2021-04-19
«Da anni la sinistra si è impossessata della nostra cultura»
Il violinista Uto Ughi: «Dopo la guerra, con la scusa dell'antifascismo, certi autori sono stati censurati, facendoci perdere l'identità». Questa volta, invece di lasciargli la penna per le sue splendide lezioni di musica che ormai da mesi fanno felici i lettori della Verità, abbiamo deciso di intervistarlo, per chiedergli di misurarsi anche sull'attualità, culturale e politica. E Uto Ughi, con la grazia e l'intelligenza che lo contraddistinguono, non si è sottratto. Anzi, come al solito ha colto l'occasione per dare prova di grande coraggio e indipendenza di pensiero. Maestro, inizio con una domanda personale. Ma lei di solito che musica ascolta e quanta ne ascolta? «Per uno che ha respirato musica tutta la vita, la musica è appunto una necessità vitale. Che cosa ascolto? Impossibile dirlo: abbiamo una miniera inesauribile, un patrimonio ricchissimo e non basta una vita per approfondirlo». Quali sono invece le sue letture? E quali sono state quelle che l'hanno più influenzata? «Anche in questo caso non è semplice rispondere. Le letture sono un nutrimento per il pensiero. Un giorno senza leggere nulla per me è un giorno perduto. Quando rileggo un libro mi rendo conto di come il pensiero aiuti a scoprire sé stessi. Cose che erano sfuggite alla prima lettura assumono un aspetto del tutto nuovo». Quali autori ama rileggere? «Ogni pagina può essere riscoperta. I grandi autori come Dante, Manzoni, Pascoli... Sono dei fari che illuminano il cammino per chi viene dopo, come dice Baudelaire in una splendida poesia». Andiamo su questioni più politiche. Crede che i teatri dovrebbero riaprire? «Sì. Di fatto le statistiche confermano che nei concerti eseguiti dal lockdown a oggi i contagi sono stati irrilevanti. A causa della pandemia la musica dal vivo si è completamente fermata causando un danno irreparabile alla cultura musicale del nostro Paese». Purtroppo ci sono stati i danni economici che conosciamo. E gli spettatori si sono dovuti far bastate lo streaming. «Le alternative tecnologiche, ad esempio i concerti in streaming, sono un palliativo. Sia perché si tratta di procedure comunque costose sia perché lo spettatore non si trova nella condizione ideale per godere serenamente della musica come invece accadrebbe se fosse in una sala da concerto. La chiusura delle sale ha impedito ai musicisti di esibirsi e tra le altre cose ha causato una grande tristezza negli esecutori che non hanno potuto condividere con il pubblico la loro arte. E non è tutto». Che altri problemi ci sono stati? «La necessità di distanziare gli esecutori e quindi la difficoltà nel potersi ascoltare è stata molto dannosa soprattutto per le orchestre». Dei concerti all'aperto che cosa pensa? «Guardi, l'esecuzione all'aperto nella stagione estiva per aumentare gli spettatori certo non è stata un toccasana per l'ascolto della musica. Toscanini diceva: all'aperto si gioca solo a bocce». Ora sono in tanti a chiedere che la cultura riparta. E speriamo lo faccia presto. Quando succederà dovremmo fare una riflessione sul livello della cultura italiana? «La cultura dovrebbe prescindere dagli schieramenti politici. La sua domanda tuttavia mi fornisce lo spunto per fare una riflessione sulla cultura italiana degli ultimi decenni». La ascolto. «Dobbiamo iniziare dall'immediato dopoguerra. La fine del fascismo ha portato a una istintiva ripulsa per tutto ciò che potesse anche solo sembrare fascista, dando rilievo e portando alle stelle tutto ciò che era antifascista. Si è voluta eliminare tutta la cultura antecedente al disastro della guerra». Questo che conseguenze ha avuto secondo lei? «Gli intellettuali antifascisti hanno escluso quelli che, anche se non fascisti, non si opposero direttamente al regime. Prima della guerra l'Italia aveva uno spessore culturale altissimo. Solo fermandomi alla musica classica ricordo Mascagni, Respighi, Casella... Eppure la sinistra si è subito impossessata della cultura, trattando tutto ciò che era antecedente la guerra come fascista. In più è stato dato enorme spazio alla cultura americana. Così si è persa l'identità culturale italiana a favore di una cultura di importazione che avrebbe condizionato per sempre il nostro Paese». In effetti una larga parte della cultura italiana è stata emarginata e ghettizzata. «Ci sono state vittime illustri, penso ad esempio a Giovanni Papini. Persino Dino Buzzati non è così studiato a scuola come dovrebbe essere. E ci sono state anche molte altre censure». Quali secondo lei? «Ad esempio la censura pressoché totale della tragedia delle foibe. Tuttavia le intelligenze “di destra" sono quasi sempre rimaste isolate e non hanno avuto la forza di formare un grande e diffuso movimento di opinione. Si è quindi lasciato il predominio della cultura alla sinistra, forse anche perché è stata data poca attenzione ai valori dello spirito. La rottura con il passato ha prodotto una cultura di bassissimo livello, che ha disconosciuto il ruolo prestigioso che l'Italia si era conquistata. La sinistra ha potuto proporre i suoi esponenti e formare le platee a suo gusto». Chiudiamo con una nota positiva. So che è al lavoro su un festival, in attesa che si riapra. Ce ne può parlare? «Sarà un festival che toccherà varie città partendo da Alba in Piemonte. Sarà in collaborazione con l'associazione Arturo Toscanini di Savigliano e avrà il sostegno e la collaborazione della prestigiosa Fondazione Ferrero. Lo scopo è quello di portare ai giovani la musica classica, che purtroppo è completamente trascurata dall'educazione scolastica. Terrò una serie di concerti, durante i quali spiegherò i vari pezzi eseguiti, raccontandoli al pubblico. Vorrei aiutare i giovani talenti che a causa della pandemia stanno attraversando una crisi davvero grave».
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».