2025-01-20
«Dagli Usa più interesse per l’Italia»
Domenico Lombardi (Imagoeconomica)
L’economista Domenico Lombardi: «Roma, che è un alleato affidabile di Washington, beneficerà di una maggiore rilocalizzazione di investimenti americani. Grazie al rapporto con Elon, possibili importanti traguardi in campo tecnologico».Oggi c’è l’insediamento del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per il secondo mandato. Lo scenario è ricco di incognite, dai dazi e quindi le relazioni commerciali con l’Europa, ai rapporti con la Cina. Il premier Giorgia Meloni ha avviato una interlocuzione stretta con la Casa Bianca, e al tempo stesso la stabilità politica del suo governo la rende una protagonista nella Ue. L’Italia inoltre, dal punto di vista dei conti pubblici non è più la malata d’Europa. L’asse Parigi-Berlino si è indebolito. Su tutti questi fattori abbiamo chiesto una valutazione all’economista Domenico Lombardi, con esperienza nelle istituzioni multilaterali e nei più autorevoli istituti di ricerca americani, ora professore alla Luiss dove dirige il Policy Observatory.Cominciamo dallo scenario europeo. Il Pil della Germania non cresce per il secondo anno consecutivo e la Francia non riesce a risollevarsi dalla crisi. L’Italia sembra aver superato la stagione difficile della finanza pubblica, recuperando la fiducia dei mercati. Siamo davvero fuori pericolo?«L’economia italiana è pienamente integrata in quella europea e internazionale. Anche se ha mostrato una straordinaria resilienza in questi ultimi anni, dobbiamo rimanere vigili finché i nostri principali partner commerciali sono in crisi. Recenti rilevazioni mensili frutto del lavoro congiunto del Policy Observatory della Luiss School of Goverment e di Tecnè ci dicono che le famiglie italiane hanno percepito un deterioramento delle condizioni generali dell’economia nell’ultimo anno mentre prevalgono attese di sostanziale stabilità nei prossimi 12 mesi». Con i conti pubblici sotto controllo e la stabilità politica, il premier Meloni può giocare un ruolo da protagonista nei rapporti con gli Usa?«La stabilità politica ed economica del nostro Paese offre una straordinaria opportunità per incidere su equilibri che, in Europa, riflettono condizioni non più attuali. Il maggior spazio politico che il presidente del Consiglio è riuscito a costruire in Europa è funzionale a un ruolo privilegiato che l’Italia, come Paese europeo, si è ricavata nei rapporti con l’alleato transatlantico - sia con l’amministrazione Biden che ha appena terminato il suo mandato, sia con quella Trump il cui secondo mandato viene inaugurato proprio oggi».E il rapporto con la Cina?«Sinora è prevalsa una linea di cauto pragmatismo che ha visto l’esclusione di partner cinesi in settori centrali o contigui per la sicurezza nazionale, ma una sostanziale apertura in tutti gli altri. Questo nuovo equilibrio verrà messo in crisi da due sviluppi: la relazione sempre meno simmetrica con l’economia cinese che da importatore di prodotti europei sta diventando esportatore di massa nel nostro mercato anche in segmenti alti della catena del valore. Tale penetrazione è destinata a intensificarsi se il mercato americano eleverà barriere aggiuntive contro i produttori cinesi. Riguarda le dinamiche geopolitiche che l’amministrazione Trump imprimerà all’economia mondiale mettendo sotto pressione, sin da subito, la Cina attraverso un regime restrittivo sul suo export - regime che cercherà far applicare anche alla Ue. In tal senso, l’Europa si troverà a gestire un impatto diretto dell’inasprimento del regime commerciale americano nei confronti dei produttori cinesi, dovendo assorbire il loro mancato export sul mercato americano, e un effetto indiretto derivante dalle pressioni che Washington imporrà su Bruxelles per allineare quanto più possibile il regime europeo a quello americano sulla Cina. Il cortocircuito è assicurato». Quali sfide si pongono al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per il 2025 sul fronte della finanza pubblica?«La credibilità che l’Italia si è guadagnata attraverso una postura macro-fiscale centrata sulla prudenza sta cominciando a pagare i suoi dividendi. L’Ufficio parlamentare di Bilancio, un organo dello Stato, prevede che il bilancio pubblico beneficerà di una riduzione della spesa per interessi pari a 10,4 miliardi nel biennio 2025-26 che salgono a 21 includendo il 2027. Tale risparmio si materializza grazie al progressivo accomodamento della Bce in seguito alla stabilizzazione del quadro inflattivo nell’Eurozona, ma riflette anche la riduzione significativa dello spread alimentata dalla credibilità che il Paese si è guadagnato sui mercati in questi ultimi due anni. La conseguenza sarà un maggiore spazio fiscale che potrà consentire al governo maggiori riforme e un sostegno più forte ai settori vulnerabili della società e dell’economia del Paese». L’Italia però continua a crescere poco, che fare?