2018-12-24
Da Nord a Sud, dessert nostrani deliziano le Feste della tradizione dolce natale italiano
I grandi classici non mancano sulle tavole. Ma ci sono anche il panforte nero di Siena e il pangiallo romano, il parrozzo di Pescara e il pane di sapa sardo: tutte leccornie.Non esiste una festività che raduni attorno a sé tanti dolci quanto il Natale. Quello più famoso, che potremmo definire l'assoluto imprescindibile natalizio nazionale e svetta su tutte le numerosissime peculiarità dolciarie locali dello Stivale, è certamente il panettone. Profumata torre con cupola di delizioso e morbido impasto puntinato di tocchetti di frutta candita e zibibbo, il panettone è originario di Milano e diventa usanza nazionale negli anni Cinquanta, quando la produzione industriale lo riversa nella Grande distribuzione. Le sue origini non sono sicure, sono varie le leggende, ma tutte hanno in comune questa sorta di Fonzie della panificazione dolce di nome Toni. Secondo alcuni lo inventò Messer Ulivo degli Atellani, un falconiere della Contrada delle Grazie che, innamorato della figlia del fornaio Toni, iniziò a lavorare per quest'ultimo e inventò il pane dolce. Il «pan del Toni» ebbe un enorme successo, come l'innamoramento di Ulivo che, infine, riuscì anche a sposare, ricambiato, l'amata. Secondo altri, il cuoco di Ludovico il Moro dimenticò nel forno il dolce che aveva preparato per il pranzo di Natale, pieno di importanti ospiti. Per una versione, lo sguattero Toni gli propose di utilizzare un dolce che aveva preparato lui. Il cuoco accettò e quando il Moro volle sapere come si chiamava quel pane dolce squisito, spiegò che era «il pan del Toni». Per un'altra versione, invece, il cuoco servì il suo pane con la crosta molto brunita, seguendo il consiglio del solito Toni di dire che la superficie marroncina fosse voluta - Toni genio del pane e del «male» - e gli ospiti si leccarono i baffi, al solito osannando il «pan del Toni». Col tempo si affermò il sostantivo «panettone» (panaton, panatton, panetton e panetùn in lombardo). Il panettone vive addirittura oltre il Natale. Il 3 febbraio a Milano si festeggia san Biagio: pasticceri e fornai offrono a prezzo scontato i cosiddetti panettoni di San Biagio, cioè quelli rimasti invenduti. La tradizione dello sconto si rifà a quella di conservare una fetta di panettone da Natale fino al giorno di San Biagio, per mangiarla a digiuno con scopo propiziatorio contro il mal di gola. C'è anche il detto, «San Bias el benediss la gola e el nas» («San Biagio benedice la gola e il naso»). Se la diffusione del panettone industriale è stata per molto tempo la ragione dell'ombra in cui sempre più versava il panettone artigianale di pasticceri e fornai, con la rinascita del food di qualità anche il panettone in versione artigianale, nonché gourmet, è tornato in auge. Naturalmente, ogni artigiano del panettone opta a sua discrezione per la ricetta ortodossa oppure per la variazione (c'è chi invece di canditi e uvetta usa noci e cioccolato, chi frutta candita sì, ma esotica, chi interviene sull'impasto utilizzando varianti anche audaci della farina di grano o aggiunte che caratterizzano il sapore, dal vino rosso allo zafferano). Il mangiatore di panettone oggi si trova di fronte a un'offerta che per il noto Toni sarebbe stata impensabile. Il pandoro è anch'esso un classico natalizio, una sorta di fratello minore del panettone che con esso costituisce l'accoppiata vincente dei megapani dolci da mangiare a fette, ma nel gusto di molti sono scambievoli: o l'uno o l'altro. In passato, le varianti del panettone senza canditi, senza uvetta, senza entrambi, semplicemente non esistevano. Chi non amava il panettone, poteva affidarsi solo al pandoro, così virginalmente privo di altro