Che una Corte sbilanciata a sinistra tuteli l’iniezione coatta non stupisce. Ma perché fingere ancora sia un organo imparziale?
Che una Corte sbilanciata a sinistra tuteli l’iniezione coatta non stupisce. Ma perché fingere ancora sia un organo imparziale?Vogliamo dirci le cose come stanno? Vogliamo uscire dalla retorica dell’organismo di garanzia? Delle toghe imparziali? Dei custodi imperturbabili della Costituzione? Il verdetto sull’obbligo vaccinale, emesso l’altro ieri dalla Consulta, è stato più ideologico che tecnico. Pur celebrandolo, l’ha riconosciuto persino Marcello Sorgi, che sulla Stampa annotava: «Indirettamente i giudici della Consulta si trovavano a decidere sulla condotta di Draghi». Non poteva essere altrimenti, vista la provenienza culturale e a volte segnatamente politica della maggior parte degli esponenti della Corte. Certo: per un terzo, essa si compone di membri nominati in seduta comune dal Parlamento, quindi espressione della volontà dei partiti. Ma neppure nelle nomine del capo dello Stato, o in quelle delle supreme magistrature, si ravvisano rilevanti elementi di riequilibrio. Uniche eccezioni, almeno sulla carta: Nicolò Zanon (entrato al Csm su richiesta del centrodestra) e Luca Antonini (vicino alla Lega e acerrimo rivale del decreto Lorenzin sui vaccini). È noto come la pensi la presidente, Silvana Sciarra. Colei che, durante l’udienza pubblica di mercoledì, ha zittito il professor Augusto Sinagra, critico verso l’editoriale a favore delle iniezioni coatte, che, a pochi giorni dalla sentenza, aveva vergato per La Stampa Donatella Stasio, ex portavoce della Consulta. La Sciarra è stata eletta nel 2014, su proposta dell’allora premier Matteo Renzi, ancora nel Partito democratico. Qualcuno poteva ragionevolmente aspettarsi che, provenendo da quell’area, la giudice, da numero uno della Corte, s’intestasse una battaglia contro il provvedimento di Mario Draghi? Peraltro, a scrivere il primo decreto sull’obbligo vaccinale per i sanitari era stato il Guardasigilli, Marta Cartabia, chiamata al ministero dopo aver presieduto la Consulta di cui faceva già parte la Sciarra. Non lo possiamo chiamare conflitto d’interessi? Definiamolo groviglio. Cortocircuito. Ma sapendolo, avreste scommesso su un esito differente? Molto discutibile è la posizione della toga Marco D’Alberti, nominato da Sergio Mattarella a settembre. Il professore romano è stato il consigliere giuridico di Draghi. Su di lui, dunque, gravava almeno una responsabilità oggettiva nella stesura delle norme contestate dai ricorrenti. Non è anomalo che un tecnico al servizio del presidente del Consiglio, dopo, si sia dovuto pronunciare su uno degli atti legislativi prodotti dall’esecutivo per cui lavorava? Il gruppo dei giudici di marca progressista è chiaramente maggioritario, all’interno della Consulta. Citiamo, tra gli altri, Augusto Barbera, costituzionalista all’Università di Bologna, ministro nel governo Ciampi, parlamentare del Pci e del Pds, consigliere regionale in Emilia Romagna, oggi vicino al Pd, che lo indicò per la nomina nel dicembre 2015. Nella stessa seduta, l’Aula votò per Giulio Prosperetti (candidato di Angelino Alfano) e Franco Modugno(sponsorizzato dal Movimento 5 stelle). E come dimenticare Filippo Patroni Griffi? Eletto dal Consiglio di Stato, che ha presieduto fino al 29 gennaio 2022, era stato ministro della Pa per Mario Monti, quindi sottosegretario a Palazzo Chigi, con premier Enrico Letta. Da figure simili, ci dovevamo aspettare tutele? Sono senz’altro più sottili, ma non per questo meno riconoscibili, i motivi ispiratori dei giudici costituzionali di provenienza accademica. Non che la lotta per la parità tra uomini e donne sia un’esclusiva della sinistra, eh. Ma la sentenza con