2024-04-15
Dai robot ai pannelli. La «transizione 5.0» punta a spezzare i vincoli con Pechino
Il piano, che guarda alle pmi che trascinano il nostro export, offre aiuti per chi installa impianti fotovoltaici made in Ue.Robot collaborativi, programmati per interagire e imparare dagli esseri umani e macchine intelligenti che attraverso l’Ia e l’analisi costante dei dati riducono gli sprechi della produzione. Ma anche pannelli fotovoltaici a elevate prestazioni, purché arrivino dall’Europa e non siano dispositivi made in Cina, e i percorsi formativi finalizzati ad ampliare le competenze tecnologiche e digitali del personale. Quando si parla di transizione 5.0 è a questo che si fa riferimento. Quando si evidenza che a breve (l’ultimo decreto attuativo con i dettagli operativi dovrebbe arriverà tra tre di settimane), al netto delle trappole burocratiche di Bruxelles e di qualche fisiologico ritardo da Pnrr, le imprese avranno a disposizione 6,3 miliardi di incentivi, sono questi i beni e i servizi che potranno acquistare con l’obiettivo ambizioso di supportare il percorso di trasformazione green e digitale. Incentivi che il governo mette a diposizione di tutte le aziende nel biennio 2024-25 con uno schema ben preciso: 3,78 miliardi sono relativi agli investimenti in beni strumentali, 1,89 miliardi per autoconsumo e autoproduzione di energia da fonti rinnovabili e 630 milioni di euro relativi alla formazione. Il bacino della domanda potenziale è enorme: sono infatti incluse tutte le aziende con sede in Italia senza vincoli rispetto a dimensioni, forma giuridica, e settore di appartenenza. L’unico vincolo è rappresentato appunto dai «nuovi investimenti in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, nell’ambito di progetti di innovazione che conseguono una riduzione dei consumi energetici». Va da sé che non potranno ricevere il bonus gli investimenti in settori che arrecano danni all’ambiente e quindi in primis le attività direttamente legate ai combustibili fossili.Il pensiero va subito all’arcipelago di piccole e medie imprese che sta trainando l’export del Paese e che sono pronte a investire in macchine utensili per la deformazione plastica dei metalli, nei dispositivi per l’assemblaggio, il confezionamento e l’imballaggio dei prodotti o nei software ad essi collegati che consentono di recuperare materiali e funzioni da scarti industriali e prodotti di ritorno a fine vita (ad esempio macchine per disassemblaggio, separazione, frantumazione e recupero chimico). Gran parte di questi beni erano già presenti nell’elenco della transizione 4.0 e le imprese italiane ne hanno ancora bisogno. Le aliquote, poi, calano con l’aumentare dell’investimento. Nella logica di privilegiare le pmi rispetto alle grandi imprese. Ecco perché per le spese fino a 2,5 milioni di euro il credito d’imposta può arrivare al 45%, mentre per gli investimenti fino a 50 milioni la forchetta si restringe dal 5 al 15% a seconda dei risultati di risparmio energetico. Digitalizzazione e ambiente, certo ma anche sicurezza. Il pacchetto di software, sistemi e piattaforme e applicazioni sui quali agiranno i 6,3 miliardi di incentivi del governo fanno riferimento anche all’utilizzo lungo le linee produttive di cobot, i robot collaborativi e macchine intelligenti, fondamentali per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. Intendiamoci, nulla di assolutamente originale. Nel senso che i primi esempi di robot con sembianze umane risalgono a diversi anni fa, ma i livelli di precisione e affidabilità che si stanno raggiungendo grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (a proposito di utilizzo «corretto» dell’Ia) permettono alle «macchine» di lavorare a stretto contatto con l’operatore (quindi senza barriere protettive intorno) in assenza di rischi. Poi c’è tutto il capitolo dedicato all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo (sono compresi gli impianti per lo stoccaggio), rispetto ai quali il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha preso una posizione chiara: sono considerati ammissibili solo le installazioni con moduli prodotti negli Stati membri dell’Unione europea con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%. Posizione rischiosa e sfidante. Rischiosa perché i pannelli cinesi coprono buona parte del mercato e sono quindi più facilmente reperibili. Ma la norma che prevede una sorta di superincentivo per i pannelli di ultima generazione (dispositivi con un’efficienza a livello di cella almeno del 23,5% e per i moduli composti da celle bifacciali con un’efficienza di cella almeno del 24%) agisce da sprone rispetto ai produttori europei ed italiani di qualità.
Antonio Decaro con Elly Schlein a Bari (Ansa)
La Mushtaha Tower di Gaza crolla dopo essere stata colpita dalle forze israeliane (Ansa)