oltre alla sua pasta. Ora la cucina è talmente piena di varianti che sono infinite anche le versioni non ortodosse di pandoro, arricchite, com'è per il panettone, con mille tipi di farciture e anche glassature. Ciò rende il confine tra i due sempre più labile, per quanto l'impasto di base e di conseguenza la consistenza della pasta dei due dolci siano diverse. Tornando alla tradizione, il pandoro non ha ripieni, né glassa. È un pane alto come il panettone, a forma di stella ad otto punte, si spolvera di zucchero vanigliato ed è delizioso servito appena appena riscaldato - vale anche per il panettone. Il pandoro che conosciamo oggi deriva dal “pan de oro", un pane dolce veronese mangiato durante le feste natalizie quasi un millennio fa insieme al nadalin. Fu Domenico Melegatti dell'omonima industria dolciaria di Verona a depositare all'ufficio brevetti, nell'ottobre del 1894, la ricetta del pandoro come lo conosciamo oggi. Ma molti veneti ora gli preferiscono il nadalin, pane dolce meno burroso, più basso e compatto, perché ancora legato soltanto alla città di Verona e non assurto a dolce nazionale come il pandoro. Scesi dal trono dei re e della regina ufficiali del dolce natalizio, panettone e pandoro, troviamo una schiera di dolci al limite del mappabile. Caramelle (i bastoncini di zucchero rossi e bianchi), torte, dolcetti, biscotti, torroni: a Natale, forse anche perché il freddo raggiunge un picco che durerà tutto gennaio e la luminosità delle giornate è ancora ridotta, è come se l'uomo facesse scorta di dolcezza per oltrepassare questo periodo non proprio agevole dal punto di vista fisico. E la bellezza di questo fiorire di ogni tipo di dolciume, come mai negli altri giorni dell'anno, è resa ancora più interessante dal fatto che ogni dolce è identitario di un solo pezzo d'Italia: locale, non nazionale. In Friuli, nelle Valli del Natisone e nella provincia udinese, è un gran classico natalizio la squisita torta chiamata gubana. Il detto «Plen come une gubane» («Pieno come una gubana») lascia intendere quanto sia importante la farcia di questo rotolo di pasta lievitata dolce ripieno e strettamente acciambellato su sé stesso come un guscio di lumaca: noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa (siamo in Friuli), scorza grattugiata di limone. Cugina di putizza (dalla forma a ciambella), presnitz (a forma di ferro di cavallo) e strudel (forma lineare), la grande famiglia dei dolci arrotolati e ripieni del nord Italia ed Europa, la gubana non ha niente da invidiare al panettone. Altro delizioso pane dolce di Natale è lo zelten del Trentino Alto Adige. Nel bel piccolo tomo I piatti delle feste. Sapori e ricette della tradizione per festeggiare a tavola da Carnevale a Natale, le autrici Simona Recanatini e Sonia Sassi spiegano: «Immancabile in Alto Adige nel periodo natalizio, lo zelten è un dolce conviviale di origine mitteleuropea. In passato ogni famiglia preparava il proprio Weihnachtszeltern e dalla ricchezza degli ingredienti e delle decorazioni si poteva intuire il livello di benessere di chi lo aveva realizzato». Sembra che il nome derivi dal lemma tedesco selten che vuol dire raramente, in riferimento all'occasione festiva e non quotidiana della preparazione del dolce che riempie un impasto di farina, miele (o zucchero), acqua e lievito di birra (c'è chi ci aggiunge anche le uova, chi no) di frutta secca e candita, tipicamente disponibili in questo periodo. Il pane dolce - se notate - è il paradigma del dolce di Natale. È un pane arricchito, una versione festosa della pagnotta salata che già di per sé si ricollega al corpo di Cristo e che, durante la celebrazione della nascita di quel Cristo, si addobba e arricchisce di colore e sapore. Pur con tutte le sue