la quale la Consulta, lo scorso giugno, ha cassato la trasmissione automatica del cognome del padre ai figli, era stata salutata dai media come una storica svolta femminista, una fondamentale conquista di emancipazione. A redigerla e a rivendicarne questo significato, in un colloquio con Repubblica, è stata Emanuela Navarretta, giurista del Sant’Anna di Pisa. Da giovane, ebbe come correlatore della tesi di laurea il compianto Ugo Natoli, ex partigiano e uomo di fiducia di Palmiro Togliatti. Il filone «rosa» ha appassionato anche Daria de Pretis, attuale vicepresidente della Corte, dove è stata chiamata da Giorgio Napolitano nel 2014. Già rettrice dell’Università di Trento, già titolare di un rivelatore corso in «gender studies», nonché moglie di Giovanni Kessler. Che poi è il figlio del politico dc Bruno (presidente della Provincia autonoma di Trento), ex deputato con l’Ulivo e, in seguito, esponente dem. Il 30 gennaio 2022, la de Pretis rilasciò al Corriere un’intervista in cui, di fatto, anticipava la sentenza di giovedì: «La Costituzione stabilisce che la legge può introdurre trattamenti sanitari obbligatori quando si deve tutelare la salute collettiva. Nella Costituzione i diritti si accompagnano ai doveri». Mancava solo l’afflato poetico promanato, in udienza, dall’Avvocatura di Stato: non siamo mica una «Repubblica di egoisti»… È interessante recuperare un podcast di Stefano Petitti, risalente al 14 gennaio 2022, per la serie «Sentenze che ci hanno cambiato la vita». Il giudice, portato alla Consulta dalla Cassazione, si occupava proprio dei verdetti sull’obbligo vaccinale. Un «racconto» che, come premesso dal magistrato, non conteneva valutazioni «sulle complesse decisioni che sono state prese e si stanno prendendo per contrastare la pandemia da Covid-19». Ma che individuava, negli orientamenti espressi negli anni dalla Corte, una «bussola utile per leggere il presente e orientarsi sul futuro». Ce le vedevate voi, delle toghe con questo pedigree, a smantellare i provvedimenti adottati dai «migliori»? A picconare - citiamo ancora Sorgi - la «condotta di Draghi»? Viene solo da domandarsi se non si faccia prima ad abbandonare ogni ipocrisia. E rassegnarsi all’evidenza storica: viviamo nell’era della polarizzazione. È meglio gettare la maschera? Politicizzare esplicitamente tutti gli organismi pubblici, inclusa la Consulta? Così avviene negli Stati Uniti, dove, paradossalmente, l’autonomia di pensiero dei giudici produce risultati sorprendenti: è stata la Corte Suprema a maggioranza repubblicana, modellata da Donald Trump, a emettere pareri indigesti all’ex presidente. Da tempo, si propone una riforma che lascerebbe emergere i dissidi ideologici all’interno della Consulta: parliamo dell’istituto, tipicamente anglosassone, dell’opinione dissenziente. Esso consentirebbe, ai membri di un collegio messi in minoranza, di diffondere le loro motivazioni, accrescendo la trasparenza dei processi decisionali della Corte. In parole povere, si tratterebbe di sollevare il velo. Di gettare la maschera. Di finirla con la commedia.
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Aperto fino al 30 settembre il 4° Maxi Avviso ASMEL, che aggiorna le liste per 37 profili professionali. Coinvolti 4.678 Comuni soci: la procedura valorizza la territorialità e punta a rafforzare i servizi pubblici con personale radicato.
È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il governatore forzista della Calabria, in corsa per la rielezione: «I sondaggi mi sottostimano. Tridico sul reddito di dignità si è accorto di aver sbagliato i conti».
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L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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