«La crescita italiana rispetto all’Eurozona in questi ultimi anni è stata più dinamica che in passato. Il mercato del lavoro ne ha risentito favorevolmente registrando risultati significativi sul fronte dell’occupazione. Nelle ultime rilevazioni mensili dell’indagine Luiss Policy Observatory-Tecnè emerge che le famiglie italiane percepiscono una sostanziale stabilità nella propria condizione lavorativa, percezione che si rafforza nelle loro previsioni a 12 mesi. Analoghe aspettative di stabilità rilevano le famiglie rispetto alla propria situazione economica». Però i salari rimangono bassi.«I bassi salari riflettono una molteplicità di fattori fra cui l’elevato cuneo tra costo del lavoro e il salario netto in tasca al lavoratore nonché la prevalenza di posti di lavoro in settori che non sono proprio ad altissimo valore aggiunto. Sul primo aspetto, si interviene estendendo le misure di riduzione del cuneo già introdotte inizialmente dal governo Meloni e confermate successivamente». E sul secondo?«Favorendo maggiori investimenti e incentivando l’innovazione. Occorre rilevare a questo proposito che da Bruxelles prevale una tendenza a sovra-regolare piuttosto che semplificare. Questa dinamica interagisce, amplificandole, con le condizioni di svantaggio competitivo che subisce il nostro sistema produttivo imputabili a minori servizi erogati dalla nostra Pa, alla farraginosità nella risoluzione delle dispute contrattuali, e maggiori frizioni nell’afflusso di capitale di rischio alle imprese mature e di capitale a elevato rischio alle imprese giovani. In tal senso, l’iniziativa appena annunciata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen di voler applicare un regime armonizzato sovranazionale alle imprese innovative può rappresentare uno sviluppo significativo. Del resto, il gap di innovazione e crescita è un problema europeo. Basti pensare che nel 2022, 58 fondatori di unicorni negli Stati Uniti (start-up il cui valore eccede il miliardo) provengono dall’Eurozona. L’Italia dovrebbe contribuire proattivamente alla definizione di questa nuova iniziativa della Commissione che consente di valorizzare il capitale umano e imprenditoriale ancora presente nel Paese».L’Italia rischia con i dazi che vuole introdurre Donald Trump?«In quanto parte della Ue, l’Italia è vulnerabile a un inasprimento del regime commerciale che l’amministrazione Trump le potrebbe imporre. Occorre considerare, tuttavia, che molti degli annunci fatti dal neopresidente tendono a catalizzare l’attenzione delle sue controparti per indurle a negoziare rispetto alle priorità della sua amministrazione. Di certo, la pressione sulla Cina sarà un elemento dell’agenda su cui Trump chiederà maggior sostegno agli europei che misurerà graduando tatticamente le sue controrisposte».Come può far valere la Meloni il suo rapporto privilegiato con Trump?«Oltre alle politiche commerciali che stanno attirando l’attenzione nel dibattito pubblico, occorre considerare che l’Italia, come alleato affidabile e leale, dovrebbe beneficiare di una maggiore rilocalizzazione di investimenti americani. In tal senso, la capacità - anche amministrativa - di attrarre, gestire e fidelizzare grandi investitori nel campo della tecnologia o di altri settori a elevato valore aggiunto rappresenta un’area su cui si possono raggiungere significativi traguardi costruendo sui recenti risultati». A cosa si riferisce?«Mi riferisco, per esempio, all’investimento di 4,3 miliardi annunciato di recente da Microsoft nel settore dell’infrastruttura digitale e dell’Intelligenza artificiale, rispetto al quale il governo ha giocato un ruolo di facilitatore. Ecco, se riuscissimo a moltiplicare questo risultato, le conseguenze sarebbero particolarmente significative anche per l’indotto che tali investimenti inevitabilmente genererebbero». Con questa posizione di forza in Europa, crollato l’asse Berlino-Parigi, ci sono margini per indurre Bruxelles a cambiare la politica sul Green deal e le auto elettriche? Finora tutto sembra come la precedente legislatura Von der Leyen.«Va considerato che Ursula von der Leyen ha uno stile di leadership gradualistico e incrementale per cui l’apparente immobilismo non necessariamente implica stazionarietà. Le nuove policy che, nello stesso ambito, verranno a breve inaugurate dall’amministrazione Trump creeranno uno spazio politico potenzialmente rilevante per giustificare un revisionismo del disastroso approccio sul Green deal. In caso contrario, il divario di competitività che l’Europa ha già accumulato rispetto agli Stati Uniti non potrà che ampliarsi sotto le spinte del dinamismo che il neopresidente imprimerà all’economia americana». Quali vantaggi dà alla nostra economia e tecnologia il rapporto con Musk?«Per un’economia europea con un gap crescente rispetto agli Stati Uniti, il rapporto con Musk può costituire un elemento di mitigazione e favorire l’Italia anche rispetto ai suoi partner europei. Si può pensare quello che si vuole su Musk, ma rimane un fatto che le sue aziende dominano in settori dell’alta tecnologia per i quali non vi sono alternative, ad oggi, disponibili. Se e quando lo saranno, ne riparleremo».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)