2025-10-18
Dai luoghi della Liberazione spariscono i dieci morti trucidati dalla Resistenza
La mappa voluta dal Comune di Milano cancella le vittime civili di una strage dei Gap. Che ha causato l’eccidio di piazzale Loreto.Dieci fantasmi si aggirano per Milano da 81 anni senza trovare pace. Sono le vittime innocenti della strage di viale Abruzzi, avvenuta l’8 agosto 1944, civili italiani uccisi da un attentato partigiano che nessuno ha interesse a ricordare. Neppure nel 2025. Neppure dentro una mappa rievocativa realizzata dall’Università Statale in collaborazione con il Comune. Neppure se i loro nomi vengono affissi su un palo stradale della via da un comitato spontaneo, con il destino di essere strappati in meno di 24 ore. Neppure per umana pietas e neppure per dovere storiografico, visto che quell’eccidio fu l’uovo del serpente che portò alla barbarie di piazzale Loreto, con Benito Mussolini e Claretta Petacci appesi per i piedi.Se la memoria collettiva non decolla, quella selettiva funziona benissimo. Tutto si sa di quelle immagini disumane a guerra finita. E tutto si sa della causa della violenza cieca proprio in quella piazza: per vendicare la fucilazione di 15 antifascisti il 10 agosto 1944. Perché mai vennero trucidati su ordine del comando tedesco? Perché due giorni prima, dieci persone altrettanto innocenti erano state fatte saltare in aria in una delle vie adiacenti (viale Abruzzi 77) mentre erano in fila dietro un camion della Wermacht che distribuiva generi alimentari. Alle 8.15 due bombe esplosero vicino all’autocarro, temporizzate a distanza di due minuti per ottenere l’effetto di finire gli eventuali feriti. Ordigni piazzati dai Gap (Gruppi d’azione patriottica), partigiani comunisti incardinati nella terza brigata d’assalto Garibaldi, allora guidati da Giovanni Pesce, che sarebbe diventato capo della scorta di Palmiro Togliatti (lui ha sempre smentito il coinvolgimento).Tutto questo non è supposizione ma è stato bollinato dalla storia. È stato a lungo oggetto di studio del pm Guido Salvini ed è contenuto in quattro libri: Le vittime dimenticate dello studioso Pierangelo Pavesi; Il nostro silenzio avrà una voce della storica Elisabetta Colombo; Milano in guerra di Camilla Cederna; Dizionario del fascismo dello storico Claudio Pavone. Insomma, una via Rasella milanese fatta sparire dai radar. Nessun revisionismo, in una guerra d’occupazione trasformatasi in guerra civile sarebbe patetico impartire lezioni di morale con 81 anni di ritardo. Rimane incomprensibile la censura di chi vuole continuare a nascondere la vicenda.Il dipartimento Studi storici dell’Università Statale di Milano (non un centro sociale o un circolo Arci) ha pubblicato una mappa dal titolo 80 luoghi per 80 anni di libertà, una ricostruzione accurata della lotta di liberazione a Milano, con capitoli precisi su bombardamenti, insurrezione, deportazioni, rappresaglie. Quest’ultima è la sezione giusta. Al punto numero 28 del cartaceo si fa menzione della fucilazione del 10 agosto ma non c’è neppure un accenno alla strage di due giorni prima. Nella versione online, la toppa è peggio del buco: «L’eccidio fu giustificato come rappresaglia per due esplosioni avvenute l’8 agosto, che non causarono vittime tedesche ma solo sei morti italiani». Quattro fesserie in una frase: quel «solo» da pelle d’oca, i morti furono 10, i civili italiani uccisi non erano di serie B e le esplosioni non furono causate da un temporale ma dall’attentato gappista, come da documento n.011033 dell’archivio dell’Istituto Gramsci di Roma.La mappa viene presentata da uno scritto del sindaco Beppe Sala, nel quale si sottolinea che «non è solo un itinerario geografico ma un percorso emotivo e culturale». Emotivo di sicuro, culturale molto meno perché quei luoghi sono 81. C’è pure viale Abruzzi 77 dove un attentato partigiano venuto malissimo non ha ucciso nazisti ma due casalinghe (Amelia Berlese e Maria Ferrari), un tappezziere (Ettore Brambilla), un facchino (Giuseppe Giudici), un impiegato (Enrico Masnata), un meccanico (Gianfranco Moro), un tipografo (Giuseppe Zanicotti), un operaio (Edoardo Zanini), un droghiere (Antonio Beltramini) e un bimbo di 12 anni (Primo Brioschi). Chiamateli danni collaterali ma ricordateli.