2019-09-20
La fashion week di Milano riabilita il cibo. Anzi lo rende trendy
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Elisabetta Franchi: «Da bambina avevo una sola bambola. Adesso la mia azienda si quota in Borsa». La stilista, protagonista di un docufilm, ha presentato la nuova collezione: «Mi amano perché mi mostro come sono».Durante le sfilate milanesi alcuni brand hanno organizzato eventi ad hoc in tema food. Dolce & Gabbana ha festeggiato il Natale in anticipo con Fiasconaro, Stecco Lecco ha firmato i ghiaccioli per Fendi aprendo un popup store in Stazione Centrale, Versace ha creato tre nuovi gusti di gelato. Equilibrio, femminilità, bellezza e confort: sono queste le parole chiave per la collezione donna della prossima estate di Bottega Veneta. Lo speciale comprende due articoli e gallery fotografiche. «Ha visto il mio docufilm su Real Time?». Inizia così l'intervista a Elisabetta Franchi, uno dei personaggi più simpatici del pianeta moda, stilista da 1,8 milioni di followers su Instagram. Lei, senza alcun tipo di problema, si fa vedere al mattino appena in piedi con qualche imperfezione, così come si sveglia. E pare essere questo il segreto con cui ha conquistato i tanti affezionati che la seguono nella sua quotidianità. «Non sono nata stilista», racconta, «Si nasce sotto una stella e poi si finisce sotto un'altra. Nessuno mi ha assegnato un destino, i miei genitori non erano imprenditori, non lavoravano nel commercio né nella moda. Vengo da una famiglia di estrazione molto umile, si sbarcava faticosamente il lunario, una famiglia meno che normale. Ma fin da piccola ho sempre avuto la passione di vestire l'unica bambola che avevo che non era una Barbie, che siamo tutte stiliste con la Barbie. Avevo una bambola, una e basta».Una bambola che ha un ruolo importante anche oggi. «Betty la porto con me quando vado a parlare all'università o quando ho incontri di un certo tipo perché tutto è nato da lei. L'ho ricreata bella perché, in effetti, la Betty originale era bruttina. Tagliavo in casa quel che capitava, il cordone dell'arrosto, un pezzo di tenda, lo strofinaccio nel cassetto e da lì, alla mia maniera, la vestivo. Una passione andata avanti, tanto che mi iscrissi a una scuola a Bologna dove insegnavano stilismo, figurismo e modellismo». La strada era imboccata.«Già in quel periodo cercavo di assemblare più cose che stessero bene su di me, c'erano pochi soldi ma ero molto attenta ai particolari, riuscire ad accostare i capi con semplicità, essere fini è un dono di pochi. Alle medie, con i miei abiti usati, riuscivo sempre a vestirmi bene. Ma in casa mancavano i soldi e dopo sei mesi, con grande dispiacere, dovetti rinunciare alla scuola, l'esigenza di un lavoro era più forte della mia vocazione. Arrivai a fare i mercati, sveglia alle 4, vendevo intimo. Lì c'è stato un primo approccio commerciale, 16 anni, vendevo alle donne e iniziavo a capire cosa volevano. La vena commerciale che non mi ha più lasciato». Un salto non da poco, dal mercato a un'azienda.«La vocazione della bambina che vestiva la bambola c'era sempre, ma allora non avevo modo di svilupparla. Dopo il mercato ho fatto la commessa per poi passare a una grande azienda di fast fashion dove iniziai a dire la mia. Prima sottotono, poi i miei consigli piano piano si trasformarono in capi che stravendevano. Lì nasce un grande amore con un uomo che lavorava con me. Era molto più grande e mi ha dato quella forza - non avevo avuto un padre - che mi è servita per aprire il mio primo atelier. Mi ha offerto i pochi soldi che aveva e nel 1998 ho fondato Betty blue spa partendo con tre persone amiche e con i miei primi disegni, fino a diventare quello che sono oggi. Sto ancora correndo». Lei è tra le poche stilste imprenditrici.«È vero, l'azienda me la sono fatta da me. Sono partita dal commerciale e, da sempre, controllo tutto, dalla parte organizzativa allo stile, non passa un bottone se non lo vedo e non lo approvo. Per questo c'è un Dna così forte. Non ci sono menti che si mischiano alla mia, sono io e basta. Anche se ci sono persone delle quali mi fido ciecamente. Ho un solo segreto: fatica, dedizione, sudore e non lasciarsi ingannare dal luccichio della moda perché dietro c'è tanto lavoro 24 ore su 24, sembra un mondo superficiale e invece è faticosissimo». I numeri?«Fatturato 2018 117 milioni, 310 dipendenti, 84 negozi nel mondo e 1.100 multimarca. Il 55% fatturato in Italia, il resto in Europa, molto Medio Oriente e Russia. Quartier generale a Bologna e distretto importante Milano». E ora la quotazione in Borsa. «Ho sempre creduto in strumenti innovativi di comunicazione diretta che mi hanno permesso di avvicinarmi alle persone. Oggi il brand Elisabetta Franchi merita di andare lontano e di guardare al futuro con un'ottica di espansione sempre più internazionale. La nostra business combination con Spactiv è come un abito perfetto, cucito addosso. Nel 2013 avevo fatto entrare un fondo di minoranza per avere una visione diversa, da imprenditore rischi di raccontartela sempre da solo. Volevo aprirmi per avere un valore aggiunto. Siamo stati insieme tre anni e poi mi sono ricomprata la mia quota ritornando ad avere il 100% . Lì ho iniziato a pensare a cosa poteva essere meglio per la mia azienda. Ci sono i numeri per fare questo passo, una grande opportunità coerente con il messaggio che ho sempre trasmesso, che non è solo abiti ma anche valori e stile di vita». Quali sono i suoi segreti fuori dall'azienda?«Mi descrivo come il Vasco Rossi della moda perché mi ferma la gente per strada: ragazzine, mamme, nonne, sono trasversale. In me vedono una donna che non se la tira. Sono l'anticomunicazione dell'imprenditore irraggiungibile, con la puzza sotto il naso. Ballo perché mi piace ballare, ridere e scherzare e mi mostro così. Per questo tanti mi seguono. Ho rotto un sistema che diceva che l'imprenditore non deve far vedere certe cose. Se non hai la faccia e non hai la forza non puoi farlo».Essere Elisabetta è il docufilm dove apre il suo cuore.«Non amo lodarmi ma sono contenta della critica che non mi ha attaccata. C'è chi spera ci sia una seconda puntata. A novembre, su Rete 4, arriverà Pensa in grande, un format dove vengono raccontate sei eccellenze italiane e una sono io. E anche quello dicono sia venuto un capolavoro. A dicembre il libro Cenerentola ti ho fottuto, editore Mondadori. Da non perdere».Paola Bulbarelli
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