varianti, spesso legate ai prodotti consuetudinari in quello specifico territorio, la formula del pane dolce di Natale che svolge il ruolo di torta che la famiglia raccolta in festa condivide sulla tavola, è quasi sempre la stessa. Pasta da pane a lenta lievitazione, addolcita e riempita di frutta secca e candita. Così è anche il pandolce genovese, chiamato anche - appunto - panettone genovese e conosciuto anche oltre confine col nome di Genoa cake. Tradizionalmente alto, con l'avvento del lievito chimico istantaneo si è affermata anche una versione bassa. Altri pani dolci natalizi sono il panforte di Siena, che in origine veniva chiamato anche ufficialmente «pane natalizio»: la preparazione era compito dell'Arte dei Medici e Speziali di Siena. Ricco anche di spezie, allora costosissime, ne erano destinatari nobili e ricchi. Ricoperto di pepe nero, si dicotomizza con la versione bianca nel 1879, quando in occasione della visita della regina Margherita alla città venne preparato senza concia di melone, nella frutta candita di farcitura, e spolverizzato di zucchero. Era il panforte bianco o Margherita: ancor oggi a Siena il panforte può essere nero oppure bianco. Il pangiallo di Roma, anche chiamato pangiall'oro, ha origine durante l'età imperiale dell'antica Roma: durante la festa del solstizio d'inverno questi pani, fatti di miele, farina e frutta secca, venivano ricoperti da una pastella d'uovo a imitazione del colore del sole per evocarne il ritorno con la primavera e l'estate. Notevole è il parrozzo di Pescara. O meglio, di Gabriele D'Annunzio, infatti è anche chiamato Parrozzo dannunziano. Ispirandosi al Pane rozzo, una pagnotta sapida dei contadini, il pasticcere Luigi D'Amico inventò questo dolce semisferico di farina di semola (si fa anche con il semolino) ricoperto di cioccolato. Per l'inaugurazione del suo locale, Ritrovo del parrozzo, molto vicino alla casa pescarese del Vate, scrisse a D'Annunzio domandandogli di aprire l'Albo d'Oro degli ospiti (che gli mandò) per l'inaugurazione: «Spero non mi troverete troppo pretenzioso se amassi aver Voi Comandante ne la prima pagina. Dopo di Voi ho già da tempo una lusinghiera fotografia di S.E. Mussolini con dedica; appresso verranno tutte le prime personalità d'Italia». Il 21 luglio 1927 D'Annunzio ci scrisse: «“Colui che ha abitazione in cielo, è visitatore e adiutore di quello luoco" dice l'Antico. “Colui che abitazione ha nel ritrovo del parrozzo, è visitatore e perdutissimo goditore di quello parrozzo" dico io Gabriele d'Annunzio», firmandosi Gabriele d'Annunzio parrozzàno. Il poeta era davvero un parrozzano. Scrisse anche dei versi, che cominciano così: «È tante 'bbone stu parrozze nove». Va detto che «tante 'bbone» è davvero ogni pane dolce di Natale. Una variante particolare per la forma composta sono gli struffoli di Napoli, uno squisito dolce strutturato (a cupola o a ciambella) da dadini di impasto fritti e mescolati a miele e frutta candita - la ricetta era su La Verità del 19 novembre. Ugualmente gustoso è il buccellato siciliano, un pane a ciambella fatto di pasta frolla ripiena di frutta secca e canditi golosamente decorato con frutta candita in fette che ricorda le decorazioni di pietre preziose delle corone regali. Immancabile il pane di sapa sardo. La sapa è mosto di uva cotto e conferisce al pan'e saba (del quale l'isola è piena di varianti locali e personali, a Berchidda e dintorni, per esempio, il pan'e saba diventa pan'e s'abbamele perché si sostituisce la sapa con l'idromele) un sapore particolare, insieme coi pinoli, le mandorle, le noci e i chiodi di garofano, e un bellissimo colore marrone violaceo. E voi, che pane dolce di Natale mangerete stasera e domani?
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