2025-07-05
Dopo aver dilapidato i soldi della cultura, la sinistra ora si finge perseguitata
Premio Strega, Teatro della Pergola, fondi al cinema: i dem prima frignano e poi tirano in ballo il «vittimismo di destra».Non v’è intellettuale di sinistra che si rispetti il quale non abbia almeno una volta in vita sua schernito quello che da qualche tempo si usa definire «vittimismo di destra». Il fine commentatore dem, di solito, alza le sopracciglia e stiracchia un sorrisetto di superiorità: «State sempre a lamentarvi», dice rivolto ai destrorsi nei paraggi. «Se nel mondo delle cultura domina la sinistra è perché a destra non c’è niente, non siete capaci e per nasconderlo recitate la parte dei discriminati.Adesso siete persino al governo, eppure...». Il ritornello è più o meno lo stesso ogni volta. Si dice in buona sostanza che i conservatori siano una massa di piagnoni incapaci, i quali mascherano la propria insipienza blaterando di censure passate e inesistenti. Giusto ieri, su Repubblica, Stefano Cappellini citava una celebre canzone d’era fascista, Le donne non ci vogliono più bene, per dire che quel «motivetto vittimista avrebbe scolpito per decenni la mentalità della destra italiana, in generale e più ancora quando si parla di cultura. Se c’è un mondo dal quale più degli altri la destra ex missina si è sentita rifiutata è quello: la cultura. Se c’è un mondo che ha sempre sognato di espugnare è sempre quello: la cultura». La tesi è chiara: a destra frignano e si sentono esclusi, ma sono incapaci e quando la loro insipienza emerge platealmente, i perfidi fasci reagiscono con violenza, rompendo il giocattolo che non sanno maneggiare.E, infatti, Cappellini descrive il ministro Alessandro Giuli come se fosse Galactus, divoratore di mondi: «Verificato che il mondo della Cultura è un po’ più complesso, e non perché sia una irriducibile riserva leninista ma solo perché composto di mille mestieri e necessità, il Min.cul. è passato al piano B: distruggere tutto», scrive l’editorialista di Repubblica. «Dopo gli inizi con toni più che concilianti, Giuli sembra animato da un cupio dissolvi: litiga dentro e fuori la maggioranza, chiede e ottiene dimissioni, infine diserta il premio Strega in un sussulto giovanile di autoghettizzazione. II tutto mentre sulle macerie di un settore che avrebbe bisogno di nuove regole e certezze, non del diserbante, infuria la guerra tra il clan dei Fratelli e il clan leghista, convinto a sua volta che cinema e spettacolo dovessero ripararsi sotto il tetto del salvinismo».Sia chiaro: lungi da noi sostenere che questo governo abbia compiuto meraviglie sul versante culturale. Abbiamo sufficiente onestà intellettuale per riconoscere tutti i limiti che le circostanze impongono. Tuttavia non possiamo non notare nei discorsi progressisti del genere gradito a Cappellini la presenza di alcuni temi ricorrenti, indizi di un malessere che con il tempo si fa via via più evidente. Il fatto è che questa sinistra - pronta ad accusare ogni giorno i nemici ideologici d’essere frignoni e vittimisti - è essa stessa, in verità, il peggior concentrato di vittimismo che si sia visto negli ultimi decenni, forse nell’intera storia della repubblica. I comunisti, almeno, esercitavano la propria egemonia con meno lamenti e un filo di dignitoso silenzio in più. I loro eredi candeggiati sono, al contrario, impegnati in una lagna continua che ormai è costitutiva della loro identità culturale e spirituale.Se il presunto vittimismo destrorso consiste nel ricordare l’emarginazione subita (per altro storicamente accertata), il piagnisteo rosso è decisamente più inconsistente e infinitamente più patetico. Qualche esempio. In questi giorni a piangere sono gli amichetti della domenica del premio Strega, ce l’hanno con Giuli che li vuole sfrattare e che non si è presentato alla serata della premiazione. Se ci fosse andato, avrebbero trovato il modo di contestarlo ma, poiché ha disertato, lo infilzano per quello. Ora, per chi non lo sapesse, lo Strega è una sorta di guerra per bande in cui ogni anno i pr dei vari marchi editoriali cercano di convincere questo o quello scrittore a votare per il loro campione. Ci sono scambi di voti, accordi sottobanco, meschinità da congresso di partito della prima Repubblica. Eppure, questo bel circolino di politicanti delle lettere che si invidiano e odiano fra loro ha il coraggio di dirsi discriminato dal governo fascio e incolto. Guai a sfiorarli, pretendono venerazione cieca, pronta e assoluta.Qualche settimana prima era toccato ai poveri teatranti della Pergola di Firenze inscenare la farsa della persecuzione politica. Ancora prima si era mobilitato un altro bel club esclusivo, quello del cinema sovvenzionato dalle casse pubbliche, con Elio Germano a fare da portabandiera. Insomma, non v’è mese senza lacrime, tanto che l’elenco di pianti e ragli è sterminato. Un giorno è Fabio Fazio a essere vittima delle purghe meloniane, il giorno dopo è Antonio Scurati o Roberto Saviano o Roberto Benigni o Corrado Augias o l’ultimo dei presentatori in pensione riciclatosi giallista con tessera del Pd tatuata sul petto. La realtà dice che la sedicente cultura di sinistra non produce nulla di nuovo e interessante da quasi un ventennio. Vive dello spauracchio fascista e s’aggrappa a Mussolini perché non sa inventare personaggi altrettanto potenti. Se non parla di fascismo esplicitamente lo fa tra le righe, sostenendo che il governo osteggi uno o l’altro dei mille conduttori monoliticamente schierati che affollano il palinsesto. Quando non sono impegnati a fingersi eroi della nuova resistenza, gli intellettuali e i politici liberal de noantri non trovano di meglio da fare che invocare la cancellazione del nemico ideologico di turno, facendo del loro meglio per impedire manifestazioni e presentazioni di libri, mostre e festival. Costoro dominano la cultura (cioè gestiscono i soldi che servono a sostenerla) per lo meno dagli anni Sessanta, spadroneggiano ovunque e, dovunque, banalizzano e sterilizzano, hanno sprecato soldi per decenni e hanno praticamente esaurito ogni vena creativa a disposizione. Ma hanno comunque il coraggio di tirare in ballo il «vittmismo di destra» e di atteggiarsi a perseguitati. E l’aspetto più triste della faccenda è che non lo fanno per ideale o ideologia, ma per i soldi e il potere.Vogliono il reddito di culturanza, e pretendono che, nel darglielo, si finga pure che sia meritato. Al prossimo giro, consigliamo alla Meloni di istituire un bel ministero dell’elemosina: in un lampo, i problemi della cultura italica saranno risolti.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)