
Le sue vere origini affondano nella leggenda, ma i precedenti risultano ben attestati nel centro della penisola. Durante la Seconda guerra mondiale i soldati americani la trovarono simile alle loro colazioni a base di uova e bacon, e se ne innamorarono.Per il carbonara day (il 6 aprile) di quest’anno, la Barilla ha realizzato uno spot sulla carbonara inclusiva: una bimba non mangia la carbonara a casa perché il suo compagno di scuola Gabriele non può e allora il padre chef della piccola inventa la ricetta con purè al posto delle uova, soia per guanciale, sedano rapa secco a mo’ di pecorino, per una carbonara che possa essere mangiata anche da musulmani, ebrei e vegani. Non siamo paradossali se ricordiamo che la monumentalità di una regola si evince anche dalla quantità delle sue eccezioni (e contestazioni), che non scalfiscono, ma confermano quella graniticità. Volgendoci alla carbonara canonica, dunque, scopriamo come la sua regola odierna derivi da una storia complessa e piena di zone d’ombra, sostanzialmente divisa in due tronconi teorici: origine americana e origine italiana. Vediamoli. Quella che ad oggi risulta essere la prima attestazione scritta della ricetta compare nel 1952 negli Usa in An extraordinary guide to what’s cooking on Chicago’s Near North Side, guida gastronomica di Patricia Bronté, nella recensione del ristorante Armando’s, guidato dai toscani Armando Lorenzini e Pietro Nencioni, nati negli Usa da immigrati italiani, tornati in Italia in adolescenza e poi di nuovo negli Usa da adulti. Questa occorrenza è una delle pezze di appoggio della tesi dell’ideazione americana della carbonara, ma Armando’s era un ristorante di cucina italiana, tant’è che negli ingredienti la pancetta si definisce mezzina, con lemma lucchese, e la Bronté la spiega come «bacon italiano». Rientra nella tesi anche la rivendicazione di paternità dell’invenzione della carbonara, con ingredienti e per mangiatori entrambi statunitensi, dello chef bolognese Renato Gualandi. A settembre 1944 in occasione della cena di gala di liberazione dalle armate tedesche tenutasi all’hotel Vienna di Riccione secondo alcuni, al Grand Hotel des Bains secondo altri, Gualandi, ispirandosi al piatto slavo spikrofi, ideò gli spaghetti alla carbonara: bacon, crema di latte e uova disidratate, pepe (lo scrisse anche nel libro Erbissima). Nel 2020 lo chef Igles Corelli ha dichiarato che tale Silverio, amico di Gualandi, gli ha confidato che in realtà Renato avrebbe inventato il piatto sempre nel ‘44, ma a Roma. Da qualche anno a Riccione l’evento «Venti di guerra e carbonara» rievoca la fine della guerra e fa gareggiare carbonare. Il direttore delGrand Hotel Des Bains, in occasione dell’ultima celebrazione, ha promesso a chi porterà prove documentali verificabili di una ricetta analoga creata prima del 18 settembre 1944 alloggio gratis nel suo albergo per un anno. Vediamo le attestazioni, precedenti e successive a queste, che invece suffragano la tesi dell’origine italiana. La prima attestazione della locuzione spaghetti alla carbonara, senza ricetta, è in un articolo de La Stampa del 26 luglio del 1950 sulla partecipazione di Papa Pio IX alla Festa de’ noantri nel rione Trastevere: «Cesaretto alla Cisterna giura origini antichissime, essendo la sua osteria sorta sulle rovine di un’altra famosa ai tempi di Fabio Massimo. Fu questo oste ad accogliere per primo gli ufficiali americani giunti in Trastevere parecchi anni or sono in cerca di spaghetti alla carbonara». La prima attestazione scritta della ricetta su carta italiana risale al numero VIII del terzo anno di nuova pubblicazione post interruzione bellica della rivista La cucina italiana, 1954. Non tutti i teorici della carbonara americana attribuiscono l’intera invenzione agli americani. Secondo alcuni, la carbonara sarebbe una versione americana della cacio e uova italiana con aggiunta del bacon dei soldati. Ma la tesi più logica è che gli americani abbiano intravisto negli spaghetti alla carbonara già esistenti una porzione di bacon & eggs, loro colazione tipica, mescolata con pasta, e abbiano iniziato a mangiarli fatti o fatti fare con le loro scatolette. O che i romani appena liberati, nella povertà assoluta, usassero quelle scatolette per preparare la carbonara già prassi collettiva non ancora attestata in una ricetta scritta. Il condimento cacio e uova, infatti, è da un pezzo prima della Seconda guerra mondiale e sua fine diffusissimo in tutto il centro, e sud: lo attesta l’Ordura di tagliolini nella Cucina Teorico-Pratica di Ippolito Cavalcanti, 1837, a sua volta presa da Vincenzo Corrado, Il Cuoco Galante, del 1773 (e le paste carnevalesche uovo-formaggio-maiale indicate da Luciano Pignataro come antenate campane della carbonara come scarpella di Castelvenere, il pastiere montonerese, i vermicelli pertosani). Avrebbero aggiunto guanciale o pancetta i carbonai, carbonari in dialetto romanesco e perciò carbonara, i boscaioli che salivano sulle cime dell’Appennino a far carbone da legna. Alla carbonara potrebbe anche significare annerita - come i carbonai - dalla spolverizzata finale di pepe. Un’altra tesi attribuisce la prassi del condimento di maiale (conservato), cacio e uova ai pastori transumanti dall’Italia centrale verso il Lazio e viceversa. Che c’entrerebbe il carbone? In abruzzese «carbonada» vuol dire carne di maiale cotta sul carbone. Spesso per rinnegare queste possibilità di diffusione della carbonara dai pastori si afferma che non potevano andare in giro mesi con le uova: un uovo a temperatura ambiente dura circa un mese, inoltre i pastori in movimento acquisivano prodotti freschi dai paesani incontrati transumando. Come esisteva ben prima della Liberazione l’abbinata cacio e uova, esisteva anche quella cacio e maiale: la pasta alla gricia (pepe, cacio e guanciale). Facile pensare di mixarle. Il gricio nella Roma papale era il venditore di alimenti (spesso proveniente dal cantone svizzero dei Grigioni). La prima attestazione dell’uso del guanciale e non della pancetta è del 1960: nella carbonara di Luigi Carnacina, nel ricettario La grande cucina, c’è il guanciale. E la panna. Estimatore della quale era Gualtiero Marchesi: la inserisce nella sua ricetta ne La cucina regionale italiana (1989). Per l’amministrazione comunale di Monteleone di Spoleto la carbonara sarebbe una versione semplificata degli strascinati, tipici anche di Cascia.
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(Totaleu)
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