tra questi c'è un'annotazione del marzo scorso della Guardia di finanza di Genova che sta conducendo le indagini sul crollo del Morandi, dove si evidenziano i mancati controlli sui cassoni del viadotto collassato il 14 agosto 2018. Prima però conviene aprire una piccola parentesi per i non ingegneri: nei ponti l'insieme delle strutture di sostegno orizzontale del piano stradale si chiama impalcato e questo è formato da travi d'acciaio o di cemento armato precompresso, dette «cassoni», parallele all'asse stradale e appoggiate a sostegni verticali, le pile.Ma torniamo all'annotazione. In oltre 200 pagine le Fiamme gialle rimarcano la Caporetto nei controlli dei viadotti e come i resoconti delle ispezioni sui cassoni del Morandi fossero fatti con il ciclostile.Nell'ultima relazione trimestrale prima del crollo (aprile-giugno, la seconda dell'anno scorso), datata 6 luglio 2018 e firmata dall'ingegnere Serena Allemanni, viene confermato «in merito ai cassoni» e all'impalcato il voto «massimo» di 50 e si legge che i «cassoni appartenenti alle pile a “V", anch'essi assai precompressi, presentano i cavi con andamento obliquo fortemente ossidati». Ma i finanzieri bocciano senza appello il documento: «Nel rapporto d'ispezione, nella relazione trimestrale e nella lettera di trasmissione (inviata alla direzione generale di Roma di Autostrade per l'Italia, ndr) non vi è alcun riferimento al fatto che le ispezioni nei cassoni dell'impalcato del viadotto Polcevera non erano state effettuate e che il voto 50, afferente ai cavi obliqui riscontrati corrosi all'interno dei cassoni, veniva confermato senza effettuare neanche un minimo controllo visivo». Verifiche sul campo che, come confermato nei mesi scorsi dalle testimonianze di alcuni tecnici, non avvenivano da almeno cinque anni, per diversi motivi. Per esempio c'erano problemi con le botole d'ingresso ai cassoni e Spea stava aggiornando le procedure di accesso in seguito a novità normative in tema di sicurezza per questo tipo di ambienti. L'annotazione sottolinea anche le considerazioni sulle ispezioni condotte dalla Spea della commissione ministeriale incaricata di svolgere gli accertamenti preliminari sul crollo del Polcevera e sulle attività di controllo del concessionario aveva avuto da ridire sulle valutazioni della Spea: «Assumono particolare rilievo le considerazioni effettuate a pagina […], dove viene esaminato il difetto con voto 50 dei cavi di precompressione dei cassoni dell'impalcato come segue: “… difetto con voto assegnato pari a 50 non coerente con il danno rilevato: a parere della commissione sarebbe stato opportuno assegnare una votazione pari a 60. È un difetto rilevato nel 2013 e mai sanato"». Ma è chiaro che nessuno poteva peggiorare il voto senza entrare nel cuore del ponte, sottoposto alle sollecitazioni di milioni di veicoli l'anno, alle intemperie e alla salsedine marina. A quanto risulta alla Verità proprio la questione dei report senza controlli su cassoni e pile ha portato la Procura di Genova a chiedere ulteriori misure cautelari anche per indagati non raggiunti dai provvedimenti del 13 settembre, che la gip Angela Maria Nutini ha respinto chiedendo ulteriori approfondimenti. Tuttora in corso. Il nuovo filone investigativo riguarda non solo il Morandi, ma anche altri viadotti, in particolare Sei luci, Pecetti, Bisagno, Gargassa, Veilino, Moro, Paolillo, Sarno, Giustina.L'accusa della Procura è anche in questi casi non solo di aver edulcorato le relazioni, ma addirittura di aver «dato i numeri» senza aver mai effettuato i controlli. Come detto, nei cassoni del ponte Morandi, durante l'incidente probatorio, è stato verificato uno stato di grave «ammaloramento» e anche gli altri viadotti non sembrano stare tanto meglio. Ma non c'è solo il problema degli impalcati. Le informative dei finanzieri mostrano, anche fotograficamente, lo stato obiettivamente preoccupante di alcune pile, in cui il calcestruzzo con la sua erosione ha denudato l'armatura di metallo sottostante, a sua volta consumata per molti centimetri. Una situazione considerata particolarmente preoccupante anche in virtù del fatto che le pile sono vuote al loro interno. In questo avvilente contesto è crollato il ponte Morandi. Per la commissione ministeriale a cedere per primo sarebbe stato proprio l'impalcato. Quel giorno era appesantito dalla pioggia che la struttura non era in grado di far defluire rapidamente e da centinaia di tonnellate di barriere jersey di cemento. Ma su questo punto non sembra esserci accordo con i consulenti della Procura secondo i quali a cedere per prima sarebbe stata la sommità dello strallo 132, sfilacciato internamente e posto sopra la pila 9, lato mare. Il suo collasso avrebbe fatto piegare lo strallo sul lato opposto, quello a monte, e il cedimento avrebbe fatto crollare l'impalcato su cui stavano transitando auto e camion. Un evento che, stando alle indagini, non sarebbe frutto di una fatalità, ma una tragedia annunciata. Eppure, dopo tutto questo, l'uomo che aveva la responsabilità dell'intera baracca, l'ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, indagato per omicidio colposo plurimo aggravato dalla colpa cosciente, disastro colposo, omicidio stradale colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti, ha deciso, bontà sua, di lasciare il posto di ad di Atlantia, la cassaforte dei Benetton che controlla Autostrade. Per liberare il posto incasserà una sontuosa buonuscita da 13 milioni di euro. Un bel premio per chi non ha saputo far mettere in sicurezza la rete autostradale.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)